L’inquilino del Colle
Lo si sapeva, ufficiosamente, da tempo. Ora è ufficiale: Giorgio Napolitano si appresta a lasciare il Quirinale. Lo ha detto a tutte lettere nel suo discorso di fine d’anno, un discorso di commiato. Non ha precisato la data delle dimissioni, ma si intuisce che è vicina. Ha giustificato la sua decisione nel modo più tranquillo e umano, riferendosi ai crescenti limiti impostigli dall’età nell’esercizio delle sue alte funzioni, tante interne quanto, e forse anche più, di rappresentanza internazionale. Ha seguito l’esempio tracciato da Papa Benedetto XVI e poi seguito dai sovrani di Olanda, Belgio e Spagna: quando le forze vengono meno, è giusto farsi da parte. Non ha detto, da quella persona degna e generosa che è, quello che forse pensava, nonostante le valutazioni positive che pur ha dovuto fare nel discorso del 31: che la classe politica, la stessa che era corsa a supplicarlo di restare, gli ha dato ben poche occasioni di soddisfazione. Quelli che gli hanno tributato un rispetto formale quasi religioso ne hanno per lo più disatteso gli insegnamenti e gli ammonimenti. Altri hanno tentato di infangarlo con accuse deliranti. La gente comune, invece, lo ha capito e gli ha tributato affetto. Ne ha avuto larghe prove nei suoi viaggi per l’Italia, ma anche dai milioni (dieci, l’ultimo 31 dicembre) che hanno ascoltato i suoi discorsi. Nessun Presidente dopo Pertini ha avuto altrettanta, e tanto meritata, popolarità.
Cosa lascia dietro di sé? In questo momento di bilanci, cerco di lasciare da parte l’amicizia e la stima che mi legano a lui da almeno trent’anni e voglio essere del tutto obiettivo. Sul piano personale, lascia l’esempio di un’integrità morale senza ombre, di uno stile personale sobrio, di una vita modesta, di una straordinaria capacità di ascolto degli altri. Sul piano politico, i quasi nove anni del suo mandato sono stati, senza alcuna sua responsabilità, fra i più complessi e turbolenti della nostra storia repubblicana, un periodo in cui una profonda crisi economica ancora aperta ha coinciso con lo sfaldamento delle coalizioni che nel 2006 e 2008 avevano vinto le elezioni, e poi con un risultato elettorale che, nel febbraio del 2013, non permetteva il formarsi di una nuova maggioranza omogenea e in grado di governare. Come dimenticare la profonda crisi in cui eravamo precipitati nell’autunno del 2011, con il rischio di default e Berlusconi senza maggioranza in Parlamento? Come non ricordare lo smarrimento del 2013, quando la sola soluzione pareva un impossibile, innaturale accordo PD-5Stelle o altrimenti il salto del buio di nuove elezioni con la stessa infame legge elettorale? In ambedue le situazioni, Giorgio Napolitano ha preso saldamente il timone e ci ha evitato il peggio. Lo ha fatto usando appieno i poteri che la Costituzione gli attribuisce ma senza in nulla travalicarli, come oggi vorrebbe la schiamazzante pattuglia dei suoi critici. Ha forzato la mano ad accordi tra i principali partiti responsabili, prima facendo nascere il Governo Monti e poi quello Letta sostenuti da maggioranze ampie ed inedite? Sì, e per fortuna lo ha fatto! Aver portato le principali forze politiche a mettere per un po’ da parte le risse da pollaio e collaborare per la stabilità del Paese è stato un atto di grande saggezza e di alta civiltà. Peccato che gli stessi che avevano propiziato e appoggiato quelle soluzione l’hanno poi, per meschini calcoli politici forse per semplice dispetto, fatte abortire, così che gesti di maturità, pari a quello che compiva la Germania con la “grande coalizione” sono finiti nella vergogna.
Ripetiamocelo, perché c’è gente in malafede che ha interesse a farci credere una storia diversa: l’esecutivo Monti ha fermato il Paese sull’orlo del disastro finanziario, quello Letta ha avviato, forse con scarsa fantasia, una lenta normalizzazione che avrebbe finito col dare i suoi frutti. L’uno e l’altro sono stati il prodotto del senso dello Stato e dell’amore del Paese di Giorgio Napolitano e ambedue hanno avuto il suo costante appoggio e consiglio. E tutto questo, il Presidente l’ha fatto senza alcuno spirito di parte, ma restando sempre al di sopra delle parti (come, ad esempio, non era riuscito a tenersi Scalfaro a danno del centro-destra). Lui, che veniva da una storia personale di lunga militanza di sinistra, non ha esitato a sciogliere le Camere dopo la crisi del centro-sinistra prodiano e poi, dopo le elezioni del 2013, ha di fatto chiuso la strada al dissennato tentativo del Segretario del PD, Bersani, di allearsi con Grillo, riportando in gioco Berlusconi e il PDL che avevano perso le elezioni per un soffio. Chi si è ostinato a descriverlo in questi anni come un vecchio e impenitente membro del PCI, oltre che ingiusto è stato incommensurabilmente stupido.
In riassunto, Giorgio Napolitano è stato il Presidente che più meriti ha acquistato di fronte al Paese. La Storia glielo riconoscerà e non sarà certo lo stridulo gracchiare di nanerottoli o peggio, tipo Grillo a Salvini, a infangarne la figura e il ricordo.
Guardando al futuro, c’è naturalmente da augurarsi che il prossimo Presidente non sia chiamato a interventi tanto diretti; che sia, in sostanza, ristabilita la normalità democratica che fa del Capo dello Stato il referente morale e il garante del gioco politico e istituzionale e non di più. Ma l’emergenza di questi anni sarà superata solo se e quando una legge elettorale appropriata permetterà di stabilire chiaramente vincitori e vinti e quando, di conseguenza, una parte politica avrà la possibilità di governare senza essere appesa ogni giorno al filo di maggioranza composite e precarie. Se questo sarà il risultato del ballottaggio previsto dalla Legge Elettorale in corso di approvazione, ben venga. A me sarebbe piaciuto un sistema più limpido, più onesto, sul tipo del doppio turno alla francese, ma va bene! La perfezione non è di questo mondo (perlomeno in Italia).
Eppure, anche in una fase che speriamo non più di emergenza, la figura del Capo dello Stato resta importante. Le forze politiche devono sapere di avere in lui un controllore attento e imparziale, le istituzioni devono averlo come il primo difensore, i cittadini devono guardare al suo esempio di sobrietà e di amor patrio.
Purtroppo, Giorgio Napolitano non ha un successore evidente. Gente degna ce n’è in giro, ma nessuno, fino ad ora, che appaia in grado di raccogliere sin dall’inizio il necessario consenso che deve essere largo e trasversale. Anche per questo, nell’imminenza delle ormai certe dimissioni del Presidente, ci sentiamo già un poco orfani.