Karyotis (GPSP): Grecia, oggi all’Eurogruppo compromesso inevitabile

L’interminabile giro d’incontri bilaterali e multilaterali per trovare una soluzione adeguata e convincente per il risanamento del debito greco è giunto al capolinea: all’eurogruppo di oggi si dovrebbero decidere le sorti non solamente della Grecia ma dell’intera eurozona. Nonostante il dibattito sia aperto a tutti i membri dell’eurozona, la partita vera si giocherà con il faccia a faccia diretto tra i tedeschi e i greci, con questi ultimi disposti a fare “qualsiasi cosa necessaria” per trovare un accordo che possa ridargli respiro. Certo la distanza che separa le due parti è ancora piuttosto profonda e probabilmente solamente un intervento diretto da parte della Francia o dell’Italia potrebbe contribuire a cambiare le carte in gioco. Per capire meglio quale possa essere il risultato finale del “compromesso”, abbiamo intervistato Georgios Karyotis, Segretario Generale di GPSP (Greek Politics Specialist Group, network di esperti di politica greca con base nel Regno Unito) e docente all’Università di Glasgow, nonché coautore di The Politics of Extreme Austerity – Greece in the Eurozone Crisis (La Politica dell’Austerità – la Grecia e la Crisi dell’Eurozona).

Riuscirà il nuovo governo a raggiungere un accordo con Bruxelles?

Sì, un accordo tra la Grecia e l’Eurozona sarà siglato all’Eurogruppo. Tale compromesso è inevitabile, un fallimento della trattativa sarebbe catastrofico per la Grecia ed estremamente pericoloso per il resto dell’Eurozona. Per la Grecia, un fallimento delle negoziazioni rappresenterebbe un’estromissione diretta dall’euro, la reintroduzione di una propria moneta piuttosto debole e svalutata, e la rottura quasi certa del sistema bancario interno. Per l’Europa, invece, un’uscita della Grecia pregiudicherebbe la propria credibilità nei confronti dei mercati, e incoraggerebbe gli speculatori a prendere di mira le altre economie “riabilitate” ma ancora vulnerabili, quali Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia, darebbe inoltre dell’altro carburante e supporto politico ai partiti anti-Europa, quali l’UKIP nel Regno Unito. Un contagio, sia economico che politico, sarebbe imprevedibile e sebbene i leader europei siano oggi meglio preparati ed equipaggiati a gestire un’ipotetica Grexit rispetto al 2010 o al 2012, vorrebbero evitare di prendere il rischio di creare una specie di vaso di Pandora.

Quali sono i potenziali alleati per Tsipras contro il fronte tedesco? Potrebbe Renzi essere uno di essi (in attesa della possibile vittoria di Podemos in Spagna)?

Syriza avrebbe sperato di trovare supporto negli altri paesi del Sud Europa ma, nel caso di Spagna e Portogallo, l’opposto è stato il vero. La capacità di Syriza di rinegoziare un patto contro l’austerità in Grecia darebbe spunto e forza agli altri partiti europei schierati contro l’austerità, come Podemos in Spagna e alle nuove coalizioni emergenti in Portogallo, e ciò non sarebbe di certo ben visto dall’attuale establishment politico. Renzi dal canto suo, sia come Primo Ministro italiano che di fatto come leader dei socialisti europei, è più vicino sia ideologicamente, che nella sua attuale opposizione all’austerità europea, alle idee e alle posizioni di Tsipras. Altre sacche di supporto per la Grecia possono essere trovate in Francia e negli Stati Uniti, vedi alcuni messaggi, sebbene misti, provenienti da Obama e da altri esponenti di rilievo americani per risolvere la crisi e allentare la pressione sulle economie europee più deboli.

Fino a che punto il quantitative easing e l’estensione della linea di credito concessa dalla BCE sono serviti alla Grecia per ritrovare ossigeno. Che altro potrebbe fare la BCE?

La BCE ha espresso chiaramente che non intende stendere nel mezzo delle negoziazioni. Il  messaggio è che la soluzione non sta nei fondi, che possono essere trovati, ma nella volontà politica. Le negoziazioni politiche possono di fatto risolvere la crisi e sono la chiave alla base dell’accordo, e ciò non è previsto nella missione della BCE. Perciò dipenderà da quanto bene le parti coinvolte riusciranno a vendere l’accordo ai rispettivi pubblici domestici.

È legittimo dire che ciò di cui la Grecia ha bisogno non è un altro programma basato sull’austerità? Quali sono invece le emergenze vere da risolvere?  

Risolvere la crisi in Grecia richiede una combinazione di fattori. È necessario un freno alla spesa pubblica e riforme strutturali, alcune delle quali sono già incluse nell’attuale accordo con la Troika, ma hanno incontrato ostacoli nell’implementazione. Queste misure non devono essere punitive, come ha sottolineato con forza Syriza, e non dovrebbero condizionare sproporzionalmente la parti più deboli della società greca, ovvero i disoccupati, i poveri, i pensionati. Prevenire un deterioramento ulteriore delle condizioni di vita delle diverse fasce della società dovrebbe essere uno degli obiettivi primari del nuovo programma. Parallelamente, un eccessivo focus sull’austerità non aiuterebbe certamente l’economia a ripartire e tornare competitiva. Per far ciò, le misure di austerità devono essere bilanciate con iniziative per incoraggiare la crescita, gli investimenti e il lavoro.

Un’uscita della Grecia creerebbe un effetto domino nel resto dell’eurozona?

Molto probabilmente, ma avremmo bisogno della palla di cristallo per capire esattamente cosa potrebbe succedere e quando. Credo comunque rimarrà solamente una domanda ipotetica che non necessiterà di essere testata empiricamente dopo l’accordo che credo verrà raggiunto oggi.

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