Incompreso (Film, 1966)
Incompreso di Luigi Comencini è un precursore nobile del lacrima-movie, fenomeno che imperversa nei primi anni Settanta sui grandi schermi italici, così come Love story (1970) di Arthur Hiller è una sorta di antesignano dei film strappalacrime d’oltreoceano. Comencini è un esperto di film sull’infanzia, abile nel far recitare bambini, come dimostra in lavori interessanti come Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (1969), Le avventure di Pinocchio (1972), Voltati Eugenio (1980), Cercasi Gesù (1982), Un ragazzo di Calabria (1987) e Marcellino (1991). Incompreso è il suo capolavoro, sceneggiato da quattro grandi autori esperti in commedia (De Bernardi e Benvenuti, con la collaborazione di Drudi Demby e Mangione), riesce a rendere più lieve un drammone ottocentesco, aggiungendo in sede di scrittura parti umoristiche che compensano il finale drammatico.
La storia è piuttosto nota, almeno per chi è nato negli anni Sessanta-Settanta, periodo in cui Incompreso era una sorta di lettura obbligata – ritenuta molto educativa – per le giovani generazioni. Abbiamo un padre (Quayle) che resta vedovo e si macera nel ricordo della moglie, svolge le sue funzioni di console inglese a Firenze e si occupa dei due figli (Andrea e Milo) affidandoli a governanti nella fastosa villa adagiata sulle colline di Coverciano. Lo spettatore si rende conto sin dalle prime sequenze che il padre ha una predilezione per il figlio minore (Giannozzi), mentre giudica il primogenito (Colagrande) cattivo e insensibile. Naturale provare antipatia per un padre simile che non giustifica mai il figlio maggiore e lo ritiene responsabile di ogni nefandezza ai danni del minore. Andrea vorrebbe che il padre si occupasse di lui, implora un minimo di attenzione, ma non la ottiene, se non in sporadiche occasioni, che non modificano il rapporto.
Andrea e Milo (Andrews e Miles nel romanzo) sono buoni fratelli, si vogliono bene, instaurano un rapporto di complicità infantile, nonostante un po’ di gelosia, il maggiore si occupa del piccolo quando il padre è assente, ma finisce sempre per mettersi nei guai. Alla loro guida si alternano le governanti (Granata, Facchetti, Moll) che il padre deve sostituire perché i figli sono irrequieti e sentono la mancanza della madre. Comencini ricostruisce l’ambiente aristocratico dove vivono i ragazzi grazie a minuziose scenografie e con il contributo di un’eccellente fotografia. La villa dei giochi infantili è un immenso parco dotato di laghetto, ma la solitudine del figlio maggiore dopo la morte della madre è incolmabile, anche se la nasconde con la vivacità. Il regista descrive bene i sentimenti di Andrea, che occulta il dolore, chiede attenzione, ma non sa esprimere l’amore che ha dentro di sé. Il vero lacrima-movie arriva soltanto nel lungo finale, quando il figlio maggiore muore dopo una caduta da un albero del parco, ma prima avviene la riconciliazione con il genitore, la lettura di un tema dedicato al padre che finirà per ammettere di non aver mai capito i sentimenti del figlio. Stupenda l’immedesimazione finale tra madre e figlio con l’immagine del bambino confusa nel dipinto che riproduce le sembianze della mamma. Madre e figlio sono di nuovo insieme.
Il romanzo di Florence Montgomery è adattato da Comencini con grande resa cinematografica, rispettando l’essenza drammatica, ma modificando l’ambientazione (Firenze) e aggiungendo sequenze comiche che lo rendono più godibile. Comencini è un maestro della tecnica, utilizza a dovere lo zoom (nonostante gli eccessi del periodo), le soggettive, i piani sequenza e abbonda in primi piani che conferiscono drammaticità all’azione. Ottima la recitazione, impostata secondo canoni teatrali nel caso di Anthony Quayle (il padre) e John Sharp (lo zio burlone), spontanea e irriverente nel caso dei bambini (Colagrande e Giannozzi).
Le psicologie dei personaggi sono il punto di forza di un film che non riduce a macchiette monodimensionali né i bambini né il caustico genitore, ma approfondisce i rapporti interpersonali. Pure il personaggio dello zio che odia i bambini ma in fondo ha il cuore tenero giunge al momento giusto e partecipa alla costruzione di alcune buone sequenze comiche. La colonna sonora di Fiorenzo Carpi è una delle cose migliori della pellicola, suggestiva e suadente, le intense note del pianoforte e il Tema della madre di Mozart accompagnano lo spettatore in un crescendo melodrammatico. Il film è ricco di tensione emotiva e finisce per ritrarre la grande debolezza del figlio più grande, ritenuto ingiustamente “invulnerabile”. “È andato tutto bene. Hai visto? Milo non si è fatto niente. Manda via i dottori, non possono farmi guarire. Non voglio vivere senza la mamma. Tu non mi prendi mai in braccio. Tu pensi soltanto a Milo”, dice il ragazzo affranto dal dolore della prossima morte, in un crescendo emotivo, mentre il padre prova il rimorso dei suoi errori. Il piccolo Milo gioca da solo, crede che Andrea dorma, entra in sala e gli stampa un bacio in fronte. Non sa che non potrà più correre con lui e combinare le marachelle per cui il padre sgridava soltanto il fratello. Comencini riesce a comunicare da abile regista dell’infanzia le varie fasi dell’incomprensione genitore-figlio, fino a immortalare una tardiva riconciliazione. Un film che definire un lacrima-movie è riduttivo. Siamo in presenza di un vero e proprio dramma psicologico, di un lavoro intenso e commovente dedicato al rapporto padre-figlio.
Presentato al Festival di Cannes nel 1967. David di Donatello a Comencini per la regia. Nastro d’Argento a Nannuzzi per la fotografia a colori. Nel 2002, Enrico Oldoini ha girato uno stanco remake televisivo della durata di 110’, interpretato da Margherita Buy e Luca Zingaretti. Non ne sentivamo il bisogno.
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Regia: Luigi Comencini. Soggetto: Florence Montgomery (romanzo Incompreso del 1869). Sceneggiatura: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Lucia Drudi Demby, Giuseppe Mangione. Fotografia: Armando Nannuzzi (Technicolor). Montaggio: Nino Baragli. Musiche: Fiorenzo Carpi. Direzione Musiche: Bruno Nicolai (Tema della madre: ricavato dal concerto in la maggiore K 488 di W. A. Mozart). Aiuti Regista: Leopoldo Machina, Marcello Pandolfi. Operatore alla Macchina: Carlo Cirillo. Fonico: Mario Faroni. Scenografo: Ranieri Cochetti. Aiuto Scenografo: Giantito Burchiellaro. Trucco: Carlo Sindici. Organizzatore Generale: Nello Meniconi. Produttore: Angelo Rizzoli. Produzione: Rizzoli Film spa (Milano), Istuto Luce (Roma). Distribuzione: Cineriz. Colore: Tecnostampa. Teatri di Posa: Stabilimenti Palatino. Durata: 105’. Genere: Drammatico. Interpreti: Anthony Quayle, Stefano Colagrande, Simone Giannozzi, John Sharp, Adriana Facchetti, Rino Benini, Silla Bettini, Georgia Moll, Graziella Granata, Anna Maria Nardini. Premi: David di Donatello 1967: Miglior regista; Nastro d’Argento 1968: Miglior fotografia a colori.
[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]