Mari italiani, a rischio la lotta all’inquinamento

Per la salute dei nostri mari e la lotta all’inquinamento, il 2015 è cominciato piuttosto male. E non per colpa degli addetti ai lavori, in primis Magistratura, Forze dell’Ordine e Volontariato, come sempre vigili su tutto il territorio nazionale. L’episodio più simbolico interessa il comune di Fiumicino, nei pressi della Capitale: il 3 gennaio, dopo lo sversamento dovuto a furti nei terreni e nelle acque interne di 30 mila litri di carburante, le agenzie di stampa hanno riportato la notizia del decreto di sequestro dell’oleodotto che collega Civitavecchia con l’aeroporto internazionale di Roma, che ha sede appunto a Fiumicino. Sull’episodio il tribunale di Civitavecchia, su denuncia dell’Eni, aveva aperto un’inchiesta coordinata dal procuratore Gianfranco Amendola. I risultati delle indagini affidate ai Carabinieri del Noe portato al sequestro dell’impianto, che attraversa per 70 chilometri la dorsale nord tirrenica, interessando i comuni costieri di Civitavecchia, Santa Marinella, Cerveteri, Ladispoli, Fiumicino ed anche la zona sud-ovest di Roma. C’è ancora il rischio che altri furti possano far riversare ulteriore carburante sui terreni e le acque di Fiumicino, già devastate dallo sversamento dello scorso novembre, sono in sintesi le ragioni che hanno portato il gip del Tribunale di Civitavecchia, Massimo Marasca, ad emettere il decreto di sequestro dell’oleodotto.  “Un disastro senza precedenti”, aveva definito lo sversamento il sindaco di Fiumicino Esterino Montino, dopo aver visto le immagini di pesci e nutrie riversi esanimi sulle sponde dei canali. Un episodio grave, ma anche particolarmente significativo, perché l’inquinamento di Fiumicino minaccia le acque e le spiagge della Capitale ed è accaduto a due passi dai palazzi del potere: dove, negli stessi giorni, è a rischio il Servizio antinquinamento dei nostri mari, tanto che il presidente della Commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci ha presentato un’interrogazione al Ministro dell’Economia per sapere come intenda attivarsi per rifinanziare in tempo utile il Servizio.

Il Servizio antinquinamento dei mari italiani è attivato dal ministero dell’Ambiente ed è in scadenza a fine maggio. “Per procedere al bando – ha osservato il presidente della Commissione Ambiente  – mancherebbe solo l’autorizzazione della Ragioneria dello Stato per il relativo impegno di spesa pluriennale, autorizzazione già richiesta dal ministero dell’Ambiente” Autorizzazione che è urgente, secondo Realacci, per evitare che “alla scadenza dell’affidamento in corso il servizio antinquinamento marino venga sospeso con rischi evidenti per lo stato di salute del mare”.

Il parlamentare ricorda che il servizio antinquinamento “è essenziale per la salvaguardia del Mediterraneo”. I principali pericoli di inquinamento per il nostro mare “derivano dalla pressione antropica e dalla navigazione, soprattutto quella legata al trasporto marittimo di greggio e industriale”, ricorda Realacci. “Basti considerare che, secondo un dossier di Legambiente, ogni anno viaggiano verso le nostre coste 178 milioni di tonnellate di petrolio e sono ben 162.600 le tonnellate di idrocarburi finite nelle acque italiane negli ultimi 30 anni”.

Oltre alle attività in mare, nel Bilancio 2014 l’ormai ‘storica’ Goletta Verde aveva indicato con forza la ‘pressione antropica’ citata nell’interrogazione: la mancata depurazione delle acque reflue, o ‘nere’, che riguarda un italiano su tre. Dopo due sentenze di condanna, la prima nel 2012 e la seconda nell’aprile 2014, la Commissione europea aveva avviato per questo la terza procedura d’infrazione, la 2014/2059 per il mancato rispetto della direttiva sulla depurazione degli scarichi civili. Il procedimento riguarda 880 agglomerati urbani in tutta Italia, il 28% del totale, per l’inadeguato trattamento degli  scarichi fognari.

Sversamenti di idrocarburi, acque reflue degli agglomerati urbani, ma non basta. In questi giorni l’ Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – Ispra, ha pubblicato sul proprio sito il rapporto nazionale ‘Pesticidi nelle acque’, realizzato sulla base dei dati forniti da regioni e agenzie regionali con l’obiettivo di individuare eventuali effetti negativi non previsti in fase di autorizzazione delle sostanze. Lo studio ha evidenziato la presenza nelle acque superficiali e sotterranee italiane di 175 sostanze ‘pesticide’, dagli erbicidi ai fungicidi e insetticidi. Le concentrazioni misurate sono “spesso basse, ma la diffusione della contaminazione è molto ampia. Le informazioni provengono da 19 regioni e province autonome; con una copertura del territorio nazionale “incompleta”, soprattutto per “le regioni centro-meridionali”, con una situazione ancora “disomogenea” (dal Molise e dalla Calabria non è pervenuto nessun dato; in altre Regioni la copertura è limitata), e in modo “più accentuato per le acque sotterranee”. La presenza di pesticidi appare “più diffusa nella pianura padano-veneta”, non solo per l’intenso uso agricolo e le caratteristiche idrologiche, ma anche perché le indagini condotte nell’area sono più efficaci. E anche qui si tratta di inquinamento destinato a danneggiare, dopo i fiumi, i laghi, i canali e le lagune del Bel Paese, anche i suoi mari. A fronte di tutto questo, e della minaccia per la salute pubblica e per l’equilibrio ecologico della nostra Terra, il rifinanziamento del Servizio antinquinamento dei mari italiani appare urgente e non più procrastinabile.

©Futuro Europa®

 [NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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