Siria, l’UNESCO scende in campo
La Siria sta vivendo un periodo di difficoltà e incertezza, anche dal punto di vista culturale. Il Paese, in guerra civile da 2 anni, è ora alle luci della ribalta e attrae finalmente l’attenzione dell’UNESCO.
Le più importanti opere del patrimonio islamico sono conservate in Siria, che non è altro che l’ennesima vittima da mietere in seguito a conflitti funesti, dopo l’Egitto, il Mali, l’Iraq. Mamun Abdulkarim, direttore generale delle Antichità e dei Musei di Siria, ha assicurato di aver messo in salvo in luoghi sicuri i tesori storico-artistici, di cui tuttavia si sa davvero poco.
Gli addetti al settore nell’intera regione raggiungono appena la cifra di 2 500. Che dire? Dato assai rassicurante. Nemmeno in tempi di pace il numero è sufficiente a coprire i bisogni consueti e in questo caso a stilare un inventario dettagliato.
Il contrabbando è il male maggiore e garantisce a chiunque lo faccia qualche quattrino. Si registrano saccheggi e danni ingenti a siti museali e archeologici. Ormai diverse opere si sono dissolte nel nulla, come una grande statua rivestita in oro dall’Hama Museum e alcuni frecce, pugnali e oggetti dal National Museum of Aleppo.
Sul mercato di Beirut poi sono stati rintracciati 73 materiali archeologici, come era già accaduto in Turchia e in Giordania, che quindi sono stati restituiti allo Stato di origine. Al fine di evitare la dispersione dei Beni Culturali del Paese si è recentemente tenuto un incontro di specialisti, membri della Lega Araba e delle Nazioni Unite e lo stesso Mamun Abdulkarim.
Tutela, conservazione e sorveglianza sono le parole che è bene regnino in un momento tale. Bisogna infatti correre ai ripari, prima che sia irrimediabilmente troppo tardi. L’UNESCO e il direttore generale Irina Bokova in persona si stanno mobilitando per fare fronte a una situazione in cui l’intervento nazionale si presenta come insufficiente e irrisorio.
Il destino vuole che i conti si facciano solo dopo la fine della guerra che sembra allontanarsi sempre di più. Il patrimonio islamico non può però aspettare e diventare fonte di illegalità, alimentando traffici illeciti e il mercato nero, più che di sostentamento per un terzo dei 23 milioni della popolazione siriana in grave disagio.
Perché non considerare l’operazione dell’UNESCO nell’accezione di “aiuto umanitario”? Non lo è forse? La Bokova ricorda appunto: “Un popolo senza cultura è un popolo senza niente”. È giusto che allora vengano prese misure il prima possibile. Non sono queste misure preventive, ma del tutto impellenti.
La questione culturale deve essere una prerogativa per il Paese, il mondo islamico e chiunque dall’estero possa portare il proprio aiuto. A ogni modo, senza voler fare la figura di Ponzio Pilato, sono ben altre le organizzazioni di competenza e non certo l’UNESCO per quelli che comunemente ricevono l’appellativo di “aiuti umanitari”.
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