Italia delle Regioni

A che punto è l’attuazione  del disegno di legge sulla difesa del suolo  e la messa in sicurezza del territorio, approvato dalle regioni esattamente un anno fa?  I dati impressionanti del consumo di suolo e dei fenomeni franosi in Italia.   Il Presidente della Conferenza delle Regioni e presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, ha partecipato alla conferenza stampa che si è svolta il 20 novembre scorso a palazzo Chigi al termine dell’incontro organizzato dalla Struttura di missione del Governo Italiasicura contro il dissesto idrogeologico.

“L’incontro segna la via di un lavoro comune in termini non emergenziali, cercando di prevenire i disastri. Ho apprezzato l’impegno assunto affinché i criteri sui progetti siano basati sulla oggettiva pericolosità del territorio”. E’ poi “importante che i criteri di selettività dei progetti non siano dettati da chi arriva prima o proporzionali alla popolazione”, ma oggettivi come quelli legati appunto a fattori o situazioni di “pericolosità per il territorio”, sottolinea Chiamparino Inoltre per Chiamparino è importante che l’esclusione degli investimenti dal  patto di stabilità già prevista per i Comuni possa riguardare oltre che la sicurezza delle scuole anche gli interventi per il dissesto idrogeologico, “compresi gli interventi di prevenzione che in alcuni casi – ha sottolineato Chiamparino – sono indispensabili. E insisto su questa formulazione perché mi sembra quella che include oltre agli interventi di ripristino e di riassetto anche quelli possibili di prevenzione”.

E’ stata poi registrata, nel corso dell’incontro, la disponibilità da parte del sottosegretario Delrio “a riflettere” sul “Patto di stabilità per le Regioni, che entrando in pareggio di bilancio il prossimo anno”, sono evidentemente molto interessate agli esisti della discussione sulla legge di stabilità, da “cui mi auguro e sono fiducioso che a breve ci possano essere degli squarci di sole”.

Anche il sindaco di Firenze e coordinatore delle città metropolitane dell’Anci, Dario Nardella, ha sottolineato l’importanza della riunione di palazzo Chigi. “110 milioni non sono sufficienti ma sono comunque un passo concreto – ha detto – Finalmente si dice con più chiarezza chi fa cosa e si accorcia la catena di comando, che finora è stata troppo lunga. Finalmente i soggetti istituzionali comprendono la serietà della situazione e la necessità di lavorare in squadra”.

Il disegno di legge delega per la difesa del suolo, oltre ad avere avuto il parere favorevole delle Regioni, ha ricevuto il via libera anche dalla Conferenza Unificata. Riepiloghiamo la posizione delle regioni italiane sulla materia della difesa del suolo.

1) le Regioni, in particolare, pur apprezzando l’iniziativa del Governo e condividendone le finalità, come spiegano nel documento approvato in Conferenza delle Regioni, ravvisano la necessità di un intervento correttivo sul testo “per rendere attuabili e sostenibili le relative disposizioni attraverso il loro raccordo con le normative regionali vigenti, nel rispetto della ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni nei diversi ambiti in cui interviene il provvedimento, con specifico riferimento alle disposizioni che attengono la materia del governo del territorio”;

2) i governatori delle regioni sono particolarmente preoccupati dall’attuazione della disciplina prevista sulle priorità del riuso, sui tempi ed i contenuti, “data anche la complessità procedurale e documentale della disciplina prevista e le ricadute sulla attività pianificatoria di competenza degli enti territoriali”;

3) in generale, però, le Regioni “apprezzano l’iniziativa del Governo di affrontare la tematica della valorizzazione delle aree agricole e del contenimento del consumo del suolo, tema non più procrastinabile che richiede un comune obiettivo anche nella logica di un rinnovato modello di sviluppo economico e sociale incentrato sulla sostenibilità e sulla valorizzazione del patrimonio territoriale e ambientale esistente”. Le Regioni condividono “le finalità che si intendono perseguire con il disegno di legge: la valorizzazione dei terreni agricoli, nonché la promozione e la tutela dell’attività’ agricola, del paesaggio e dell’ambiente, al fine di impedire che il suolo – bene comune e risorsa non rinnovabile – venga sottratto alla sua utilizzazione agricola e stravolto nelle sue connotazioni naturalistiche attraverso l’eccessivo consumo”;

4) i temi della manutenzione del territorio, della pianificazione territoriale come strumento di prevenzione e di contrasto del rischio idrogeologico, delle politiche di sostegno alla residenza nelle comunità montane e rurali sono considerati dalle regioni italiane come elemento fondamentale dell’azione di contrasto dei fenomeni di abbandono e di degrado del territorio, dell’ammodernamento della legislazione in materia di difesa del suolo e del riordino del relativo sistema di competenze e di responsabilità;

Da parte delle regioni, con le dichiarazioni  più volte espresse dalla Conferenza Stato-Regioni,  è giusto riaffrontare il tema della manutenzione e della messa in sicurezza del territorio, a partire dalla riproposizione di alcuni dati essenziali relativi alla «fragilità» del territorio italiano e alla forte incidenza del rischio idrogeologico, oltre a quello sismico.

In Italia, infatti, le aree ad elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10 per cento della superficie del territorio nazionale (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l’89 per cento dei comuni (6.631);in esse vivono 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione nazionale), per un totale di 2,4 milioni di famiglie; in tali aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici e più di 2/3 delle zone esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive.

Inoltre, la pericolosità degli eventi naturali è senza dubbio amplificata dall’elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano (oltre il 60 per cento degli edifici – circa 7 milioni – è stato costruito prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica per le costruzioni e, di questi, oltre 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione e, quindi, più esposti ai rischi idrogeologici); dall’abnorme consumo di suolo vergine (tra il 2001 e il 2011 il suolo consumato è cresciuto dell’8,8 per cento e oggi si consumano circa 8 metri quadrati di suolo al secondo: questo vuol dire che ogni 5 mesi viene cementificata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quella di Milano e Firenze), nonché dai gravi fenomeni di abbandono dei terreni montani, di incontrollato disboscamento, di costruzione, spesso abusiva, di immobili sui versanti a rischio, di mancata pulizia dei corsi d’acqua e di cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti.

In Italia in 50 anni la superficie cementificata e asfaltata è aumentata del 500 % A lanciare l’allarme sono il Wwf Italia e il Fondo per l’Ambiente Italiano che nel dossier “Terra Rubata” raccontano di  un Paese sommerso dal cemento e dall’asfalto: la superficie impermeabilizzata è in costante aumento: 500% in più in circa 50 anni di osservazione.

La cementificazione avviene attualmente in un periodo di decremento demografico e in cui il paesaggio è forse una delle risorse più importanti dell’Italia.   “Peraltro in un’epoca in cui non si prevede crescita demografica e in cui il paesaggio è forse una delle risorse più importanti del Paese, questa appare una scelta poco sensata. Anche l’IMU, introdotta dal federalismo fiscale, si conferma come un introito per i Comuni ancora proporzionale in larga parte alla quantità di edifici senza, almeno per ora, vincoli particolari di utilizzazione e quindi del tutto analoga all’ICI negli effetti nefasti sulla trasformazione del suolo.”

Nell’indagine FAI WWF, che ha riguardato circa la metà del territorio italiano, si è visto che l’area urbana si è mediamente moltiplicata di quasi 3 volte e mezza dal Dopoguerra ai primi anni 2000, con un aumento di quasi 600.000 ettari in circa 50 anni, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia.    Il business del cemento, del quale siamo i primi produttori in Europa, alimenta anche la diffusione delle cave di calcare per cementifici che infliggono pesanti ferite al paesaggio,  visto che sorgono sui fianchi di colline e montagne, e risultano visibili a chilometri di distanza, assumendo il tipico aspetto di enormi cicatrici color bianco abbagliante.

La piaga dell’abusivismo edilizio, particolarmente nel Meridione ma non solo, amplifica a dismisura il fenomeno del consumo di suolo, sia in aree a forte vocazione agricola che in aree dove il buon senso impedirebbe di costruire, come le pendici dei vulcani, o in terreni geologicamente a rischio . Il Vesuvio è un caso emblematico anche perché a case e altri manufatti, si aggiunge la presenza di cave e discariche, a fronte di un territorio fertile in cui si coltivano diversi prodotti tipici.

©Futuro Europa®

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