Catalogna, una scommessa illegale vinta a metà

Due milioni di Catalani si sono mossi per il voto di Domenica 9 Novembre. L’80,7% tra quanti si sono recati ad esprimere un parere si è pronunciato a favore dell’indipendenza della Catalogna. Un referendum osteggiato da Madrid e non autorizzato, ma carico di un simbolismo che oggi non può essere sottovalutato.

“Questo è un giorno di vittoria per noi Catalani”, affermava con voce tonante Carmen Forcadell, Presidente dell’Assemblea Nazionale di Catalogna (ANC), Domenica sera. Questa associazione cittadina un po’ fuori le righe è stata il principale organizzatore di una consultazione di autodeterminazione illegale che avrà finalmente ottenuto quello che sperava: una partecipazione più che onorevole visto che su un totale di 5,4 milioni di persone, almeno 2 milioni si sono recate a votare. In Spagna non si era mai verificato un simile scrutinio, riassunto così da un membro: “illegalità giuridica, ma legittimità democratica”. In molti hanno dovuto percorrere grandi distanze visto che, in mancanza di censimento (una prerogativa dello Stato spagnolo), bisognava recarsi nei collegi elettorali della propria zona di origine. Ma maggioranza delle persone che si è mobilitata ha risposto “si-si”, o, nella peggiore delle ipotesi, “si-no”, alla doppia domanda che veniva posta: “Siete favorevoli che la Catalogna sia uno Stato?”, “Se si, volete che questo Stato sia Indipendente?”. Piccola curiosità su questa inedita giornata elettorale alla quale erano invitati a partecipare anche i Catalani espatriati: la prima scheda elettorale è stata infilata nell’urna a Sidney, e un “tavolo” è stato improvvisato da Catalani zelanti a Shanghai.

Artur Mas, il leader nazionalista che ha caldamente voluto questa “azione partecipativa” (una litote per non dire “referendum”, strettamente vietato dalla legge spagnola) ha potuto ostentare un grande sorriso. Se la mobilizzazione fosse stata inferiore a quella dello scorso 11 Settembre (la Diada, festa nazionale della Catalogna), il suo progetto separatista avrebbe dovuto essere rinviato, se non propriamente decadere. Il fatto che ci siano stati più di due milioni di partecipanti, nonostante le condizioni molto avverse, da ai separatisti nuova speranza. Madrid ha considerato questo “sondaggio inutile e senza conseguenze”, ma non possiamo negare il fatto che gli organizzatori Catalani abbiano dato una grande lezione di civismo. Per tutta la giornata si è registrata grande normalità nelle 1255 scuole requisite per poter sistemare le 8000 urne previste. Grazie allo sforzo di tutti i Comuni (solo in cinque si sono tirati in dietro), almeno 40mila volontari si sono impegnati, con successo, a trasformare questo simulacro di referendum in un esercizio degno e serio. Unico incidente degno di nota: l’irruzione in una scuola di Gerona di 5 ultranazionalisti spagnoli, che i Mossos d’Esquadra, la polizia regionale, ha però subito fermato.

Domenica, mentre in Catalogna si votava, a Madrid un centinaio di oppositori alla consultazione manifestava cavalcando l’onda di un’iniziativa avvenuta il giorno prima in tutte le provincie del Paese: accompagnati dallo scrittore peruviano Vargas Llosa, affermavano che questa “grottesca contestazione mirava a dividere la Spagna”. In questo stesso campo, l’eurodeputato Gonzales Pons, membro del Partito Popolare (e al potere a Madrid) si è lanciato in un paragone, non proprio felice, con l’anniversario della caduta del muro di Berlino: “Mentre festeggiamo 25 anni senza questa frontiera, altri cercano di costruire dei muri”. Ciò non toglie il fatto che la Catalogna ha risposto in massa all’appello di sovranità. Sia i giovani – per la prima volta venivano invitati anche i ragazzi che avevano compiuto 16 anni – che le persone più anziane, arrivate anche in sedia a rotelle, si sono recate ai seggi. Con loro una impressionante partecipazione di immigrati (marocchini, originari dell’Europa dell’Est, pachistani) che, avendo un permesso di soggiorno da anni e in regola, hanno potuto porre la loro scheda elettorale nell’urna. Ovunque regnava la calma e la serenità, come in una qualunque Domenica elettorale. Ma dietro alla sua apparente banalità, il voto di Domenica è stato eccezionale. Ha segnato il D-day dell’indipendentismo Catalano. Ora sarà difficile tornare in dietro. Il braccio di ferro che oppone gli indipendentisti Catalani e lo Sato spagnolo va avanti da diversi anni. La Catalogna diventa provincia autonoma nel 1979. Come le altre Regioni spagnole, ha in mano la sanità, l’istruzione e soprattutto i servizi sociali. Nel 2006 la sua autonomia viene ampliata e la nozione di “Nazione” viene introdotta prima di essere bandita dalla Corte Costituzionale nel 2010. La censura posta nel 2010 dalla Corte Costituzionale spagnola su una serie di punti chiave della Costituzione catalana ha fatto da detonatore all’attuale onda separatista. Onda che si è gonfiata ulteriormente con la crisi economica che non ha risparmiato la Catalogna, una delle regioni più ricche della Spagna (20% del PIL), e per il rifiuto ostinato del Governo di mariano Rajoy di concedere maggiore autonomia fiscale alla regione.

Anche se il voto in questo Referendum rimane simbolico, non ha alcun valore giuridico ed è sprovvisto di liste e di commissioni elettorali, il Presidente catalano Artur Mas, spera comunque che questo risultato porti ad un accordo tra Barcellona e Madrid per un vero Referendum di autodeterminazione, di tipo “canadese o britannico”.

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