Italia e Obiettivi Medio Termine UE: già prevista la flessibilità, mancano scelte politiche
Il Trattato di Maastricht stabilì una serie di norme volte a mantenere la stabilità sui mercati finanziari garantendo solidità alla moneta unica e controllo dei bilanci degli stati membri. Dal 1993 queste norme sono restate in vigore fino al 2005, quando ci si rese conto che la rigidità dei numeri stabiliti a tavolino erano sostenibili in uno scenario di normalità, ma causa di effetti perversi nell’evolversi della crisi finanziaria che era scoppiata. Tali norme, per quanto definite “stupide”, erano chiare e semplici ed avevano comunque assicurato credibilità alla UE, ma come diceva nel 1999 Paul De Grauwe, “l’Eurozona era come un bell’edificio nel quale non si è costruito il tetto: va bene finché il tempo regge, è un problema se volge al brutto”. Lo scoppiare di una crisi profonda e di così lunga durata rese quindi necessario un intervento che si realizzò introducendo una serie di “correttivi” alle regole vigenti.
Gli OMT (MTO anglicizzati) sono un argomento particolarmente complicato ed ostico, è necessario partire dallo scenario in cui si vanno ad inserire. La politica fiscale, diversamente da quella monetaria, rimane responsabilità dei singoli Stati dell‘area Euro ma è sottoposta ai precise indicazioni/vincoli fissati a livello comunitario. Le regole fiscali sono regolate dal Trattato di Maastricht e dal Patto di Stabilità e Crescita (PSC) e successive modifiche. Il Trattato stabilisce le regole generali per evitare disavanzi eccessivi del debito pubblico, monitorizza i bilanci degli Stati membri con particolare riferimento al rapporto deficit/PIL (valore di riferimento 3%) e debito/PIL (valore di riferimento 60%).
Abbiamo già affrontato in precedenti articoli le procedure che la Commissione mette in atto in caso di scostamenti dagli obiettivi, il PSC o Patto di Stabilità e Crescita, si compone dalla Risoluzione del Consiglio Europeo di Amsterdam del 1997 e successivi regolamenti, tali norme tendono a stabilizzare i bilanci nazionali in modo da assicurare solidità alla moneta unica, questo avviene tramite la vigilanza sul bilancio e la procedura sui disavanzi eccessivi.
Il cardine della disciplina di bilancio divenne quindi il Saldo Strutturale, ma cosa si intende con questa definizione? Il saldo di bilancio pubblico va corretto tenendo conto degli effetti provocati dal ciclo economico, se con l’espansione migliora, questi tende a peggiorare con la contrazione dovuta alla crisi. Poi lo si va a depurare dalle misure una tantum (quindi per definizione non strutturali) che incidono sul bilancio solo temporaneamente. In pratica stando la misura precisa del PIL attuale (anche questo sarebbe discutibile volendo) si va a rapportarlo al PIL potenziale, cioè quello che potremmo ottenere impiegando al massimo i fattori produttivi di capitale e lavoro. Il parametro di aggiustamento per valutare la differenza tra il PIL effettivo e quello potenziale assume il nome di Output Gap, i valori assegnati variano da paese a paese e per l’Italia è fissato nella misura dello 0,5.
Le variabili che incidono sul valore dell’Output Gap sono innumerevoli, senza entrare in tecnicismi abbiamo gli shock da offerta o da domanda e la distorsione da fine della serie (end point bias), dove si intende la fine della crisi ed i conseguenti tempi di ripresa. La difficoltà del calcolo dell’Output Gap è data dall’incertezza sul valore da assegnare al PIL potenziale, ad esempio un fattore pregnante sul calcolo del PIL potenziale è il tasso di disoccupazione (NAWRU), che le stime UE assegnano all’Italia nella misura del 10,8% per il 2014 e del 11% per il 2015. Il calcolo del NAWRU è fondamentale, secondo altri studi che gli assegnano un valore del 9% il nostro saldo strutturale si attesterebbe per il 2014 a +0,1% e non al -0,.6%, in pratica saremmo in pareggio di bilancio.
Tutto questo discorso preventivo sui Saldi è funzionale alla comprensione del MTO (Obiettivi di Medio Termine), questo va a correggere la rigidità delle norme introducendo tutta quella serie di variabili sopra descritte, aggiungendoci i costi derivanti dall’ageing (invecchiamento) e con il vantaggio di essere country specific, questo è un fattore fondamentale che tiene conto delle differenze esistenti tra i bilanci dei singoli stati membri (dal già richiamato ageing allo stock di debito pubblico). L’obiettivo generale nel medio periodo è ancora di raggiungere una posizione di bilancio prossima al pareggio o in avanzo nel corso di un ciclo economico completo. E’ stato sottolineato il limite superiore per il medio termine dovrebbe essere ad un livello tale da “fornire un margine di sicurezza nei confronti di continuo rispettando il limite del disavanzo del governo del 3% , garantendo al tempo stesso la sostenibilità di bilancio nel lungo periodo”. Inoltre, è stato imposto dal regolamento UE che il limite massimo obiettivo a medio termine per gli Stati della zona euro o AEC dovrebbe essere max 1,0 % del PIL nel disavanzo strutturale spostando poi la parte superiore MTO per essere in ” equilibrio o in attivo”. Infine è stato sottolineato che ogni Stato membro ha il compito di selezionare il suo OMT nella sua relazione annuale programma di convergenza/stabilità e tale obiettivo deve essere raggiunto con il minimo sforzo di bilancio.
Detto così sembra che gli OMT possano essere la panacea a tutti i mali, che la tanto evocata “interpretazione delle regole” da parte di Renzi abbia trovato uno sbocco felice, le cose non stanno esattamente così purtroppo. Il valore assegnato al già richiamato ageing, è contenuto nell’Ageing Report che viene prodotto su base triennale e tiene conto di una vasta serie di fattori con scenari a 50 anni, questi sono calcolati su una miriade di stime macro-economiche cicliche e l’MTO viene appunto ricalcolato ogni tre anni. In caso di assunzione di riforme strutturali (e qui ricadiamo nelle richieste della UE all’Italia e nei propositi del governo) l’MTO può comunque venire ricalcolato.
Come si vede la tanto agognata “flessibilità” così a gran voce richiesta dai politici, è già presente fin dal 2005 nelle norme UE, con tutti i dubbi e le possibili mancanze date da complicati calcoli macro-economici con un long rate di mezzo secolo, quello che ancora manca, soprattutto in Italia, sono le scelte politiche che sfruttino queste possibilità.
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