Pizza, patrimonio dell’Umanità
Inserire l’Arte della Pizza nella “Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità”: lo chiede una petizione lanciata lo scorso settembre sulla piattaforma Change.org dalla Fondazione UniVerde dell’ex ministro dell’Agricoltura Alfonso Pecoraro Scanio insieme all’Associazione Pizzaiuoli Napoletani, a Coldiretti e a Rossopomodoro.
In pochi mesi la petizione ha raccolto oltre 200.000 mila firme, fra le quali quelle dei ministri delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, dell’Istruzione, Stefania Giannini, e dell’Ambiente, Gianluca Galletti. Hanno dato la loro adesione i presidenti di Regione del Piemonte Sergio Chiamparino, della Lombardia Roberto Maroni, del Lazio Nicola Zingaretti e della Calabria Mario Oliviero, e sindaci come quelli di Torino Piero Fassino, di Parma Federico Pizzarotti e di Catania Enzo Bianco. Tra i firmatari, Slow Food nazionale e Oscar Farinetti, fondatore di Eataly. Oltre a parlamentari, giornalisti, sportivi, personalità dello spettacolo come Renzo Arbore, Gabriele Muccino, Claudio Bisio, Eugenio Bennato, Giorgio Panariello, Luciana Littizzetto, Ilary Blasy, Jimmy Ghione, Frank Carpentieri di Made in Sud. E poi i calciatori Totò di Natale, Fabio Quagliarella e la squadra del Pisa. La petizione è stata lanciata anche a Londra e a New York ottenendo la firma di Lidia e Joe Bastianich, Bud Spencer e Natalia Quintavalle, Console generale dell’Italia a New York. A poche settimane dalla presentazione della candidatura unica italiana e dall’apertura di Expo2015, dedicato al tema “Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita”, il momento della verità è arrivato.
Ma cosa c’entra una cosa come la Pizza con l’Unesco e con i ‘Patrimoni Immateriali dell’Umanità’? Più di quanto si possa ad un primo approccio immaginare. L’Unesco tutela “il patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana”. La lista dei Patrimoni Immateriali dell’Unesco è altra cosa dalla lista dei Patrimoni dell’Umanità della stessa Unesco, che comprende aree e territori e dove l’Italia compare al primo posto con 50 siti tutelati. Nella lista dei Patrimoni Immateriali sono presenti tradizioni orali, forme d’arte e di teatro, canti, riti, feste e cerimonie tradizionali di interesse universale ma a rischio di omologazione o di scomparsa. L’Italia compare già nella lista con l’Opera dei Pupi siciliani, il Canto a Tenore sardo e lo Zibibbo di Pantelleria.
Il punto è – l’Antropologia insegna – che riti e tradizioni orali hanno quasi sempre contenuti legati alla sopravvivenza materiale dei popoli ai quali appartengono. E quali tradizioni sono più funzionali alla sopravvivenza di quelle legate alla preparazione del cibo? E quale, fra esse, lo è di più di quella legata alla preparazione di un prodotto alimentare popolare e conosciuto in tutto il mondo come la Pizza? Un prodotto che, come testimoniato da Coldiretti, è messo a rischio nella sua originalità, integrità e genuinità dal fatto di essere sempre più spesso preparato con mozzarelle ottenute non dal latte ma da cagliate, provenienti dall’est Europa, pomodoro cinese o americano, olio di oliva tunisino e spagnolo, e farine con caratteristiche diverse da quelle nazionali. La contaminazione con materie prime non originali riguarda, secondo Coldiretti, il 63 per cento delle pizze: un dato rilevato ben prima della carenza di olio e farine nazionali, già annunciata per il 2015 a causa della scarsa produzione nazionale del 2014. Col rischio che la Pizza, quella vera, nata a Napoli nel Settecento come ‘street food’ ante litteram per sfamare la gente e tramandata fino a noi da un’Arte antica e raffinata che trasforma nel ‘laboratorio chimico’ di impasto, cottura e condimento gli ingredienti genuini del nostro territorio, smarrisca nella palude dell’omologazione la sua natura di cibo sano e popolare. E qui vale la pena di ricordare che questa origine popolare del piatto è assai più antica. ‘Pizza’ deriva infatti dal latino ‘pinsere’ che vuol dire ‘pigiare’, ‘spingere’, come fa ancora oggi l’artigiano che ‘stende’ la pasta a mano: a rinfrescarne a tutti la memoria il maestro dell’arte bianca e molitore capitolino Corrado Di Marco, che ha brevettato una versione aggiornata dell’antico piatto, la ‘Pinsa Romana’.
Il riconoscimento della Pizza come Patrimonio dell’Umanità sarebbe dunque la miglior forma di tutela della originalità della Pizza, a beneficio di tutti; e sarebbe in linea con le finalità di interesse collettivo per le quali la qualifica viene attribuita. Sarebbe, soprattutto, in perfetta continuità con un illustre precedente, l’iscrizione della Dieta Mediterranea nel Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco, avvenuta nel 2010. E allora, perché non firmare tutti la petizione?
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]