Cronache dai Palazzi
In questo scorcio di legislatura particolarmente impegnativo l’esecutivo di Matteo Renzi punta al tris entro dicembre: Jobs Act, legge di Stabilità e Italicum. In particolare, per il presidente del Consiglio il varo del Jobs Act nei tempi previsti è decisivo per il prosieguo della legislatura. Uno slittamento, o peggio una bocciatura, potrebbe provocare una crisi di governo, con il rischio di elezioni anticipate che per il leader di Forza Italia rappresenterebbe il peggiore degli epiloghi.
I Popolari per l’Italia sottolineano, a loro volta, che “il centrodestra va ripensato e ricostruito. Ma non si può fare tutto ciò stando a sinistra”. Il partito di Mario Mauro confluisce così nel Gruppo Grandi Autonomie e Libertà (ora GAL-Popolari per l’Italia) prendendo le distanze dalla maggioranza. “Noi indichiamo la strada maestra – spiega Mauro – che passa dalla ricomposizione dell’area popolare”. Mauro sottolinea inoltre che “l’esecutivo di Matteo Renzi sembra quasi un monocolore del Partito democratico”. L’uscita dalla maggioranza segna in sostanza l’avviamento di “un percorso. Che sarà lungo, ma necessario” perché “il popolo dei moderati, che si sente alternativo alla sinistra, merita una piattaforma politica degna di questo nome”, ammonisce Mauro.
Nel frattempo le piazze si surriscaldano, i sindacati annunciano scioperi e i frenatori sono all’opera anche al Senato sulla legge elettorale che Renzi, come ha scritto anche sulla sua enews, vuole approvare a Palazzo Madama entro l’anno, prevedendo il sì del Senato entro dicembre e il via libera definitivo della Camera entro febbraio 2015. La battaglia però non è facile da vincere, e in verità più che una battaglia si tratta di una vera e propria guerra. Il voto di fiducia, per di più, appare alquanto impraticabile. All’opposizione di Sel e M5S si somma quella di FI, nonostante il rinnovato accordo tra Renzi e Berlusconi.
Il Cavaliere sembra infatti indirizzato a prendere tempo per evitare eventuali tentazioni elettorali e per inserire la legge elettorale nella trattativa per il capo dello Stato. Nel contempo la presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, fa notare come l’Italicum rischi di non soddisfare tutte le condizioni poste dalla sentenza della Corte Costituzionale che a gennaio dichiarò illegittimo il Porcellum. La Finocchiaro ha quindi dettato delle direttive: alzare la soglia del premio di maggioranza (l’’Italicum la fissa al 37%) e abbassare quella di sbarramento, introdurre le preferenze ed infine spostare l’assegnazione del premio di maggioranza dalla coalizione alla lista vincente. Modifiche tra l’altro in corso.
Renzi continua a picchiare anche malgrado le resistenze che provengono dall’interno del suo stesso Pd, dove la sinistra dem ha già pronti 8 emendamenti alla legge di Stabilità, agitando così le acque dell’esecutivo. “Questo è il nostro governo – ha dichiarato Gianni Cuperlo, strenuo esponente della sinistra dem – non stiamo all’opposizione. Siamo un pezzo della maggioranza che sta dentro il Pd e cerca di mettere in campo delle proposte che rendano più redistributiva ed espansiva la manovra economica ma rimanendo nel perimetro stabilito dal governo”. Gianni Cuperlo espone il punto di vista di una minoranza consistente in Parlamento e che, come sottolinea Civati, esige “rispetto” per le proprie proposte. I renziani comunque accusano il colpo, tantoché Ernesto Carbone afferma: “Altro che metodo democratico, altro che discussione e confronto interno. A parole si dice di volere il bene della casa comune, nei fatti ci si comporta come se non se ne facesse parte”.
Perlomeno l’esecutivo ha incassato l’abolizione dell’articolo 18 nella versione strenuamente difesa dai sindacati. Resta solo un indennizzo crescente in base all’anzianità di servizio per i lavoratori licenziati per motivi economici, per i quali non ci sarà più il reintegro. “Siamo partiti dall’idea di mantenere la tutela per i soli licenziamenti discriminatori, come sostenevano taluni esponenti del governo, e siamo arrivati ad includere anche i licenziamenti disciplinari. Non era scontato”, dichiara soddisfatto il presidente della commissione Lavoro, Cesare Damiano, altro esponente della sinistra dem.
Si tratta di un compromesso che sembra accontentare anche il Nuovo centrodestra. È stato raggiunto in pratica un punto di mediazione che ripristina un clima di calma all’interno della maggioranza anche se, con i tempi stretti e l’ostruzionismo promesso in Aula dalle opposizioni, molto probabilmente si dovrà ricorrere al voto di fiducia. Il compromesso è stato inoltre accettato sulla promessa del governo di inserire nella manovra i nuovi ammortizzatori per i quali non sono ancora note le coperture. L’esecutivo ribadisce comunque il proprio “orientamento ad implementare le risorse”, come ha sottolineato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, anche se “la quantità ovviamente non è definita”.
Da qui fino alla fine dell’anno sarà una corsa contro il tempo, sia per il Jobs Act sia per la nuova legge elettorale. Dopo gli accordi sulle nuove modifiche si prospettano ora almeno due “partiti” con idee diverse su soglie e premi. L’arrivo del Jobs nell’Aula di Palazzo Madama entro Natale complicherà inoltre l’approvazione del nuovo sistema di voto che potrebbe realmente slittare al 2015, con il beneplacito di coloro che vogliono evitare lo spauracchio delle elezioni anticipate. Il rinnovato accordo tra Renzi e Berlusconi affida concretamente all’Aula la decisione sui punti più controversi: premio di maggioranza (che scatterà con il 40 per cento) alla lista o alla coalizione; soglia di sbarramento minima per entrare alla Camera; ed infine la questione legata alle preferenze.
Dopo aver genericamente riconfermato il patto del Nazareno, concedendo a Renzi un generico via libera sulle riforme, il leader di Forza Italia ha annunciato comunque un “No tax day” che “servirà a dare un segnale chiaro della nostra opposizione alle politiche economiche e fiscali del governo”, ha dichiarato l’ex Cavaliere con l’intenzione di “tornare in campo, innocente e alla grande”. Tutto ciò non significa che siano saltati gli accordi tra premier ed ex premier ma, di certo, il clima non è più quello idilliaco di alcuni mesi fa. L’aver voluto forzare la mano sulla legge elettorale, pretendendo alcune modifiche, può essere additata come la goccia che ha fatto traboccare il vaso. L’ex premier non ha gradito l’essere stato messo in riga.
Una riforma del sistema di voto valida solo per la Camera, e non per il Senato, non è inoltre assolutamente plausibile. A tale proposito Giovanni Tesauro, presidente emerito della Consulta, intervenendo in commissione Affari costituzionali ha ribadito il concetto: “Serve una norma per il Senato, altrimenti, meglio rinviare a dopo che sarà stata approvata la riforma costituzionale”. L’ex presidente della Corte, Gaetano Silvestri, ha invece suggerito di inserire nel testo una “clausola di salvaguardia” che preveda, in caso di elezioni anticipate, l’Italicum per entrambe le Camere.
In sostanza occorre fare chiarezza tra Italicum e Consultellum, anche se la questione è più politica che tecnica e, molto probabilmente, servirà più tempo del previsto anche se Matteo Renzi vorrebbe la riforma del sistema di voto entro dicembre. L’eventuale rinvio sarebbe di certo una boccata di ossigeno sia per Forza Italia sia per il partito di Alfano che tendono a schivare il pericolo delle elezioni in primavera. A FI e Ncd si aggiunge il partito trasversale dei parlamentari che mirano ad allontanare lo spauracchio elettorale nel 2015. Se il “sì” slitterà al 2015, l’approvazione della riforma elettorale potrebbe inoltre incrociare l’elezione del nuovo presidente della Repubblica e le due cose potrebbero complicarsi vicendevolmente.
Dall’Europa, infine, giungono segnali positivi dato che è stato confermato il “no” a nuove correzioni sulla legge di Stabilità: “Il debito è alto ma diamo credito all’impegno di Roma per le riforme”, affermano fonti di Bruxelles. La strada comunque è tutta in salita per l’intera Eurozona. Come attestato dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, “la situazione dell’inflazione nell’Eurozona è diventata sempre più difficile” e una ripresa più forte nel breve periodo si rivela sempre più “improbabile”. Oltre all’azione della Bce Draghi chiede, come di solito, l’intervento della politica, in particolare una “gestione espansiva del bilancio per far riprendere la fiducia”. Il mancato accordo tra i 28 governi e l’Europarlamento sui 140 miliardi del bilancio per il 2015 potrebbe provocare, inoltre, uno stallo istituzionale e finanziario che metterebbe a rischio anche il piano di investimenti da 300 miliardi promesso dalla Commissione Juncker.
La fiducia non è un elemento fondamentale solo nei mercati finanziari, lo è anche all’interno della società civile. Con l’attuale situazione politica fatta di annunci e di promesse, di leggi per ora incomplete o comunque sottoposte ad un eterno dibattito, la società civile non può di certo dichiararsi soddisfatta della propria rappresentanza e del proprio governo. Le elezioni anticipate, additate per ora come un pericolo, potrebbero trasformarsi in una necessità qualora la situazione di stallo dovesse perpetuarsi ostacolando, con sempre maggiore insistenza, un cambiamento reale del Paese Italia. Le elezioni anticipate siglerebbero, in ogni caso, un ennesimo fallimento della classe politica nel suo insieme e dell’esecutivo italiano in particolare.
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