Cronache dai Palazzi

Question time in Parlamento per il premier Matteo Renzi che ribadisce: “Questa è la grande legislatura delle riforme”. Al centro del dibattito il Jobs Act diventato legge. Mercoledì 3 dicembre, grazie al voto di fiducia al Senato invocato dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il disegno di legge delega sul lavoro è stato approvato in via definita – 166 sì, 112 no e un astenuto –  anche se produrrà effetti reali solo con l’applicazione dei decreti attuativi che il governo dovrà emanare entro sei mesi. Il primo decreto attuativo dovrebbe arrivare tra qualche settimana e riguarderà il contratto a tutele crescenti che l’esecutivo Renzi mira a rendere operativo il prima possibile, si pensa già nel primo mese del nuovo anno. Secondo la prassi il Parlamento dovrà esprimere il proprio parere non vincolante entro un mese dal primo decreto attuativo.

Pd e Ncd si sono schierati a favore del provvedimento di stampo renziano, anche se la minoranza dem ci ha tenuto a sottolineare di aver votato la fiducia “per senso di responsabilità” e da ora in poi mira a “vigilare sui decreti”, pur essendo il parere del Parlamento non vincolante. Proteste da parte di Sel per quanto riguarda il superamento dell’articolo 18, mentre per Forza Italia il Jobs Act è “un vestito sotto il quale non c’è niente: non creerà posti di lavoro”.

Nonostante tutto, Matteo Renzi esulta su Twitter e ribadisce: “Il Jobs Act diventa legge. L’Italia cambia davvero. Questa è #lavoltabuona. E noi andiamo avanti”. Secondo il ministro del Lavoro Poletti il testo “migliorato” in Parlamento genererà una riforma che renderà il mercato del lavoro “più semplice ed efficiente, soprattutto per i giovani”. Saranno ridotte “le forme contrattuali, eliminando quelle più precarizzanti” e il sistema degli ammortizzatori sociali subirà una netta riorganizzazione per “renderli universali”. A proposito di indennizzo in caso di licenziamento dei nuovi assunti si calcolerà un stipendio e mezzo per ogni anno di lavoro, e un tetto massimo pari a due anni di retribuzione. Sono previste comunque tre variazioni sul tema. La prima riguarda i licenziamenti economici, per cui non sarà più possibile il reintegro in azienda. In secondo luogo il reintegro scomparirà anche se saranno violate le procedure di consultazione con i sindacati e, terzo, se non ci si atterrà ai criteri per decidere chi mandare a casa, come i carichi di famiglia. A proposito di licenziamenti disciplinari, infine, il decreto attuativo definirà le “specifiche fattispecie” che possono consentire il reintegro.

Il calderone delle riforme non contiene solo il Jobs Act. Il dibattito è acceso anche a proposito di altre questioni che infiammano la politica di questo ultimo mese dell’anno. Prima fra tutte la partita del Quirinale sulla quale sono concentrati tutti i partiti che Renzi vorrebbe convogliare pacificamente verso una decisione che sia la più ampia possibile.

Di fronte alle telecamere di Bersaglio Mobile di Enrico Mentana, il presidente del Consiglio puntualizza che “nel Patto del Nazareno non c’è il Quirinale”, e rivolgendosi ai pentastellati auspica una discussione proficua con il “direttorio”, anche perché “uno straordinario presidente si sceglie tutti insieme”. Sul Colle la Lega si rende inoltre disponibile ad “appoggiare un candidato proposto da Renzi se positivo e non di parte” . “Mai detto no a nomi bocciati in passato – sottolinea inoltre Renzi -, l’importante è che ci sia massima convergenza”.

Su un altro binario viaggia la riforma del sistema di voto e sembra che la revisione dell’Italicum  metta a rischio le ferie natalizie dei senatori. Matteo Renzi mira a far approvare la riforma in Commissione entro il 23 dicembre, anche se a Palazzo Madama sono convinti che  passerà in Aula solo il 15 gennaio. “Volendo potremmo mandarla in porto entro il 7 gennaio”, insiste Matteo Renzi, dopodiché il cammino si rivelerebbe più semplice: “Alla Camera non abbiamo problemi di numeri”, confida il premier ai fedelissimi.

Una fretta che fa crescere la paura di elezioni anticipate in coloro che non le gradirebbero, Forza Italia in primis, nonostante Renzi abbia assicurato la presenza di una clausola di salvaguardia. In realtà l’accelerata sulla riforma elettorale sarebbe finalizzata ad una serena uscita dalla scena del presidente Napolitano. Approvando la legge al Senato secondo Renzi la riforma sarà ad un passo dal divenire realtà e il Capo dello Stato potrà così lasciare il suo incarico con la consapevolezza di aver accompagnato, fino alla fine, una delle riforme chiave che si era prefissato di portare a termine nel momento in cui aveva accettato il secondo mandato, il 22 aprile di quest’anno.

L’affaire Quirinale rappresenta comunque una questione spinosa che preoccupa soprattutto l’ex Cavaliere, impegnato inoltre a far chiarezza in casa propria dove è in atto una specie di guerra sotterranea con Raffaele Fitto, che non ha mai condiviso il Patto del Nazareno e reclama da parte dei forzisti un’opposizione decisa nei confronti della politica del governo. “Ho bisogno di un partito unito, tanto più oggi che siamo impegnati nella trattativa sul Capo dello Stato e sulle riforme”, spiega Berlusconi ai suoi. In questo frangente così delicato una spaccatura di Forza Italia, o anche solo la diaspora di un gruppetto, favorirebbe di certo un indebolimento della posizione forzista e l’ex Cavaliere potrebbe ritrovarsi un nome non gradito al Quirinale, per il quale, come rivela all’Huffington post, “serve un nome di garanzia e non di sinistra”, aggiungendo che “le partite del Colle e delle riforme sono collegate”. A proposito di legge elettorale, in particolare, “l’importante è che si faccia una buona legge che non penalizza nessuno”.

In questo periodo di limbo Berlusconi mira inoltre a rafforzare la sua voce sui temi concreti lanciando la propria ricetta economica: flat tax al 20%, 1.000 euro in più con le tredicesime, niente tasse sulla prima casa, abolizione dell’Irap e sostegno alle pensioni minime. Un’operazione dal sapore squisitamente pre-elettorale finalizzata al raggiungimento di pubblici ben precisi, o meglio potenziali elettori. Magari tra gli obiettivi dell’ex Cavaliere c’è anche quello di prepararsi ad eventuali elezioni anticipate.

Nel frattempo, a proposito di economia, il numero uno dell’Eurotower rilancia un programma di Quantitative easing, che “rientra nel mandato della Bce”, ha sottolineato Mario Draghi. L’acquisto  consistente di titoli privati e soprattutto pubblici da parte della Banca centrale europea – una delle modalità con cui una Banca centrale può creare moneta – potrebbe rivelarsi una manovra efficace per ridare linfa all’economia mantenendo a lungo bassi i tassi e favorendo investimenti in euro. “Non c’è l’unanimità” – il capo della Bundesbank Jens Weidmann, ad esempio, si dichiara contrario – ma “l’unanimità non è necessaria”, continua Draghi, anche se si tratta di mettere in atto “un’importante misura di politica monetaria” che, comunque, “può essere disegnata bene per ottenere un ampio consenso”.

In una lettera aperta sul Corriere della Sera il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ribadisce infine che “fino a sei mesi fa crescita e investimenti erano temi estranei alla prospettiva di Bruxelles. È “grazie all’iniziativa italiana”, sottolinea il ministro, che oggi l’Ue avverte “la necessità di spingere l’acceleratore sugli investimenti”, riconoscendo inoltre “la relazione tra l’attuazione delle riforme strutturali e la flessibilità nel consolidamento di bilancio”. Dall’analisi delle singole leggi di Stabilità dei Paesi membri sembra essere emersa in Europa “la consapevolezza di quanto queste dimensioni delle economie nazionali siano legate tra loro e con i destini comunitari”, e tutto ciò anche grazie al “lavoro della presidenza italiana”.

L’obiettivo del governo è quindi contribuire a cambiare il Paese e nel contempo l’orientamento delle istituzioni comunitarie in una prospettiva di integrazione interna all’Unione che si percepisca sempre più forte. L’Europa, “o cambia davvero o va in difficoltà”, afferma Renzi di fronte ai microfoni di La7. L’obiettivo è che “l’Italia sia ascoltata” ma, per evitare il contrario, dopo l’approvazione del Jobs Act occorre procedere spediti con la riforma elettorale e un inizio di riforma costituzionale, senza trascurare ovviamente la legge di Stabilità – per ora al vaglio della Commissione Bilancio – che  occuperà la scena tra pochi giorni e che di solito blocca l’intera attività parlamentare.

Quest’anno la legge di Bilancio dovrà necessariamente dividersi il campo con la riforma del sistema di voto e con la riforma costituzionale, considerando che rimangono ancora dei nodi da sciogliere su composizione e funzioni del nuovo Senato non elettivo, in sostanza il fulcro della riforma. In discussione, inoltre, l’ingresso dei sindaci nel Senato delle autonomie. La prima commissione Affari costituzionali lavorerà a ciclo continuo fino a giovedì 11 dicembre con l’obiettivo di preparare un testo condiviso e condivisibile, da portare in Aula entro il 16 dicembre.

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