Cronache dai Palazzi

Si torna a parlare di Italicum, di liste bloccate e di preferenze in particolar modo. Dopo circa 300 giorni dal Patto del Nazareno, Renzi e Berlusconi siglano un altro incontro a Palazzo Chigi e torna il problema di spiegare al Paese un eventuale Parlamento di “nominati” e non di “eletti”.

Renzi pone all’ex Cavaliere un aut aut e chiede fermezza nell’andare avanti senza provocare intoppi inutili. “Siamo contenti se la riforma elettorale la facciamo insieme, siamo convinti che il Patto del Nazareno sia giusto, ma se non prendete una decisione andremo avanti da soli”, ha puntualizzato Renzi all’ex Cavaliere e ai forzisti. Una sorta di ultimatum che significherebbe anche aprire altri canali di dialogo, ad esempio con i grillini che sembrano aver esultato di fronte alla nomina di Silvana Sciarra alla Consulta. Dopo 20 fumate nere il ventunesimo tentativo si è rivelato quello giusto e così Silvana Sciarra, docente universitario di Firenze, indicata dal Pd, è passata allo scrutinio congiunto grazie anche ai voti dei pentastellati (630, 60 in più rispetto al quorum) i quali, a loro volta, hanno ottenuto l’elezione del membro laico del Csm, Alessandro Zaccaria. Forza Italia si è spaccata sui voti e non è riuscita a far eleggere il proprio candidato, la docente milanese Stefania Bariatti. Di Maio con una certa enfasi ha parlato di “risultato storico”, di “vittoria del metodo della trasparenza contro gli inciuci”. “Abbiamo tolto di mezzo gli impresentabili”, ha affermato il vicepresidente della Camera.

Si prefigura così all’orizzonte un eventuale fronte Pd-M5S che potrebbe rivelarsi utile al Partito democratico, anche se i grillini non intendono cedere alle lusinghe. I democratici potrebbero comunque rimarcare il fatto di essere riusciti a far uscire il Movimento dall’isolamento parlamentare. L’atteggiamento dei grillini rappresenta in effetti una svolta importante, soprattutto in un momento in cui il Patto del Nazareno sembra “scricchiolare”. Forza Italia, inoltre, dopo il voto della Consulta non garantisce l’unità e la parola dell’ex Cavaliere, nonché ancora leader degli azzurri, potrebbe essere non più sufficiente per quietare gli animi all’interno di un partito dilaniato da varie correnti, diviso tra le colombe filorenziane (Gianni Letta e Denis Verdini) e i falchi antigovernativi (Renato Brunetta in testa), senza tralasciare i 32 parlamentari seguaci di Fitto sempre pronti a seguire il vento in poppa. Stefania Bariatti (l’altra candidata per la Consulta) è stata esulata dagli stessi forzisti, dato che i 45 parlamentari che hanno disertato la votazione fanno pensare ad assenze strategiche. In definitiva, anche se Berlusconi afferma di non temere un eventuale alleanza tra democratici e grillini, all’interno del suo partito già si parla di nuova maggioranza: “Con i risultati della Consulta è nata la nuova maggioranza Pd-M5S. Riflettiamo”, afferma Daniela Santanché.

Scossa anche l’attuale maggioranza di governo. Dopo il voto Pd-M5S sulla responsabilità civile dei magistrati Maurizio Sacconi, capogruppo Ncd al Senato, ha addirittura paventato le dimissioni, per poi rientrare nel suo ruolo dopo aver ricevuto rassicurazioni direttamente da Matteo Renzi. “Mi ha telefonato per garantire il suo impegno a che non si producano mai maggioranze diverse da quella che sostiene il governo”, ha dichiarato Sacconi.

I grillini sperano comunque che la “svolta occasionale”  possa trasformarsi in una “consuetudine più assidua” e soprattutto “efficace”, rivendicando, come sempre, il “bene dei cittadini”. “Sacconi stai sereno, è solo la democrazia”, ha affermato Nicola Morra commentando ironicamente la reazione di Maurizio Sacconi. Il grillino inoltre ha aggiunto: “Tranquilli il M5S non entrerà mai nel governo Renzi”.

Gli ex grillini ipotizzano invece le reali intenzioni dei loro ex compagni: “Chissà se il Movimento è in tempo per correggere il tiro oppure è solo una manovra elettorale”, si chiede ad esempio il fuoriuscito Ivan Catalano, mentre Matteo Renzi potrebbe pensare addirittura di rinforzare le fila al Senato con una manciata di ex grillini (quattro, cinque persone al massimo), anche se Campanella assicura: “Posso immaginare un appoggio su singoli temi, le poltrone non ci interessano”.

La riforma della legge elettorale rappresenta comunque il principale nodo da sciogliere. Dopo l’esito incerto dell’incontro tra premier e ex premier, il governo di Matteo Renzi ribadisce la necessità di andare avanti e di concludere l’operazione ‘riforma del sistema di voto” entro l’anno. “Entro Natale questa cosa la dobbiamo dare all’Italia e al presidente della Repubblica” ha sottolineato Matteo Renzi che ha aggiunto: “Mi prendo fino a domenica ( 9 novembre ndr) per capire se la frenata di Berlusconi è solo tattica o una strategia definitiva”. Renzi ha inoltre ribadito l’esistenza di “piani alternativi” e riferendosi all’ex Cavaliere ha affermato: “Se lascia il tavolo, si condanna all’irrilevanza”. Lo schema proposto da Renzi a Berlusconi  prevede un premio di maggioranza (il 55 per cento dei deputati) alla lista che raggiunge il 40 per cento. Il 30 per cento dei parlamentari verrebbero eletti con un listino bloccato e gli altri con le preferenze. La soglia di accesso alla Camera sarebbe fissata al 5 per cento (i piccoli partiti gradirebbero una soglia più bassa, ad esempio al 4 per cento), anche se chi resta sotto potrebbe sopravvivere apparentandosi al secondo turno. Sarebbe questa la legge pensata in funzione della riforma costituzionale che supera il bicameralismo perfetto.

Accelerando sulla riforma del sistema di voto il leader forzista teme eventuali elezioni anticipate che potrebbero punire il suo partito ma Renzi gli assicura di voler votare nel 2018, anche se sino ad allora non si può rimanere “ingabbiati nel ‘Consultellum’”, bensì occorre assicurare al Paese “lo strumento democratico per andare alle urne e sbloccare eventuali impasse”. Andare alle urne in primavera significherebbe per assurdo usare l’Italicum alla Camera e il Consultellum al Senato, legge elettorale, quest’ultima, che i grillini difendono come la ‘loro’ legge elettorale.

Su altri fronti, nonostante la bagarre animata dai grillini, lo Sblocca Italia diventa legge con 157 voti favorevoli, 110 contrari e nessun astenuto. Di Maio ha definito lo Sblocca Italia un “commissariamento della democrazia” anche se ha rimarcato la volontà del Movimento di collaborare “nell’interesse della collettività”.

Altra atmosfera in Commissione Giustizia, dove i pentastellati si sono rivelati fondamentali soccorrendo il governo che rischiava di non raggiungere il consenso appropriato su un emendamento al testo riguardante la responsabilità civile dei magistrati. Il Jobs act, invece, continua ad essere oggetto di discussione all’interno del Partito democratico (e non solo). La minoranza dem non gradisce la linea dura di Renzi, il quale inoltre sembra non dare ampio spazio alle repliche e, in sostanza, la relazione di Matteo Renzi ai gruppi del Pd ha lasciato inalterate le posizioni. La dead line per l’approvazione al primo gennaio non si può ritenere scontata. “La solita liturgia. Renzi ci ha fatto un monologo di un’ora per spiegarci come le sue grandi riforme siano di sinistra”, ha dichiarato Rosy Bindi esprimendo nel contempo di non gradire la nuova legge elettorale: “Si va verso un bipartitismo che in assenza del centrodestra diventa un monopartitismo pericoloso, tutto basato sul leader”. Tra i big democratici a non votare il Jobs act, oltre alla Bindi, ci sono Fassina, Cuperlo e Civati. Bersani, a sua volta, chiede più fondi per gli ammortizzatori sociali per dare il via libera alla fiducia sulla riforma del lavoro di Renzi. Di assenza del centrodestra nel panorama politico italiano parla anche il pentastellato Di Maio. “Nel centrodestra in questo momento c’è una competizione al ribasso per catturare l’elettorato, ma il popolo del centrodestra non esiste più”, chiosa Di Maio.

Nei prossimi mesi si assisterà molto probabilmente ad un cambio degli equilibri, sia a destra sia a sinistra. Il centrosinistra deve necessariamente recuperare il dialogo tra le correnti per assicurare al suo leader una solida base e il centrodestra deve necessariamente ricompattarsi, anche per poter essere una solida alternativa al centrosinistra, fermo restando il problema di un leader di centrodestra. Cosa ne sarà dei centristi ora al governo rappresenta infine un quesito interessante. Per ora Ncd resta nella squadra dell’esecutivo e le parole di Maria Elena Boschi – quel “Andremo avanti anche senza di loro” riferito ai forzisti – lasciano trapelare il patto d’acciaio tra Renzi ed Alfano che sembra andare in scena la prossima settimana.

La spinta al rinnovamento è destinata a scontrarsi con il gattopardo italiano che si alimenta costantemente di quel “tutto cambia affinché nulla cambi”, anche se i cittadini italiani si augurano che questa volta non sia così.

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