Horti Lamiani, inaugurati ma mai aperti
Roma – Siamo sul lato sud-est di Piazza Vittorio Emanuele II, tra via Emanuele Filiberto e via Conte Verde. Sono queste le coordinate di un sito di scavo, tra piazza Vittorio Emanuele II e piazza Dante, in cui si sono verificate scoperte significative a partire dal XVI secolo alle più recenti nel 2012. In particolare, si tratta dell’area degli Horti Lamiani sepolto sotto il nuovo edificio dell’ENPAM, l’ex-“dente cariato”, inaugurato il 20 novembre 2013. Allo stesso civico, un mese dopo, il 19 dicembre 2013, ha avuto luogo un’ulteriore inaugurazione, quella relativa appunto ai ritrovamenti sotto le fondamenta. Peccato che il luogo non sia disponibile ai visitatori.
Per un totale di 1600 metri quadrati di terreno investigati, 12mila metri cubi di materiale passati al setaccio, più di 8 mila cassette di materiali individuati e selezionati nei circa 12mila metri cubi di terreno scavati, i resti archeologici, conservati quasi integralmente, erano stati resi visibili sotto i pavimenti di plexiglas all’interno della sala convegni dell’ente ENPAM. Ad accompagnare, ricostruzioni virtuali in 3D, video, effetti sonori, pannelli didascalici e vetrine, «in modo che il visitatore possa immaginare come era questa parte di città nel periodo romano», come commentava Mirella Serlorenzi, funzionario della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma.
Una musealizzazione delle strutture scoperte nel corso delle indagini sull’area del nuovo edificio non aperta alla fruizione. Certo, il circuito di visita è situato all’interno dell’edificio ENPAM, ma questa non è una ragione accettabile, poiché si sapeva al momento di investire del denaro nel progetto, non è stato un imprevisto, era tutto calcolato. Anche se gli spazi degli uffici possono risultare inconciliabili e invasi dall’esposizione; risulta pressoché impossibile saperlo, ma allora perché prendere dei provvedimenti irrealizzabili, realizzarli e poi non adibirli allo scopo previsto? Sono da invidiare i pochi privilegiati che hanno potuto scoprire questa compromettente verità. Dunque, un manipolo di addetti ai lavori, di politici, tra i quali brilla il sindaco capitolino, frequentatori della sala convegni. Una sala convegni sicuramente preziosa, tuttavia celata da un’aura di mistero. Possiamo solo provare ad immaginala. Come sarà mai? Preziosa, come già detto; bella, bellissima. Questi termini entusiastici non significano nulla e non ci liberano dal dubbio: possiamo solo fidarci, e scongiurare che provvedimenti del genere non più presi, o quantomeno che ci lascino nella beata ignoranza di non tenerci informati su quello che questi malandrini combinano.
L’attività di scavo estensiva operata tra il 2005 e il 2009 sotto la sede dell’ENPAM ha portato alla luce alcuni settori degli Horti Lamiani, voluti dal console dell’anno 3 Lucio Elio Lamia, prossimi all’area di cui l’archeologo Rodolfo Lanciani ha lasciato notizie e planimetrie, contribuendo alla Forma Urbis Romae. In qualità di supervisore dello scavo eseguito dalla Commissione Archeologica Comunale, nel 1875 scriveva: “Ho visto una galleria di settantanove metri di lunghezza, il cui pavimento era costituito dalle più rare e costose varietà di alabastro e il soffitto sorretto da ventiquattro colonne scanalate di giallo antico, poggiate su basi dorate; ho visto un altro ambiente, pavimentato con lastroni di occhi di pavone, le cui mura erano ricoperte da lastre di ardesia nera, decorate da graziosi arabeschi eseguiti in foglia d’oro; e ho visto infine una terza sala, il cui pavimento era composto da segmenti di alabastro, incorniciati da paste vitree verdi. Nelle pareti di essa erano tutt’intorno vari getti d’acqua distanti un metro l’uno dall’altro, che dovevano incrociarsi in varie guise, con straordinario effetto di luce. Tutte queste cose furono scoperte nel novembre del 1875.”
Il settore individuato si sviluppa intorno ad un’aula quadrangolare di rappresentanza di 400 m², con pavimento marmoreo e rivestimenti parietali in sectilia, dotata di ambienti di servizio e di una fontana. Il complesso, riferibile a ben sette fasi edilizie diverse, tra gli ultimi decenni del I secolo a.C. e l’età tardo antica, è articolato in terrazze-giardino contenute da strutture in opus reticulatum, affacciate su presumibilmente un diverticolo basolato della via Labicana. All’apparato si aggiungono una scala rivestita in lastre di marmo. L’aula va attribuita agli interventi di Alessandro Severo (222-235), testimoniati all’Esquilino. Sono centinaia i frammenti di intonaci dipinti e di materiali decorativi di pregio, databili a partire dall’impianto della villa imperiale e recuperati nel corso dello scavo.
“Il rudere non viene isolato, ma interagisce con le strutture moderne e diventa un arricchimento reciproco. Questo progetto ha dimostrato che è possibile conciliare tutela dell’antico e trasformazione della città contemporanea”, affermava Mirella Serlorenzi. Un progetto davvero unico rispetto alla prassi romana, che però non è andato a buon fine. Sarebbe bello che una soluzione, sempre che ci sia, si trovasse, e dunque scoprire personalmente come un edificio contemporaneo dialoghi con dei resti archeologici romani. Quanta curiosità.
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Vorrei capire come la Sovrintendenza assai attenta a valorizzare i beni scoperti ma anche ad avere un ricavo in moneta nonostante qualche scivolone (vedi il musical “Nerone”), non sia riuscita a rendere usufruibile un bene del genere il cui ritrovamento è costato assai a noi cittadini? Mi auguro che avvenga non solo per gli Horti Lamiani ma anche per molti tesori nascosti. Sul gioco d’azzardo poi lo Stato guadagna tanto, perché non dare più linfa ai Beni Culturali? Ma forse pretendiamo troppo.