Governo alla prova libica
La sola definizione adatta alla situazione attuale in Libia è “caos”. Un caos pericoloso, in cui ci sono tutti gli elementi per una tragedia di prima grandezza. E il problema è innanzitutto italiano. La Libia è, innanzitutto, una prova per noi e per il nostro Governo. È la prova della nostra maturità, della nostra lucidità e anche della nostra capacità di proteggere la nostra sicurezza e i nostri interessi al di là delle retoriche pacifiste di ogni colore. Come se non bastasse guardare alla mappa del Mediterraneo e pensare ai molti legami che ci uniscono all’ex-colonia, i fanatici dell’IS sono venuti a ricordarcelo nel modo più protervo “Stiamo arrivando, siamo al sud di Roma!”. Minacce vane? Delirio di onnipotenza? Sta a noi dimostrarlo.
È inutile ora andare alle origini del problema, che investe tutta quella che fu speranzosamente chiamata “Primavera araba”. Tutto l’Occidente si commosse ed applaudì, pensando a un rifiorire della democrazia nelle sabbie del mondo arabo. Fummo pochi quelli che, conoscitori un po’ meno superficiali di quel mondo e delle sue complessità, avvertimmo: “attenzione, quello che c’è dietro non è chiaro, non sappiamo quello che verrà dopo”. Ma tutti, specie a sinistra, entusiasti come bambini davanti a un nuovo giocattolo! Per la Libia, la responsabilità principale è della Francia di Sarkozy, che ci lanciò tutti in un’operazione dissennata (onore al merito: Berlusconi tentò invano di frenarla), probabilmente allo scopo di coprire vecchie complicità con Gheddafi o per sostituire interessi francesi a quelli italiani. Mi capitò di scriverne al tempo dell’iniziativa francese e resto della stessa opinione.
Ora è la Francia che prende l’iniziativa di una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (tardivo pentimento?). E tutti a gridare, anche in Italia: l’ONU, l’ONU, come se fosse la panacea universale, la risposta a tutti i problemi. Ho lavorato quattro anni a New York e le Nazioni Unite credo di conoscerle. Che sia giusto rivolgersi innanzitutto ad esse va da sé, se si cerca una “copertura di legittimità” alle azioni necessarie, ma non ripetiamo ingenue litanie: l’ONU funziona solo se c’è un accordo ferreo tra i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza per un intervento duro e serio. Ci sarà questa volta? Ne dubito. Si dovrebbe pensare che la Russia abbia lo stesso interesse dell’Occidente a combattere il terrorismo che minaccia anche lei. Ma davvero Putin sarà indotto a fare un favore all’Occidente in questo difficile momento? Spero di sì. Vedremo. E la Cina, che farà?
Perciò, andiamo pure a New York ma, senza illusioni e tenendo pronta una soluzione di ricambio. Perché se il CdS non si muove, non possiamo rassegnarci e lasciare andare le cose per il loro scellerato verso. Il pericolo è vicino, è dichiarato, è grave. Nascondersi dietro la foglia di fico dell’ONU e usarla come alibi per l’inazione non è consentito. Anche perché le Nazioni Unite, se tutto va bene, possono accordarsi per un’operazione di “peace-keeping”, cioè per qualcosa che serve a mantenere una pace già raggiunta, non a imporla con la forza. Di esempi ce ne sono tanti, dal Libano alla Bosnia, e nessuno ha mai funzionato. In Bosnia ci volle un intervento massiccio della NATO (65.000 uomini il primo anno), con il potere e il mandato di usarlo. E comunque lì c’era stata una pace firmata da tutte le parti in conflitto. In Libia questo è lontanissimo. Quello che serve è ben altro: occorre un intervento che aiuti le varie Autorità che si dividono il potere o quello che resta a mettersi d’accordo e ad affrontare e sconfiggere i terroristi, visto che da sole non ce la fanno. E questo intervento non può che essere occidentale. L’Europa? E dove ha l’organizzazione e la forza ? Gli Stati Uniti da soli? Ma perché devono portare sulle spalle tutti i mali del mondo, compreso quello libico che non hanno creato loro? La NATO? Dall’inizio sostengo che la NATO deve portare il peso principale della situazione, sia per la responsabilità passata di aver contribuito a distruggere il regime che bene o male teneva la Libia insieme, sia perché la difesa dei suoi membri aggrediti o minacciati, è e resta, sulla base degli articoli 5 e 6 del Trattato, la sua ragione d’essere. La NATO non è stata mai, e non può essere, soltanto una polizza di assicurazione per i Paesi che temono il pericolo russo. Il Mediterraneo è una sua dimensione essenziale, altrimenti non servirebbero il Comando di Napoli, la Sesta Flotta e le altre flotte alleate che operano nel Mare Nostrum e l’Alleanza rivestirebbe per noi un interesse meno immediato.
Una domanda legittima: ma l’Italia ha veramente bisogno degli altri per difendersi da una minaccia chiara e diretta? La risposta è, purtroppo, sì. Per decenni abbiamo demonizzato la guerra anche quando fosse difensiva e necessaria (la lista dei detrattori è lunga, dalla sinistra radicale al pacifismo cattolico e ora al dissennato grillismo) e risparmiato all’osso sulle spese militari (per dirlo chiaro, non abbiamo mai rispettato i parametri fissatici dall’Alleanza Atlantica); la polemica per l’acquisto di aerei più che necessari è di ieri. Non ci lamentiamo se dobbiamo chiedere aiuto agli altri quando occorre.
Ho detto più sopra che la Libia è una prova per noi, la prova della verità. Come si sta muovendo il Governo? Per ora non si capisce molto. Vedremo cosa dirà il Ministro Gentiloni alle Camere. Intanto Renzi dice che da due anni l’Italia va dicendo ai partner occidentali che in Libia c’è il caos. Non basta! Voci nel Governo fanno ora comprendere che l’Italia è “pronta a fare la sua parte nel quadro dell’ ONU”. Per le ragioni indicate più sopra, non basta e può anzi essere una via senza uscita! Nessuno chiede al Governo italiano di intraprendere un’operazione militare da solo, ma è più che giusto chiedergli un’azione ferma e decisa per mobilitare un intervento di tutta la NATO, con o senza l’avallo dell’ONU. E di esplorare fino in fondo la possibilità di un intervento dell’Egitto che solo adesso, dopo il barbaro massacro di 35 copti, ha scoperto il pericolo, ha reagito bombardando gli islamisti e ha giurato vendetta. Ma anche questo non basta. Per sanare la situazione libica occorre un’azione politico-militare seria, coordinata, con le risorse necessarie e la volontà di andare fino in fondo. Altrimenti, meglio rassegnarci e sperare nello stellone.