Libia, la posizione del Governo

Dopo le conquiste territoriali dell’Isis nella zona di Sirte, la polveriera libica è finita al centro dell’attenzione dei grandi del mondo: nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dedicato agli estremismi violenti, una riunione fiume è stata dedicata proprio alla Libia, con l’Italia pronta ad assumere un ruolo guida nella gestione dell’emergenza.

Sul territorio libico la situazione resta grave con il susseguirsi di attentati e il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni si è espresso sul caso libico, sottolineando che “l’Italia è in prima linea contro il terrorismo”. Poco prima di intervenire alla presentazione del libro di Maurizio Molinari (“Il Califfato del terrore. Perché lo Stato Islamico minaccia l’Occidente”), il titolare della Farnesina aveva sentito al telefono l’omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier. Nel corso del colloquio, i due hanno discusso dell’evoluzione della crisi libica anche in vista delle prossime iniziative da assumere in sede UE e alle Nazioni Unite. La priorità è quella di mettere insieme le varie fazioni che si confrontano in Libia in un contesto di unità nazionale contro le forze del terrore. Come emerso anche da una riunione a New York dell’International Crisis Group sulla Libia composto da rappresentanti di Usa, Francia, Regno Unito, Italia, Germania, Spagna, UE e Onu.

“Mentre il negoziato muove i primi passi, la situazione in Libia si aggrava. Il tempo non è infinito e rischia di scadere presto, pregiudicando i fragili risultati raggiunti dalla mediazione Onu sostenuta dall’Italia”. E’ l’allarme del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, in un’informativa in aula alla Camera sulla crisi in Libia. Per il titolare della Farnesina, però, “l’unica soluzione alla crisi libica è quella politica”. Dopo le dichiarazioni bellicose dei giorni scorsi, anche il Ministro della Difesa Roberta Pinotti, intanto, ribadisce che qualsiasi intervento deve avvenire “in un quadro di legittimità internazionale”.

Le parole dei ministri sono arrivate proprio mentre il Daily Telegraph rivelava che l’Isis vorrebbe utilizzare la Libia per portare “il caos nel sud dell’Europa”, quindi anche in Italia. Secondo uno dei principali reclutatori dello Stato islamico in Libia, l’Isis vorrebbe utilizzare i barconi dei migranti nel Mediterraneo e attaccare le “compagnie marittime e le navi dei Crociati”.

“In Libia – ha sottolineato Gentiloni nel corso dell’informativa del Governo – è in atto un grave deterioramento della sicurezza ed è evidente il rischio di saldatura tra gruppi locali e Daesh [acronimo arabo dell’Isis, ndr] e questo richiede da parte nostra la massima attenzione”. Per il Ministro degli Esteri, la situazione attuale nel Paese nordafricano è dovuta anche ad “errori compiuti dalla comunità internazionale nella fase successiva alla caduta di Gheddafi”.

Intervistato da SkyTg24, il ministro Gentiloni ha aggiunto “L’Italia è pronta a combattere in Libia nel quadro della legalità internazionale e sta sostenendo le Nazioni Unite nell’ azione tra le diverse fazioni in campo”, ma se non fosse possibile trovare una mediazione “bisogna porsi il problema con l’UE di fare qualcosa di più. Non possiamo accettare l’idea che a poche ore dall’Italia in termini di navigazione ci sia una minaccia terroristica attiva. Quelle che parlano di bandiera nera dello Stato islamico su San Pietro – ha detto ancora il Ministro – sono farneticazioni propagandistiche ma non le possiamo sottovalutare”.

Al momento la prospettiva più concreta sembra quella che prevede di concedere altro tempo al mediatore dell’Onu Bernardino Leon, considerato che un intervento militare internazionale, o anche la fornitura di altre armi ad una sola delle parti in conflitto, allontanerebbe la possibilità di una soluzione “politica”.

Dopo i raid aerei di lunedì e martedì, le forze egiziane hanno compiuto anche un’incursione via terra, fino a Derna, e secondo alcune fonti “hanno ucciso 155 combattenti dell’Isis e ne hanno catturati altri 55”. E all’Onu il governo egiziano insiste affinché venga quantomeno revocato l’embargo sulle armi per il governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, cioè quello costretto ad operare da Tobruk, poiché a Tripoli fa da padrone un governo ‘parallelo’ formato dalle milizie islamiche.

Le ripercussioni della crisi sono evidenti, a partire dall’arrivo di migranti sulle nostre coste. Il numero degli sbarchi dal 1 gennaio a metà febbraio è stato di 5.302 rispetto ai 3.338 dello stesso periodo dello scorso anno.

Il premier, Matteo Renzi, ha utilizzato la platea della trasmissione di Rai 2 “Virus” per mandare pochi e miratissimi messaggi sul ruolo e la strategia di Roma in merito alla situazione in Libia e ai rischi di attacchi terroristici da parte dell’Isis. “L’Italia è forte ed in condizione di reggere ma non intende avviare avventure belliche”. Per Renzi il problema va affrontato con “grande decisione” ma senza cedere all’isteria collettiva. “Preoccupazione sì, sottovalutazione della situazione no, ma non siamo assediati, non abbiamo quelli con i coltelli dietro le porte”.

Al Palazzo di Vetro di New York, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha cercato di trovare una mediazione tra la linea più interventista del Cairo e quella più politica di Usa e UE. L’Egitto ha precisato che nel progetto di risoluzione presentato al Consiglio di sicurezza non si è fatto cenno all’ipotesi di intervento militare.

Per ora, quindi, prevale sia all’estero che in Italia un atteggiamento di prudente allerta. Come ha dichiarato Potito Salatto, Vicepresidente dei Popolari per l’Italia (PpI): “La domanda ricorrente è: intervenire militarmente o no? Non c’è dubbio che, guardando le orribili immagini di decapitazioni che ci giungono, la reazione emotiva ci spinga a dire basta e a promuovere un massiccio intervento armato. Ma ciò significherebbe cadere nella trappola orchestrata dall’Isis contro noi occidentali, aumentando i suoi consensi nel mondo musulmano”. Posizione ribadita dal Sen. Mario Mauro, Presidente dello stesso PpI, nel suo articolato e ben documentato intervento al Senato sulle dichiarazioni del Governo.

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