L’obbligo di partecipare
Lasciato alle nostre spalle, spero, un 2014 turbolento dal punto di vista istituzionale, incerto e preoccupante per quanto riguarda i dati economici e la coesione sociale, alcune considerazioni vanno fatte nell’affrontare il nuovo anno.
La prima che salta alla nostra attenzione è la persistenza dei dati negativi in termini di occupazione, di riduzione della spesa pubblica, di ripresa economica e morale. Renzi, da malcelato affabulatore, ha ripetutamente espresso tutta la sua soddisfazione per aver avviato una “rivoluzione copernicana” nel nostro Paese. A parte il fatto che Copernico, se fosse ancora in vita, non avrebbe potuto fare a meno di denunciare per diffamazione chiunque lo paragonasse al nostro presidente del Consiglio, non si capisce bene quale sia questa rivoluzione di cui tanto parla il segretario del Pd.
Dopo un anno di Governo, c’è qualcuno che possa dimostrare la benché minima ripresa della capacità di spesa dei cittadini, il calo delle tasse, un aumento dei posti di lavoro, un rafforzamento del commercio interno, delle imprese piccole o grandi che siano, della riapertura del credito bancario alle famiglie e alle aziende stesse?
Al di là di alcune riforme istituzionali (Senato, Province, legge elettorale), peraltro non ancora compiute e di dubbia validità ai fini della partecipazione dei cittadini quali protagonisti e non sudditi, cosa altro di nuovo è stato registrato rispetto ai precedenti Governi? Parole, parole, parole; esaltazione di sé stesso e di un esecutivo sempre meno adeguato alla drammatica situazione che investe il mondo occidentale, l’Europa e quindi l’Italia; una presidenza italiana dell’Ue che non ha lasciato alcuna traccia di sé pur in presenza di legittime aspettative alla vigilia. Ma al di là di tutto questo, oggetto quotidiano di analisi giornalistiche e televisive, due sono gli argomenti primari che vanno affrontati nel corso di questo 2015 per cercare di dare un segno di cambiamento di rotta.
Il primo è economico. È mai possibile che un Paese come il nostro, che vanta eccellenze professionali in tutti i settori con grande ammirazione riscossa fuori dai nostri confini, non sia in grado di fornire al Governo una figura, non legata ai poteri forti, agli ambienti finanziari responsabili della crisi dell’economia reale, che sappia suggerire ricette adeguate per uscire dal pantano nel quale ci dimeniamo? Una situazione come la nostra, può davvero risolversi con i tanto decantati 80 euro elargiti e automaticamente annullati da aumenti di tasse o balzelli locali?
L’articolo 18 è veramente la madre di tutte le battaglie per assicurare la ripresa dell’occupazione? Non sono un economista ma ognuno di noi, per quanto profano possa essere, sa che se non riparte il lavoro per le imprese l’occupazione si riduce sempre di più. Inesorabilmente. Si abbia dunque l’umiltà di trovare qualche nome di garanzia che possa e sappia indicare la via d’uscita fuori dagli interessi nazionali e internazionali che speculano sulle debolezze nostre o di altri Paesi europei come la Grecia.
Sul piano politico, invece, ognuno riprenda il suo ruolo, la sua funzione, in una chiarezza identitaria. La sinistra faccia la sinistra, la destra faccia la destra, il centro faccia il centro. Il centrodestra si ponga in alternativa al centrosinistra, i popolari del PPE si confrontino con i socialisti del PSE. Si eviterebbero così tutte quelle incertezze che fanno rifugiare i cittadini per bene nell’astensionismo. La politica riscopra il proprio ruolo nell’indirizzare e costruire una società modernamente democratica, superando, con una ampia visione strategica, quella continua emergenza che stabilmente crea soli disagi, confusione, risultati provvisori. La classe dirigente, come più volte sollecitato dal presidente Napolitano, ritrovi la propria dignità emarginando autonomamente e non a seguito dell’intervento della magistratura quanti danno scandalo per immoralità ponendosi fuori da ogni regola di legalità. La magistratura rientri nel suo alveo costituzionale rispettando le regole alle quali deve attenersi senza debordare in compiti non propri. A volte sembra di assistere ad azioni mediatiche compiaciute, finalizzate ad aggredire i potenti in quanto tali, piuttosto che perseguire la ricerca della verità sulle effettive ipotesi di reato.
Limitarsi dunque ad augurarci reciprocamente un “felice 2015”, un “buon anno”, non servirà a nulla se ognuno di noi non capirà che è giunto il momento di assumersi dirette responsabilità, di non accampare solo diritti, di trasmettere in famiglia e nella scuola alle nuove generazioni idee, valori, principi ormai ritenuti superati da un materialismo edonistico responsabile della crisi della civiltà occidentale. Per fare questo abbiamo l’obbligo di partecipare alla vita cittadina e nazionale per esaltare ciò che di buono esiste ancora nella nostra società. Il magistrato Giovanni Falcone, in un’intervista, ha affermato: “Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell’amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari associati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il proprio dovere”.
Facciamo nostra questa affermazione e allora sì che avremo noi e non Renzi realizzato una rivoluzione copernicana del nostro modo di essere come singoli e come nazione. In questo senso, auguri a tutti!
[NdR – L’autore dell’articolo è Vicepresidente nazionale dei Popolari per l’Italia]