Europa, Islam e Papa Francesco
Se ci allontaniamo un po’ dal gallinaio domestico, tre fatti appaiono salienti sul piano internazionale nella settimana appena conclusa: Il discorso del Papa a Strasburgo, il programma d’investimenti presentato dal Presidente della Commissione Europea Juncker e la visita a Roma del Presidente egiziano Al Asisi. Sono fatti diversi ma legati tra loro da un filo sottile: tutti tre riguardano l’Europa in rapporto ai suoi popoli, al Mediterraneo e all’Islam.
Nel suo discorso, Papa Francesco ha richiamato l’Europa a ritrovare la vocazione di promotrice di diritti umani e progresso solidale, un invito che vengono da tempo ripetendo il Premier italiano e il Presidente francese. A quanto pare, Juncker lo ha raccolto, mostrando la sensibilità sociale che dovrebbe caratterizzare un Popolare. Il punto di partenza “politico” è specialmente rilevante. Si riconosce che in questi anni di necessario rigore sono venuti meno in Europa investimenti per 320 miliardi di euro e che è ora di voltare pagina e dedicarsi al rilancio dell’economia. I settori individuati sono quelli strategici: principalmente (ma non solo) scuola, trasporti, efficienza energetica, comunicazioni. I dettagli si conosceranno meglio quando, a giugno prossimo, sarà noto il programma completo. Quanto alle risorse, sappiamo ora che, dei 325 miliardi di euro previsti, 21 verranno dalla Commissione (in forma di garanzia di bilancio) e dalla Banca Europea degli Investimenti. Essi dovrebbero fare da leva per gli investimenti pubblici e privati previsti.
Il condizionale è d’obbligo ma non si tratta di una previsione insensata: già in passato l’effetto moltiplicatore di investimenti europei è stato pari o superiore al 150%. Poiché la maggior fetta di investimenti resta a carico degli Stati membri, un punto è di capitale importanza: per la prima volta, la Commissione dichiara che la relativa spesa non sarà contabilizzata ai fini del deficit fiscale. Finora non era così e questo costituiva un pesante freno agli investimenti pubblici. Ora gli Stati che non vorranno o non sapranno investire per il rilancio economico non avranno più alibi. Naturalmente, ad ogni tappa del programma, tra l’UE, i Governi e i privati dovrà esistere un efficace “lavoro di squadra”. È importante che il Governo italiano se ne faccia carico per la sua parte, per non disperdere – come spesso è accaduto in passato – i benefici che verranno dai fondi comunitari. Vedremo. Ma intanto diciamoci che, se il programma Juncker si realizzasse nelle forme e tempi previsti, l’intera Europa, e l’Italia con lei, potrebbero finalmente uscire dal torpore di questi anni e invertire il cammino di un declino fin troppo annunciato (e ad alcuni fin troppo gradito).
Ma il discorso del Papa ha toccato un altro tema centrale: quello dei diritti umani in Europa. A questo riguardo, ha rivolto un appello appassionato a superare le discriminazioni per causa di sesso, razza, religione, disponibilità di risorse e a riconoscere a tutti, e innanzitutto ai giovani, il diritto primario al lavoro. La sua parola chiave è stata “dignità”. Con molta efficacia, ha anche ricordato che il Mediterraneo non può essere “un cimitero di immigranti”. Per tutto questo si è richiamato alle radici cristiane dell’Europa (quelle radici tristemente omesse nel preambolo alla Costituzione poi fallita). I suoi appelli sono stati accolti da applausi entusiastici (in cui socialisti, popolari e liberali si sono trovati uniti; non so se – e con che faccia – abbiano applaudito anche quei movimenti che rappresentano l’intolleranza e il razzismo).
Poi, come in un capitolo separato, il Papa ha condannato l’indifferenza rispetto alla tragedia dei tanti cristiani perseguitati e massacrati nel mondo (non ha detto “dall’Islam”, ma da chi altro se no?) Avrebbe forse potuto condannare chiaramente gli autori di tali persecuzioni e massacri, non solo chi li ignora o finge di ignorarli. Più in generale, non riesco a vincere l’impressione che il Pontefice si sia prudentemente fermato sulla soglia di alcune verità “impolitiche”. Il fatto è che i fenomeni che accadono da noi e nell’Islam, ambedue condannabili, sono di scala diversa. Da noi manifestazioni di odio razziale o intolleranza religiosa sono aberrazioni respinte dall’opinione in generale e condannate dalla legge. E difatti, milioni di musulmani vivono in casa nostra praticando la propria religione e i propri costumi, con il solo limite di rispettare le leggi penali e civili locali (e non pochi le violano e non esitano neppure a predicare e praticare odio e violenza contro la società che li ospita). In molti paesi islamici, disparità di diritti, oppressione delle minoranze e intolleranza religiosa sono parte di un costume accettato, legale e fondato su prescrizioni coraniche. Nei paesi più fanatici, i cristiani sono perseguitati e massacrati e c’è chi si propone apertamente di convertirci e sottometterci a ferro, fuoco e sangue. Capisco il ritegno del Santo Padre. Non vuole e non può essere il capo di una nuova Crociata. Ma forse potrebbe evitare di condannare chi i cristiani (e altre minoranze perseguitate dallo Stato Islamico) li difende con le armi e di dire, come ha fatto con i giornalisti nel suo viaggio verso Strasburgo, che con l’IS “non esclude di poter dialogare”. Dialogare con gli assassini non serve a nulla. Serve soltanto a loro.
Il richiamo del Papa al Mediterraneo “cimitero d’immigranti” riporta alla visita di Al Asisi a Roma. La tragedia di quanti muoiono cercando di fuggire la miseria e la guerra può lasciare indifferente solo gente del calibro di un Salvini. Il Papa fa perciò benissimo a condannare l’indifferenza. Ma forse dovrebbe anche riconoscere gli sforzi di tanti, autorità e privati, che. almeno in Italia, indifferenti non si mostrano e ricordare che la tragedia nasce dalle politiche criminali di governi e fazioni arabe che si contendono il dominio delle rive di quello che fu un tempo il “Mare Nostrum”. Anche qui, il Santo Padre si è forse fermato sulla soglia di un verità impolitica. Ma il suo appello è di altissimo valore morale e l’Egitto può fare molto, assieme all’Italia e all’Europa, per realizzarlo (sono certo che Francesco e Al Asisi ne hanno parlato a voce nel loro incontro in Vaticano).
Anche al di là della tragedia dell’immigrazione, la visita di Al Asisi a Roma riveste un carattere di grande importanza per i rapporti euro-arabi. L’Egitto, per la sua storia, la sua forza militare, la sua posizione geografica, il suo livello intellettuale, è un elemento centrale per tutta la regione. Se perdessimo l’Egitto, tutto sarebbe molto più difficile e pericoloso. Questo riguarda l’Italia in prima persona (basta guardare la carta geografica per capirlo). I due Paesi sono infatti da tempo uniti da relazioni politiche, culturali ed economiche (l’Italia è il terzo partner commerciale dell’Egitto, dopo Stati Uniti e Cina), che giustamente Renzi ha definito “strategiche”. Il ruolo di quel grande Paese non può però esaurirsi nel mantenersi lontano dall’estremismo. L’Egitto può essere un fattore attivo e di peso nel combattere il terrorismo della Jihad, sia nel Medio Oriente che in Libia. È nell’antica “quarta sponda”, soprattutto, che Italia ed Egitto devono collaborare per spegnere incendi che minacciano di infiammare il mare nel quale siamo immersi.
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