Bramante a Brera
Milano – A 500 anni dalla morte di Donato Bramante (1443/44-1514), la Pinacoteca di Brera celebra l’artista con una rassegna, fino al 22 marzo. L’esposizione “Bramante a Milano: Le Arti in Lombardia, 1477-1499” traccia le tappe essenziali per la formazione dell’artista poliedrico in terra lombarda, e indaga il seguito che la sua attività ebbe tra gli esponenti delle diverse arti figurative, in particolare a Milano. L’allestimento si pone in dialogo con le opere della collezione permanente, secondo il progetto di Corrado Anselmi.
Bramante, dopo il soprannome paterno, è stato educato sicuramente presso la corte di Federico II da Montefeltro a Urbino, dove ha avuto modo di ammirare le arti degli architetti, degli scultori e dei pittori attivi per il Duca. La lezione di Piero della Francesca, di cui Brera conserva la celeberrima “Sacra Conversazione” (1472-74), olio e tempera su tavola, si è rivelata fondamentale per la gestione della luce come elemento di chiarificazione intellettuale dello spazio. In questo modo, fin da subito, Bramante si prepara come artista-intellettuale 500entesco.
Come Leonardo, che incontrerà durante la propria permanenza alla corte sforzesca, e poi Raffaello e Michelangelo, incarna l’ideale di artista completo, perfetto in qualsiasi arte in cui si cimenti. La condizione sociale di artista passa da quella di artigiano medievale a quella di intellettuale, di colui che adopera soprattutto l’intelletto. Fra’ Sabba da Castiglione (1480-1554) dice di Bramante “cosmografo, poeta volgare, et pittore valente… et gran prospettivo”.
Non si conoscono i dettagli del periodo di attività precedente al soggiorno lombardo, che si estese appunto almeno dal 1477 al 1499; la prima testimonianza attendibile della sua presenza come pittore nella decorazione affrescata è da attestare alla facciata del Palazzo del Podestà a Bergamo, nel 1477, secondo Marcantonio Michiel; di questo ciclo di filosofi sopravvive solo un frammento con Chilone seduto, visibile in mostra fresco di restauro.
Secondo il Vasari: “Condottosi in Lombardia, andava ora in questa, ora in quella città lavorando il meglio che è poteva, non però cose di grande spesa o di molto onore, non avendo ancora né nome né credito”; e prosegue il Vasari: “Deliberatosi di vedere almeno qualche cosa notabile, si trasferì a Milano per vedere il Duomo” (dove vari maestri mandavano avanti la costruzione); e: “Considerata che egli ebbe questa fabbrica e conosciuti questi ingegneri, s’inanimì di sorte, che egli si risolvé del tutto darsi all’architettura.”
La sua presenza a Milano è per la prima volta documentata nel 1481, quando per Lui l’incisore milanese Bernardo Prevedari s’impegna, su incarico del pittore Matteo Fedeli, a realizzare un’incisione, conservatasi in due esemplari (British Museum e Collezione Perego, Milano) e rappresentante un tempio in rovina popolato di figure. Essa ci documenta l’originaria formazione urbinate e albertiana del Bramante, oltre che i suoi debiti, specie nelle figure, con la carica espressiva che fluisce per i maggiori centri artistici del nord Italia, da Bologna a Milano.
Il Bramante che arriva nella città ambrosiana è già un artista maturo, capace di scardinare i parametri figurativi della tradizione locale. Con straordinaria forza inventiva piega le regole della prospettiva e gli ordini dell’architettura classica in un linguaggio profondamente diverso dal classicismo erudito espresso da Andrea Mantegna nella vicina Mantova. Il rinnovamento innescato da Bramante nel territorio lombardo tocca non solo l’architettura, ma l’intero insieme delle arti figurative, ed è su queste che si incentra il percorso dell’esposizione.
A sua volta, Bramante è segnato dai materiali, dalle tecniche, dalle esigenze di prestigio della corte di Ludovico Sforza, il Moro, per numerosi aspetti ancora legata al mondo tardogotico; saprà praticare un’architettura destinata a occupare spazi ristretti e a soddisfare nello stesso tempo le ambizioni dei committenti. La tribuna di Santa Maria delle Grazie, innestata su di una struttura preesistente, e? l’esempio migliore della capacita? dell’artista di conciliare il linguaggio del Rinascimento maturo, comprendendo il proprio impianto a pianta centrale, con quello delle epoche precedenti.
Conteso dai nobili più in vista di Milano, in pochi anni riforma i maggiori cantieri della città, dalla chiesa di Santa Maria presso San Satiro ai chiostri di Sant’Ambrogio, alla tribuna delle Grazie. A contatto con la scuola pittorica rinascimentale lombarda che si va definendo, Bramante trova terreno fertile. Lo svelamento degli “Uomini d’Arme” (1487-88) e del “Cristo alla Colonna” (ca. 1490), entrambi oggi a Brera, impongono un rapido aggiornamento agli artisti attivi sulla scena milanese: Vincenzo Foppa in testa, il Bergognone con la “Madonna del Latte” (ca. 1485), i santi di Bernardo Zenale nel “Polittico di Sant’Anna” (ca. 1490) alla Galleria degli Uffizi e le figure della “Crocifissione” (ca. 1510-12) del Bramantino, che dal 1489 dal maestro urbinate mutua anche il soprannome. Ma anche scultori, plasticatori, orafi e miniatori coglieranno tematiche, motivi, e suggestioni.
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