Clima: Usa e Cina seguono l’Europa
Nei giorni scorsi Usa e Cina hanno siglato un accordo per la riduzione dei gas serra: entro il 2030 i primi si impegnano a ridurre del 28% le loro emissioni di gas serra, mentre i secondi promettono di iniziare a diminuire le loro emissioni. Gli obiettivi sono ampiamente inferiori a quelli sui quali sta lavorando l’Unione Europea sempre entro il 2030, ovvero riduzione del 40% di emissioni di gas serra e aumento del 27% di efficienza energetica. Ma l’accordo ha una valenza storica: perché siglato da due potenze mondiali finora poco sensibili alle conseguenze delle emissioni inquinanti e fra loro in divergenza sulle soluzioni per ridurli, e perché esemplare nei confronti di tutte le altre economie ad alto tasso di emissioni, ovvero le economie emergenti del terzo millennio.
Finché a porsi il problema della riduzione dell’inquinamento erano quegli eccentrici degli Europei, avranno pensato finora nel mondo, il problema non c’era. Ma se anche le economie tirate su a petrolio e carbone come Usa e Cina si muovono, allora il problema ci deve essere e dobbiamo pensare a risolverlo anche noi. Questo si spera sarà l’effetto che la santa alleanza anti-inquinamento tra Europa, Usa e Cina potrà avere sui Paesi del G20, e in genere sulle classi dirigenti di tutti i Paesi ad economia carbonica. E solo questo, cioè una rapida conversione di massa alla riduzione degli inquinanti, potrà realisticamente condurre il trend di aumento della temperatura entro la fine del secolo dai 4 gradi previsti con questo trend ai 2 gradi considerati tollerabili per contenere gli sconvolgimenti climatici conseguenti entro costi economici e sociali accettabili. Cioè a risolvere il problema da decenni segnalato dagli scienziati, che, appunto, Usa e Cina da poco e gli Europei da un po’ più di tempo hanno cominciato a comprendere: inquinare con l’obsoleta energia carbonica innesca una catena di conseguenze economiche e sociali insostenibili, che nessuna economia, per quanto potente, potrà in futuro fronteggiare. Insomma, il linguaggio del dollaro e dello juan ha potuto laddove per decenni gli scienziati non hanno potuto nulla.
In area Euro invece, si sa, il discorso è molto più evoluto. Due giorni fa si è tenuto a Roma il meeting annuale dei parlamentari e dei legislatori dei Paesi UE impegnati per contrastare i mutamenti climatici e aderenti a Globe. Il meeting è stato ospitato da Globe Italia, l’intergruppo Camera-Senato sui cambiamenti climatici. Obiettivo: briefing. Perché, appunto, sulla lotta alle emissioni inquinanti l’Europa ha molto e complesso lavoro in cantiere. Parlamentari e legislatori hanno quindi lavorato sui noti obiettivi da raggiungere anche attraverso strumenti come l’interconnessione delle reti elettriche ma anche la modernizzazione dei fondi anti-inquinamento, l’incremento delle fonti rinnovabili e l’abbandono definitivo del carbone, tanto caro alla Gran Bretagna ma soprattutto alla Polonia. E la destinazione di una parte importante dei 300 miliardi di euro del Piano di Investimenti di Juncker allo strumento esecutivo di tutto ciò, la Green Economy.
Al meeting di Roma c’erano tra gli altri la presidente di Globe Europe Petra Bayr e la presidente di Globe Italia Maria Stella Bianchi, e la responsabile delle politiche per le energie rinnovabili, la ricerca e l’innovazione e l’efficienza energetica della Commissione Europea Marie Donelly. A rappresentare l’Italia, oltre ai parlamentari europei, il vicepresidente della Camera Giachetti, i presidenti delle Commissioni Ambiente di Camera e Senato Ermete Realacci e Francesco Maria Marinello, oltre ai viceministri allo Sviluppo Economico Claudio De Vincenti e all’Ambiente Silvia Velo. Efficace il messaggio di Realacci: dall’inizio della crisi, un terzo delle imprese italiane ha investito in green economy e nel corso di quest’anno il 60 per cento delle imprese che hanno effettuato investimenti è costituito da imprese green. La Green Economy, insomma, è capace di ‘crescita’. E a costo zero in termini di inquinamento. L’Europa ne è testimone, ed in essa l’Italia in crisi, salvo che per il settore green, lo è ancor di più. Un esempio da seguire, espresso in un linguaggio, quello dell’economia, che è chiaro per tutti.
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