Cronache dai Palazzi

Alla luce dei fatti verificatisi con il voto sull’Italicum c’è chi già ipotizza l’esistenza di una nuova maggioranza sorretta da un eventuale “partito del Nazareno”. L’intesa tra Renzi e Berlusconi sembra d’acciaio, e spiana la strada alla nuova legge elettorale attesa in Senato per il voto finale, martedì 27 gennaio. Dopo aver superato la prova del “supercanguro”, ribattezzato “Espositum”, che ha consentito di eliminare 35.700 richieste di modifica della legge, ci si avvia così verso l’approvazione della riforma del sistema di voto alla vigilia dell’elezione del nuovo capo dello Stato.

Il patto del Nazareno sembra essere decisivo per trainare le riforme alimentando così i veleni all’interno del Pd e di FI. In sostanza la nuova maggioranza allargata a Forza Italia produce deleterie lotte intestine per ora non finalizzate a nessuna scissione da entrambe le parti. In casa azzurra il fronte capeggiato da Fitto continua ad opporsi alla linea “Forza Renzi”. “Noi diciamo che così si va verso la sconfitta – afferma Raffaele Fitto – è una resa incondizionata, FI si sta svendendo”. Ai fedelissimi comunque Berlusconi confessa i suoi dubbi: “Ho salvato Renzi, ora mi aspetto da lui un atteggiamento conseguente. Altrimenti salta tutto”. Berlusconi punta all’elezione di “un presidente non ostile” e rivendica comunque la centralità di FI perché il Pd “al Senato non ha più la maggioranza”.

In casa dem, invece, Pier Luigi Bersani assicura “lealtà”. “La slealtà preferisco subirla piuttosto che farla”, afferma l’ex segretario in vista dell’elezione del capo dello Stato, riconoscendo inoltre che la situazione oggi “è molto meglio” rispetto al 2013. Due anni fa, ricorda Bersani, “si sono saldati quelli che non volevano Prodi e quelli che non volevano me: ma è inutile tornarci sopra, meglio chiederla qui”. Bersani chiede però a Renzi di avanzare dei chiarimenti in un eventuale incontro da tenersi al più presto, possibilmente non a ridosso del primo scrutinio previsto per giovedì 29 gennaio alle 15. “Spetta a Renzi dire se si può ripartire dall’unità del Pd”, afferma il capo dell’ ex “ditta” aprendo al dialogo e, nel contempo, lanciando una sfida finalizzata magari a riassorbire i 140 parlamentari dem dissidenti. La defezione dei bersaniani, inoltre, potrebbe aumentare il potere contrattuale di Berlusconi e, qualora il Pd non si ricompatti, Renzi potrebbe trovarsi nella condizione imbarazzante di eleggere il capo dello Stato con il contributo determinante dell’ex Cavaliere.

Renzi a sua volta dichiara che si opererà seguendo le procedure previste, secondo “il metodo condiviso nella Direzione del partito”, omettendo quindi la scissione interna e auspicando una compattezza che il Partito democratico non dimostra di avere. Palazzo Chigi non lascia comunque trapelare nessun nome e si sostiene che Renzi tenga ben custodito nel segreto un eventuale nome da spendere nel primo scrutinio, almeno fino al 28 gennaio. In sostanza l’estrazione di un nome dalla lista dei quirinabili sarà “last minute”.

Nel frattempo “l’Italia va avanti – afferma Renzi – chi prova ad interrompere tutte le volte il percorso delle riforme possiamo dire che, per il momento, non ce la fa”. Il braccio di ferro con la minoranza Pd non sembra quindi preoccupare il segretario-premier che interpreta i malumori interni come un fuoco amico destinato a spegnersi velocemente e in maniera indolore. Renzi punta ad incassare la riforma del sistema di voto già martedì prossimo, mentre l’ostinato ostruzionismo organizzato da Sel, Lega e M5S ha costretto il governo ad allentare la presa  sulla modifica della Costituzione, per cui il voto finale del testo costituzionale sul bicameralismo paritario slitta a dopo l’elezione del capo dello Stato.

Il premier in carica è convinto di avere avanti  “tre anni” in cui poter creare “le condizioni per la stabilità”. Per quanto riguarda l’Italicum “darà all’Italia la possibilità di scegliere un leader e un governo per 5 anni”, e a proposito dell’opposizione in casa dem Renzi sottolinea: “La posizione della sinistra non credo la condividano neanche i militanti delle feste dell’Unità”.

La sinistra dem potrebbe comunque dare un segnale di rottura già martedì prossimo in Senato magari silurando l’Italicum, anche se Bersani assicura che le due partite – legge elettorale e elezione del capo dello Stato – sono slegate, come auspicato del resto dallo stesso Renzi.

La verità è che il presidente del Consiglio, nonché segretario del Pd, vorrebbe eliminare dalla scena la bagarre inalberata dalla minoranza all’interno del suo partito come un brutto sogno, risvegliandosi in una realtà diversa in cui i dem siano magari tutti “renziani”. Intanto si preannuncia una tregua e, prima di incontrare Berlusconi, lunedì Renzi incontrerà i gruppi del Pd per sondare il terreno sul Colle, evitando di rimurginare sui 29 voti che hanno tentato di impallinare l’emendamento Esposito, voluto dal governo per far sì che l’Italicum continuasse il suo cammino. In particolare, in vista dell’elezione del presidente della Repubblica, il presidente del Partito democratico, Matteo Orfini, sottolinea: “Chi pensa di scaricare le tensioni interne sulle istituzioni, disonora la storia della sinistra. E danneggia il Paese”.

Al di là delle impressioni e delle opinioni, il clima nelle Aule parlamentari è tutt’altro che mite e nelle votazioni i partiti rivelano le loro spaccature interne che in vista delle imminente elezione del capo dello Stato potrebbero provocare non pochi problemi, nonostante l’esigenza di un atteggiamento responsabile, funzionale all’elezione di un presidente il più ampiamente condiviso e al di sopra delle parti.

A proposito di legge elettorale, il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, tenta di spegnere l’incendio. L’Italicum “è un impegno che abbiamo assunto con gli italiani”, afferma Guerini, e si procede camminando con “chi vuole fare le riforme”. Il primo obiettivo è “dare al Paese una nuova legge elettorale e riformare le istituzioni, sapendo che questa responsabilità deve essere condivisa con le forze della maggioranza, ma anche con quelle dell’opposizione”.

Il dialogo tra Renzi e Forza Italia esaspera però la minoranza dem e Bersani invoca “il rispetto” perché “se viene meno il rispetto sono guai”. Così mentre nel Pd si consuma la faida intestina M5S mette il dito nella piaga: “Il soccorso azzurro sull’Italicum dimostra che Forza Italia esercita la golden share nel governo, per questo siamo di fronte ad un autentico voto di scambio: appoggio sulle controriforme in cambio delle garanzie su salvacondotto e Quirinale”.

A differenza del Pd, il centrodestra dimostra comunque una certa compattezza in vista dell’elezione per il Quirinale stringendosi attorno alla candidatura di Antonio Martino. “L’ampia condivisione della candidatura di Antonio Martino alla presidenza della Repubblica, a prescindere dal risultato finale – dichiara Potito Salatto, vicepresidente nazionale dei Popolari per l’Italia – è un altro tassello per la ricompattazione di un fronte comune tra Forza Italia, Ncd, Udc e Popolari per l’Italia in alternativa al Pd di Renzi”.  La “ricompattazione dei popolari italiani” deve mirare al superamento di “differenze, vecchi rancori, valutazioni politiche finora articolate che hanno indebolito la nostra capacità di incidenza nel Governo”, aggiunge Salatto sottolineando la necessità e la volontà di “esserci, uniti e forti, per il bene dell’Italia all’interno dell’Europa”.

All’ombra del Quirinale il panorama politico italiano sta cambiando di nuovo lasciando intravedere scenari destinati a svilupparsi nei prossimi mesi, in cui il cambiamento investirà le istituzioni e i partiti. Per ora le minoranze interne di FI e Pd non minacciano scissioni particolari, ma sul Colle non molleranno e soprattutto non intendono cedere di fronte ad un eventuale asse Berlusconi-Renzi che trasformi il Patto del Nazareno in un “Patto sul Quirinale”, con l’ex Cavaliere preoccupato prima di tutto della sua agilità politica.

Il premier Renzi auspica un presidente della Repubblica al massimo entro la quarta votazione, quindi entro lunedì 2 febbraio, ma il cammino verso il Colle non sarà semplice e, soprattutto, l’impressione è che non sia sufficiente una soluzione sul Quirinale più o meno condivisa per sanare le ferite.

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