Sul Piano Juncker

[NdR – Riceviamo da Alessandro Morselli, docente di Economia internazionale a La Sapienza di Roma, una riflessione sul Piano presentato l’altro giorno dal Presidente della Commissione Europea per il rilancio della crescita economica della UE]

Il Piano Juncker non appare convincente sul piano sostanziale. Piuttosto sembra un tentativo malriuscito di abbozzare un piano keynesiano per dare la sensazione di voler mettere in moto la macchina degli investimenti. Un tentativo di impressionare il popolo che la tecnocrazia va di pari passo con il benessere collettivo. Quindi, distogliere l’attenzione sul processo di “svalutazione interna”, attuato attraverso le famose “necessarie riforme strutturali”, vale a dire mercato del lavoro sempre  più flessibile e forti riduzioni dei salari nominali e delle prestazioni sociali.

In generale il piano Juncker cerca di attivare nuovi investimenti nell’Unione Europea per un ammontare di 315 miliardi di euro in tre anni, per avere all’incirca 1,3 milioni di nuovi posti di lavoro e, nel contempo, un aumento significativo del Pil.

Anzitutto la quota di 315 miliardi rappresenta non il punto di partenza, ma un obiettivo da raggiungere, poiché le risorse reali ammonterebbero a 21 miliardi, di cui 16 elargite dal bilancio UE e 5 dalla Banca europea degli investimenti, la cifra restante sarebbero risorse finanziarie da trovare tra i privati e le autorità nazionali.

I 21 miliardi dovrebbero essere canalizzati in un “fondo europeo per gli investimenti strategici” e attraverso la garanzia di queste risorse la Bei dovrebbe rastrellare fondi sul mercato per 63 miliardi, per raccogliere alla fine cofinanziamenti privati e pubblici per un ammontare di 315 miliardi. Tutto, allora, si baserebbe sull’attivazione di un importante moltiplicatore keynesiano, poiché ogni euro, si spera, ne possa attirare altri 15.  Una leva finanziaria pari a un rapporto di 1/15 risulta essere troppo elevata. Solitamente la leva finanziaria per operazioni di questo tipo è 5/8.

Ammesso che il progetto in questione produca effetti reali sulla crescita, gli investimenti necessitano il trascorrere di almeno due anni. Se poi teniamo in considerazione che il paese strutturalmente più forte dell’UE (la Germania) ha detto che non presenterà nessun progetto che potrebbe essere finanziato attraverso tale meccanismo, l’incertezza sulla fattibilità del piano Juncker risulta essere molto elevata.

©Futuro Europa®

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