Europa e separatismi
L’intervista con il politologo inglese Balfour su queste colonne permette di capire qualcosa in più sulle origini e i risultati del referendum separatista in Catalogna e sulle sue differenze con l’analogo referendum svoltosi in Scozia. Differenze che sono evidenti: gli scozzesi hanno detto di no al distacco dalla Gran Bretagna, i catalani hanno detto di sì alla separazione dalla Spagna; ma il referendum scozzese era del tutto legale e i suoi risultati vincolanti, mentre quello catalano era contrario alla Costituzione spagnola e quindi utile solo come fatto politico e indicazione di tendenza, un’indicazione non fortissima, visto che la partecipazione al voto è stata piuttosto bassa (segno che a molti catalani la questione non interessa).
Personalmente, in principio, le tendenza di certi gruppi regionali al frazionamento pare illogica e rispondente a criteri antiquati. Nell’economia globale in cui viviamo e con i problemi di sicurezza che affrontiamo, nemmeno i grandi Stati europei possono farcela da soli, figuriamoci entità di carattere regionale che sarebbero veri vasi di coccio tra vasi di ferro. Inoltre, da un punto di vista storico, mi spiace vedere grandi culture, grandi civiltà, grandi Paesi che hanno lasciato impronte indelebili nella storia del mondo e ancora rappresentano riferimenti importanti, essere messi in questione da rivendicazioni campanilistiche. E tuttavia, queste tendenze non possono essere ignorate e il Governo di Madrid dovrà prenderne atto perché , diritto e logica o no, la volontà popolare è in ultima analisi quella che conta e ignorarla oltre certi limiti di tempo e di sostanza è, in democrazia, un errore. Il Governo spagnolo dovrà dunque prepararsi a fare quello sta facendo quello inglese: introdurre nuove norme che estendano l’autonomia della Catalogna. Se non lo farà l’esecutivo popolare diretto da Rajoy, lo farà sicuramente quello che sarà eletto a fine 2015, che secondo le tendenze attuali potrebbe andare ai socialisti, i quali hanno un programma federale piuttosto avanzato.
Nell’intervista a Balfour è stata sollevata anche la questione delle conseguenze di questi referendum sull’Europa. Balfour non vi ha fatto cenno (da buon inglese, non credo che l’Europa gli importi più che tanto). Cerchiamo di farlo noi.
La questione, al di là di specifici referendum, della loro legalità e dei loro risultati, investe il tema, fondamentale, dei rapporti tra l’Unione Europea e le sue regioni, rapporti che i Trattati europei hanno sin dall’inizio affrontano, prevedendo rapporti anche diretti tra centro e periferie regionali. Ma quale potrebbe o dovrebbe essere la posizione dell’Unione rispetto al separatismo? È chiaro che essa non può e non deve incoraggiarlo, ma nemmeno formalmente opporvisi, perché non può e non deve inteferire negli affari interni dei Paesi membri. Ma ove i separatismi dovessero avere successo, che dovrebbe fare l’Unione? La risposta a mio avviso è ovvia: dovrebbe accogliere nel suo seno le nuove entità statali se esse, come penso, lo richiedessero, o negoziare accordi di associazione se esse volessero uscirne, in modo da ridurre la conseguenze pratiche di eventi del genere. Nel caso inglese, la tenuità del vincolo con l’Europa renderebbe le cose abbastanza agevoli. Nel caso spagnolo, le difficoltà sarebbero maggiori, soprattutto per quanto riguarda l’euro. La Spagna è fondatrice e partecipe a pieno titolo della moneta comune e mostra tutta la volontà di restarci (altrimenti, ben difficilmente sarebbe uscita dalla crisi finanziaria degli scorsi anni). Una eventuale Catalogna indipendente manterrebbe la stessa posizione? Avuto riguardo alla relativa debolezza di un moneta propria, penso di sì. Se volesse uscirne, bisognerebbe negoziare l’uscita in modo ragionevole, non traumatico.
Stiamo comunque parlando di eventi ipotetici. La probabilità è che si raggiunga una formula che permetta alla Spagna di restare unita e alle sue componenti regionali di godere di larga autonomia (che è già stata riconosciuta ai paesi baschi e alla Navarra).
Un punto che però sfugge a quasi tutti i commentatori, in casa nostra e altrove, è che, quanto più si accentuasse il frazionamento degli Stati nazionali, tanto più l’Europa sarebbe necessaria come contenitore comune. Ripetiamocelo chiaramente: l’economia globale, fatta da pochi grandi protagonisti che sono veri giganti (Stati Uniti, Cina, India, Russia) impone agli europei di avere un’economia comune, perché altrimenti sarebbero davvero foglie al vento. L’Unione Europea è il primo blocco economico mondialie per Prodotto Interno Lordo e partecipazione agli scambi internazionali e può trattare da pari a pari con chiunque. Neppure la Germania da sola avrebbe peso sufficiente, meno che mai la Spagna (o l’Italia). Altrettanto vale per la sicurezza, che o è collettiva o non esiste. Che si viva in un mondo complicato e pericoloso è sotto gli occhi di tutti. Nessun paese europeo, Germania, Francia e Gran Bretagna incluse, può farvi fronte da solo. Per questo c’è la NATO, alla quale è presumibile che sia la Scozia che la Catalogna indipendenti continuerebbero a far parte.
Tutto come ora, quindi? No. Europa e NATO sono contenitori indipensabili e chi lo nega o è cieco o è in malafede. Ma più si moltiplicassero i loro membri più le cose sarebbero (almeno per l’Unione Europea) complicate, rissose e difficili. A meno che, in forza della eventuale dissoluzione dei grandi Paesi, l’Unione non divenisse davvero quell’entità politica che alcuni sognano (anch’io, sia pure con molto scetticismo) in seno alla quale le regioni starebbero come ora stanno nei rapporti con gli Stati a cui appartengono.
Dunque: più frazionamento, più Europa. Al di fuori di questa equazione, ci sarebbero solo debolezza e incapacità di competere in un mondo di colossi.
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