Il saprofita (Film, 1974)

Il termine saprofita, dal greco saprós (marcio) phytón (pianta), indica quegli organismi (funghi…) che si nutrono di materia organica morta o in decomposizione. Luigi Nasca, in un convincente esordio, racconta la vita di Ercole (Cliver), un ex seminarista bello e dannato, quasi muto dopo un grave trauma, che viene assunto da una baronessa (Moriconi) e riesce a trasformarsi in un saprofita umano. Ercole diventa l’amante della baronessa, l’amico fidato del figlio paralitico (Marinangeli), la preda maschile da concupire per la figlia (Bruno), assorbendo la linfa vitale dal vuoto e gretto ambiente alto borghese che lo circonda.

Sergio Nasca, assistente di Marco Bellocchio, rompe tutte le convenzioni del cinema italiano e realizza un’opera interessante, ricca di personaggi privi di redenzione, ben calati in una decadente e torbida atmosfera meridionale. Primo film di Al Cliver (Pier Luigi Conti), in una parte insolita, visto che dopo interpreterà quasi esclusivamente action movie, horror, western e cinema fantastico. Carlo Monni debutta con la caratterizzazione di un santone-cialtrone e – coadiuvato da Nerina Montagnani – mette in ridicolo la credulità popolare e la fede nei miracoli. La pellicola è girata per gli esterni a Ostuni, in Puglia, con molte sequenze rubate a Lourdes, usando lo zoom come si faceva negli anni Settanta, tra i pellegrini in fila per ottenere la grazia. Molte soggettive dei protagonisti, piani sequenza, intensi primi piani e una straordinaria fotografia pugliese, tra case bianche e vicoli stretti di paese. La tecnica del flashback è usata con proprietà per raccontare il passato da seminarista di Ercole, ma anche una gretta famiglia di origine che lo avrebbe voluto prete per risolvere i problemi economici.

Nasca non salva nessuno: la baronessa è la borghesia terriera priva di scrupoli, ma anche i poveri non sono migliori, ripresi in tutta la loro piccolezza e amoralità. La famiglia baronale è un coacervo di difetti e di rapporti malsani. Il figlio paraplegico, Parsifal, è innamorato della madre (porta a letto una sua gigantesca fotografia), spia la sorella Brumilde mentre si spoglia ma di fatto la odia. Non esiste amore nei rapporti familiari. Il barone – un generale in pensione – si suicida dopo essere stato isolato da tutti e trattato con disprezzo da moglie e figli. Pure lui non è una vittima, perché si è rovinato la salute con le prostitute dei bordelli di città. Il funerale sfarzoso e il finto dolore che la moglie mette in scena è un inno all’ipocrisia borghese e alle convenzioni religiose.

Bravissimo Leopoldo Trieste come laido parroco di paese che approfitta della situazione per farsi sovvenzionare un pellegrinaggio a Lourdes. Bene Cinzia Bruno nei panni di una sorella che odia madre e fratello, vorrebbe concupire Ercole, ma non ci riesce, contesta l’ambiente borghese, ma ne fa parte come degna componente. Colonna sonora eccellente, composta al piano e al violino, che sottolinea i momenti più drammatici e a tratti confeziona una suspense da film thriller. Alcune sequenze erotiche sono ottime, vedono all’opera Valeria Moriconi – mai così nuda e disinibita – con l’aitante Al Cliver, ma ricordiamo anche Janet Agren – pellegrina a Lourdes – concupita da Ercole nelle sequenze finali. Teresa (Agren) sembra l’unico personaggio positivo della storia, presentata come una donna angelicata, che porta la nonna a Lourdes in cerca di un miracolo – ma il vero miracolo è imparare a convivere con il proprio destino, afferma – e lascia intuire una speranza d’amore per Parsifal. Niente da fare. Pure lei cade nella rete del saprofita, getta nella disperazione il ragazzo e lo spinge verso la morte.

Ercole è un personaggio interessante che Al Cliver interpreta con bravura silenziosa, un uomo che si guadagna la fiducia di tutti, soprattutto del ragazzo, ma finisce per ucciderlo facendolo precipitare lungo la tromba delle scale. L’ultima sequenza del film vede Ercole riacquistare la voce e gridare al miracolo costringendo alla preghiera gli ospiti dell’albergo. Un dramma erotico-psicanalitico, che mette in scena la rappresentazione del complesso di Edipo, molto bellocchiano (I pugni in tasca), una feroce accusa contro la corruzione della borghesia e una stigmatizzazione della famiglia-inferno quotidiano, ma anche un lavoro polemico nei confronti della religione cattolica e della credulità popolare. Da recuperare, in dvd, visto che è reperibile un’edizione Cecchi Gori.

Peccato che il romano Luigi Nasca (1937-1989) abbia girato soltanto sei film, perché la sua feroce polemica e la rabbia contro convenzioni e ambienti borghesi avrebbero potuto produrre risultati interessanti. Tra le cose migliori ricordiamo il dissacrante Vergine e di nome Maria (1975), che ebbe qualche problema con la bigotta censura del tempo e il suo ultimo film – La posta in gioco (1988) – girato un anno prima della morte, un interessante atto di accusa contro certa politica corrotta.

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Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Luigi Nasca. Aiuto Regista: Maria De Simone. Montaggio: Giuseppe Giacobino, Erminia Marani. Fotografia: Giuseppe Aquari. Scenografia e Arredamento: Giorgio Luppi. Costumi: Mario Giorsi, Fiamma Bedendo. Musiche: Sante Maria Romitelli. Edizioni Musicali: Rolex – Curci. Operatore alla Macchina: Emilio Giannini. Assistente Operatore: Carlo Aquari. Colore: Telecolor. Teatri di Posa: Dear spa (Roma). Presenta: Nicolaas J. D Wit. Distribuzione: Lifeguard. Produttori Esecutivi: Enzo Giulioli, Rinaldo Marsili. Produttore: Roel Bos. Casa di Produzione: Belial Film srl. Interpreti: Valeria Moriconi, Al Cliver (Pier Luigi Conti), Janet Agren, Cinzia Bruno, Giancarlo Marinangeli,  Leopoldo Trieste, Pia Morra, Giancarlo Badessi, Daniele Dublino, Luigi Gatti, Maria Tedeschi, Marina e Franca Chiummarulo, Winni Riva, Carlo Monni, Nerina Montagnani, Valentino Macchi, Orazio Stracuzzi, Luca Sportelli, Barbara Herrera, Clara Colosimo, Rina Franchetti, Marisa Traversi, Dada Gallotti.

©Futuro Europa®

 [NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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