Camera di Consiglio
Legittimo il licenziamento del lavoratore che pratica uno sport che pone a rischio il proprio stato di salute – La Cassazione si è trovata a dover decidere se fosse o meno legittimo il licenziamento di un lavoratore che, praticando un’attività sportiva incompatibile con il proprio stato di salute, aveva posto a serio rischio la sua capacità lavorativa.
Le norme alle quali fare riferimento sono l’art. 2105 del Codice Civile, che pone a carico del lavoratore l’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro, nonché gli artt. 1175 e 1375 del Codice Civile , che stabiliscono l’obbligo di comportamento secondo correttezza e buona fede delle parti in materia di obbligazioni e contratti.
Vero è che l’art.2105 del Codice Civile parla specificatamente solo di divieto di concorrenza e di divulgazione di notizie riservate, ma in esso deve ravvisarsi un generale obbligo di fedeltà nel rapporto di lavoro, che, coniugato con il più generico obbligo di correttezza e buona fede valido per tutti i contratti (artt.1175 e 1375 del Codice Civile), pone a carico del lavoratore il dovere di non porre in essere, in mala fede, atti o comportamenti, anche al di fuori dall’orario e dall’ambiente lavorativo, idonei a compromettere la sua capacità fisica e mentale, che incide ovviamente sulle prestazioni relative all’impiego, o comunque a danneggiare l’azienda.
Nel caso di specie il lavoratore, il quale, proprio in considerazione del suo precario stato di salute, era stato adibito a mansioni ridotte e diverse da quelle precedentemente svolte, con evidente danno per l’imprenditore, aveva continuato a praticare uno sport che avrebbe peggiorato le sue condizioni fisiche e, pertanto, posto a gravissimo rischio la sua capacità lavorativa, con conseguente ulteriore danno per il datore di lavoro, che, come detto, era già stato costretto a ridimensionare le prestazioni del lavoratore stesso.
Stando così i fatti è evidente che l’imprudenza commessa dal lavoratore, costituita dal praticare detto sport, rappresentava comportamento in mala fede (avendo quest’ultimo piena coscienza del suo stato di salute e dell’incidenza dello stesso sulle proprie mansioni, ridotte proprio per tale motivo) e tale da costituire violazione dell’obbligo di fedeltà e di correttezza nei confronti del datore di lavorio, il quale, per il suindicato comportamento imprudente, si sarebbe trovato a maggior rischio di veder diminuita la forza lavoro del dipendente.
Tale comportamento è stato giustamente valutato dai Giudici, sia in secondo grado che in Cassazione, tale da inficiare gravemente il rapporto fiduciario che deve esistere tra le parti di un contratto di lavoro, così da giustificare pienamente l’avvenuto licenziamento.
[NdR – L’autore dell’articolo, avvocato, è membro del “Progetto Mediazione” del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma]