ONU, a Lima scontro sul clima

Alla fine l’Assemblea dell’ONU ce l’ha fatta: alle 7:32 di questa mattina, con trentasei drammatiche ore di ritardo dopo ben dodici giorni di lavori, l’Ansa ha battuto la notizia dell’approvazione del documento finale sulla riduzione delle emissioni inquinanti, che l’assemblea non era riuscita a produrre a causa dell’opposizione di alcuni Paesi fra i quali spiccava la Cina. Venerdì, nel giorno di chiusura, il vertice era tecnicamente ‘fallito’. Ma Manuel Pulgar Vidal, ministro dell’Ambiente peruviano e presidente della Conferenza, ha fatto sua l’attesa del mondo di fronte a questa straordinaria emergenza, ha considerato improrogabile un accordo tra i 195 Paesi partecipanti, auspicato con parole forti da Papa Francesco nel suo messaggio all’assemblea ONU e giudicato inderogabile da quasi tutti, compreso il capo della delegazione americana Todd Stern, ed ha prorogato l’assemblea ad oltranza. E l’accordo è arrivato, anche se annunciato nei giorni scorsi come solo ‘preliminare’ a quello che dovrà essere approvato nella conferenza sul clima che si terrà a Parigi nel 2015. Tanto ‘preliminare’ che Vidal, che ha lavorato febbrilmente nella difficile mediazione, cercando più che altro di smussare i contrasti pur di giungere al documento finale, ha proposto di chiamarlo , prudentemente, ‘Appello di Lima per l’azione per il clima’.

Non è facile mettere d’accordo il mondo intero su come inquinare meno, lo sappiamo. Non è facile trovare una linea comune sulla riduzione degli inquinanti tra economie diverse, modelli e storie di sviluppo diversi, piani di investimento a lungo termine diversi, e soprattutto prospettive strategiche diverse. Ma non è facile per quale motivo? I mercati, o meglio il mercato, è unico. Le tecnologie, in primo luogo quelle per la produzione di energia, sono quelle che conosciamo. La globalizzazione almeno questo merito ce l’ha avuto: mettere tutti sullo stesso piano. E allora quali scuse si possono nascondere nelle pieghe delle residue diversità fra i Paesi del mondo?

Un esempio lo troviamo proprio in un episodio significativo del vertice, lo scontro fra Cina e USA, che ha portato alla luce i reali e differenti atteggiamenti dei due Paesi che poche settimane fa, proprio sulla riduzione dell’inquinamento, avevano firmato uno storico accordo. Come ha raccontato bene l’Adnkronos, ieri, dopo già ventiquattr’ore di faticosa proroga dei lavori della Cop20,  la Conferenza “ha rischiato di naufragare per il rifiuto della Cina di accettare una bozza definita non equa perché non riconosce le differenze tra le economie industrializzate e quelle emergenti, ponendo su quest’ultime un carico eccessivo”. Il carico in questione era quello dei costi per le riduzioni dell’inquinamento, ovvero le responsabilità finanziarie che dovrà assumere ogni paese nel Green Climate Fund, il fondo internazionale per il clima che a Lima ha raggiunto il traguardo simbolico dei 10 miliardi di dollari. Secondo i paesi in via di sviluppo, spetta alle potenze economiche pagare il conto del riscaldamento globale perché più inquinanti. I paesi più ricchi, da parte loro, hanno sottolineato il loro impegno in ambiziosi piani di riduzione delle emissioni che producono l’effetto serra ed hanno rifiutano di vedersi fissare paletti per iscritto nell’accordo che deve essere firmato nel dicembre del 2015 a Parigi. “So che è difficile per i paesi in via di sviluppo – ha detto nel suo intervento il segretario di Stato americano John Kerry – dobbiamo ricordare che oggi più della metà delle emissioni provengono da paesi in via di sviluppo, per cui è tassativo che anche loro agiscano”. Ma quali sono i Paesi in via di sviluppo? Sempre l’Adnkronos puntualizzava opportunamente che “Pechino pur dividendosi con gli Stati Uniti lo scettro di principali inquinatori del pianeta, producendo un quarto del totale globale delle emissioni di gas serra, si annovera tra le economie in via di sviluppo”.

A rincarare la dose, ieri, ci ha pensato il capo della delegazione americana, Todd Stern, che ha invitato i delegati delle  nazioni che partecipano alla conferenza ad accettare il compromesso perché un fallimento della conferenza di Lima sarebbe “un’enorme sconfitta” che minaccerebbe il summit di Parigi, previsto per la fine del prossimo anno, e la credibilità del sistema dell’Onu nell’affrontare l’emergenza dei cambiamenti climatici. E alla fine un documento è arrivato. Secondo il documento,  paesi dovranno presentare all’Onu entro il 1ottobre  2015 impegni “quantificabili” ed “equi” di riduzione delle emissioni, oltre ad una dettagliata informazione sulle azioni da seguire. E’ poi previsto che gli esperti della convenzione del cambiamento climatico esaminino l’impatto di tali misure, paese per paese, per verificare se sono sufficienti affinché la temperatura non salga oltre i due gradi in più. I paesi s’impegnano a rispettare una serie di azioni in vista della conferenza di Parigi dell’anno prossimo, il cui obiettivo è l’adozione di un accordo universale e vincolante per limitare il riscaldamento climatico a 2 gradi.

I contenuti, frutto di mediazione ad oltranza, non si discostano molto dalla previsione negativa del WWF. In chiusura dei lavori Maria Grazia Midulla, responsabile clima e energia del Wwf Italia, di fronte al testo che si andava delineando aveva sottolineato le “preoccupazioni per le azioni pre-2020”.”Il testo di Lima è importante e detta alcune direttrici. Il prossimo anno prima della conferenza Onu di Parigi sono comunque in programma “diverse riunioni, a cominciare da un incontro a Ginevra a gennaio”.”Per noi è deludente” che dal testo sul quale si sta lavorando a Lima “sia stato tolto ogni riferimento agli interventi di aiuto una volta che i danni dei cambiamenti climatici sono avvenuti”, aveva detto l’esponente del WWF Italia.”E’ d’altra parte negativo che non si faccia riferimento alla questione delle finanze, che è centrale, visto che rappresenta un modo per i Paesi sviluppati di aiutare le nazioni non responsabili dei cambiamenti climatici a prendere delle misure” per mitigare tali danni.

“Il terzo elemento è fondamentale: è infatti del tutto annacquata la parte che riguardava le azioni da fare e l’aumento dei tagli delle emissioni prima del 2020”, aveva concluso Midulla. “E’ la parte più importante: la comunità scientifica ci dice infatti che le emissioni devono declinare rapidamente entro pochissimi anni, pena il fatto che non si riuscirà a diminuire al di sotto dei 2 gradi l’aumento medio della temperatura globale”. Il che significherebbe l’innesco di una catastrofe climatica mondiale, eppure c’è chi ancora fa i capricci.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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