Astensionismo e buona politica
Dopo ogni elezione si fa fatica a orientarsi tra i commenti di parte, ma i numeri sono numeri e le ultime regionali, al di là delle fumisterie abituali, si prestano a constatazioni fin troppo chiare. La prima è che il PD ha avuto successo – imponendosi con un distacco di quasi venti punti in Emilia-Romagna e di più di trenta in Calabria – e ora governa nelle maggioranza delle Regioni italiane; la seconda è che Forza Italia è in crisi; la terza è che la Lega ha avuto un buon risultato in Emilia-Romagna, ma è ovviamente assente nel Sud, per cui non è e non può essere una forza veramente nazionale; la quarta è che il Movimento grillino ha fatto un altro flop; la quinta – quella che più attira l’attenzione dei commentatori – è che l’affluenza alle urne è stata molto bassa, un record storico negativo. Al conto manca il voto di 60% di italiani e su questo circolano spiegazioni, che convincono solo in parte.
La Repubblica parla di “sfiducia nei confronti del Governo Renzi”. All’elettorato tradizionale del PD (specie a quello dell’Emilia-Romagna) spiacerebbe quell’aura di destra liberale di cui sindacati e sinistra radicale circondano il Premier. Questo elettorato avrebbe voltato le spalle al PD, rifiutandosi però di votare per altri partiti lontani dalla sue convinzioni viscerali. Può darsi! Ma alle primarie Renzi aveva avuto in Emilia-Romagna un’alta adesione proprio sulla base del programma che afferma di voler attuare. Per altri, invece, una parte della gente si asterrebbe perché quel programma non è stato finora sufficientemente realizzato. Probabilmente c’è del vero in ambedue le spiegazioni. Nessun fenomeno di questo tipo ha una sola ragione. Tuttavia, penso che alla base di esso ci siano considerazioni di portata più generale. Alcune possono persino apparire consolatorie: le elezioni locali attraggono sempre meno attenzione in tutte le democrazie occidentali; prove elettorali troppo frequenti stancano; nelle democrazie avanzate, come negli Stati Uniti, la gente vota poco.
Tutto vero, ma il fatto centrale è che gli italiani, in maggioranza ormai, sono stanchi di una classe politica che dà l’impressione di girare a vuoto, perde un tempo infinito a discutere invece di fare e si avvita su sé stessa, tardando a dare risposta alle vere preoccupazioni della gente. Perciò il fenomeno riguarda più o meno tutti i partiti. Alla gente non piace la rissa perpetua, sia tra le forze politiche che, peggio ancora, al loro interno; a sinistra, vede il leader del partito di governo, che ha vinto le primarie, contestato da un pugno di sconfitti; a destra vede polemiche, frazionismo, Berlusconi – fino a qualche tempo fa leader indiscusso e indiscutibile – contestato da statisti del calibro di Raffaele Fitto. Come non provare stanchezza e rigetto, specie in tempi di economia debole e insicurezza crescente? Che dovrebbe fare la gente? A chi dovrebbe dare la propria fiducia? Ringraziamo il cielo perché, finora almeno, le forze antisistema, per la loro sguaiatezza, la loro palese mancanza di credibilità, non attraggono se non una minoranza di scontenti. Anche ad esse, in definitiva, vanno la sfiducia e il disincanto della gente (il voto della Lega in Emilia non prova niente: la Lega è cresciuta cannibalizzando Forza Italia, non aprendosi spazi nuovi al centro o a sinistra). Quale persona normale e di buon senso non si sente respinta dalla esaltata demenza di un Beppe Grillo, dalle sue volgarità, dalle sue urla scomposte? O da un Salvini alleato alle peggiori forze razziste e neo-naziste d’Europa? Ma non riposiamo sugli allori! Le cose potrebbero cambiare se apparisse da quelle parti un capo davvero capace plasmare gli scontenti in una forza maggioritaria.
Che conclusioni trarre da tutto questo? La prima è che, piaccia o no, il PD resta la pietra angolare del sistema politico in questa fase della nostra vita nazionale. Al suo interno, il buon senso dovrebbe far pensare che Renzi, nuovamente vincitore, abbia rafforzato la propria leadership, ma è fin troppo facile immaginare che il triste stuolo dei piagnoni, da Fassina a Civati (Civati chi?), tornerà ad attaccarlo servendosi dell’astensione (già hanno cominciato). Ed è davvero troppo sperare che la signora Camusso capisca dove stanno il buon senso e il vero interesse dei lavoratori e del Paese e la smetta di giocare con il fuoco degli scioperi generali. Ma è difficile pensare che NCD possa sfilarsi dal governo in questo momento, per cui il Governo Renzi dovrebbe poter andare avanti.
La seconda conclusione riguarda la perdita di voti di Forza Italia. Cattiva notizia in sé per i moderati, pessima se la perdita è avvenuta a favore della Lega, essendo impensabile un centro-destra che abbia nella Lega il suo asse portante. Anche la caduta d’immagine di Berlusconi in seno a FI è una cattiva notizia. Nel bene e nel male, la sua leadership ha tenuto insieme la più importante forza rappresentativa dei moderati italiani e – dopo l’imperdonabile errore di uscire dal Governo Letta – permette ora a FI di restare co-protagonista delle riforme. Ma con un nuovo frazionamento o il “sorpasso” della Lega, il programma di ricostituire un centro-destra moderato, liberale, europeo, capace di vincere le elezioni e poi, grazie alla legge elettorale in cantiere, di governare, si fa più complicato ed è a questo che l’intero centro-destra deve ora adoperarsi a far fronte.
Resta il problema dell’astensionismo, dal quale non si uscirà facilmente né presto. Renzi ha avuto torto definendo la scarsa affluenza alle urne “un problema secondario”. Non lo è affatto! Certo, lui può dire che il problema riguarda tutti i partiti, ma il PD comunque vince. Dal punto di vista legale, non ha torto, giacché in democrazia contano i voti espressi, non quelli negati. Ma politicamente, un’astensione del 60% (rispetto al 30% considerato dappertutto fisiologico) conferma un distacco della gente pericoloso per la vitalità delle istituzioni democratiche. Tutte le forze politiche responsabili sono dunque chiamate a rimediarvi, soprattutto PD e FI, nel solo modo possibile: facendo rispettivamente buon governo, buona amministrazione, buona opposizione; insomma, buona politica. Altrimenti si rischia di mettere la nostra democrazia in mano a quelli che non vogliono rafforzarla ma distruggerla, distruggendo insieme le nostre libertà.
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