I trasformisti della politica
Siamo in uno “stato di confusione, fondato sul voto di scambio”. Così, Arturo Parisi e Gianfranco Pasquino, oltre 30 anni fa, definirono la conquista – e l’acquisizione – degli elettori attraverso l’offerta di benefici individuali. Oggi, invece, il “voto di scambio” si è trasferito dalla società al Parlamento, dove si pratica e si professa apertamente. Non vogliamo, in questa sede, fare esercizio di sdegno. Peraltro utile e salutare, in tempi nei quali l’etica sembra decisamente superata dagli stessi tempi.
Tra i fattori più importanti di questa degenerazione c’è, sicuramente, l’assenza del principio di “responsabilità” degli eletti, i quali non sono e non saranno mai chiamati a “rispondere” direttamente e personalmente del proprio operato. La legge elettorale ancora in vigore non prevede, infatti, alcun tipo di legame fra eletti ed elettori. Non ci sono le preferenze o i collegi uninominali, dove il rapporto con il territorio e la società è molto più diretto. Il destino dei parlamentari è dunque in mano ai leader e alle segreterie nazionali, a cui spetta la decisione dei nomi da inserire nelle liste. Naturalmente bloccate.
Scomparsi i partiti di massa e di integrazione sociale, si è affacciato, già da tempo, il partito personale, che in molti casi era solo un’etichetta, volta a coprire un’avventura individuale. Tramontate le ideologie, negli ultimi anni abbiamo più volte assistito ad autentiche migrazioni dei politici da un partito all’altro, spesso motivate dalle convenienze del momento. Il nostro Parlamento si può definire tranquillamente “trasformista”: in due anni, 184 politici hanno cambiato partito, con buona pace degli ideali e degli elettori. E’ un tema vecchio, quello degli “opportunisti”, pronti a salire sul carro del vincitore. La Costituzione, del resto, difende il diritto del parlamentare a passare da uno schieramento all’altro, vietando espressamente il vincolo di mandato.
Deputati e Senatori eletti nelle file di un partito sono spesso pronti a tramutarsi in “responsabili”, “cambiando verso” nel momento del bisogno, spesso con il chiaro intento di conservare la poltrona. Si sale sul “carro del vincitore”, portandogli in dote i propri voti, naturalmente in cambio di qualcosa: in genere posti di potere e, in qualche caso, denaro. Dal 1994 in poi è una pratica che hanno adottato sia il centrodestra sia il centrosinistra, per puntellare i governi quando i numeri, per una ragione o l’altra, vacillavano. L’attualità politica ci parla di un ritorno in grande stile del trasformismo. Ultimi, in ordine di tempo, sono gli otto parlamentari che da Scelta Civica sono andati a rinforzare il già solido schieramento del Partito Democratico.
Cifre alle mano, in cima all’elenco dei transfughi, con ben quattro spostamenti, spicca il nome del senatore Luigi Compagna (Ncd). Docente universitario, alla quarta legislatura, da sempre definitosi un liberale, Compagna oggi è un esponente del Ncd di Angelino Alfano, dopo esser stato eletto nelle fila del Pdl ed essersi iscritto per un solo giorno (il 19 marzo del 2013), al gruppo “Misto”, aver abbracciato “Grandi Autonomie e Libertà”(Gal) per otto mesi, avere annusato per poche settimane il gruppo di Alfano ed essere ancora ri-tornato fra le fila di Gal. Oggi “l’ascaro di Berlusconi” – si definì così più di un anno fa in un’intervista al Messaggero – non ci sta a passare per “voltagabbana” e si giustifica così: “Dal Gal sono andato al Ncd per votare con convinzione la fiducia al governo Letta”.
Fra i casi clamorosi di “trasformismo” ci fu, nel dicembre 2010, quello di Razzi e Scilipoti che, eletti con Antonio Di Pietro, lasciarono l’Idv per trasferirsi, armi e bagagli, nel variopinto gruppo dei “Responsabili”, che sostenevano l’esecutivo guidato da Berlusconi. Le ragioni del passaggio furono spiegate, seppure inconsapevolmente e in termini crudi, dallo stesso Antonio Razzi, in un fuori onda dal Transatlantico.
Per chiarire le dimensioni del problema, torna utile fare un rapido confronto con la scorsa Legislatura. In 5 anni, dal 2008 al 2013, erano stati 160 i parlamentari che avevano cambiato casacca (120 alla Camera e 60 al Senato). Considerando che dopo neanche due anni siamo già arrivati a 155, è evidente che stiamo parlando di una situazione del tutto fuori controllo. Per tentare di porre rimedio all’esodo dei suoi Parlamentari verso il Gruppo Misto, il Movimento 5 Stelle ha avanzato una proposta di modifica dell’articolo 67 della Costituzione, che attualmente recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Si trattava di un pilastro della libera dialettica democratica, introdotto dai padri costituenti per non imbrigliare l’operato degli eletti entro i rigidi schemi di partito, lasciandoli liberi di seguire la propria coscienza, in un’epoca in cui i partiti avevano una pervasività ideologica e morale, oggi quasi del tutto scomparsa.
La pratica del trasformismo non è mai tramontata e, anzi, a scadenze più o meno regolari, trova nuove forme ed espressioni. Ultimamente si parla di “scouting” (andare alla ricerca di nuovi “talenti” da ingaggiare), pratica più volte denunciata dal Movimento 5 Stelle che però, con le sue numerose espulsioni, non ha fatto altro che alimentare numericamente il fenomeno che pare sia una specialità della politica italiana.