L’imbroglio libico

Per ora le Nazioni Unite hanno frenato un intervento militare egiziano (che personalmente continuo a ritenere più che opportuno), preferendo l’azione diplomatica: cioè, in parole chiare, il tentativo dell’inviato ONU Bernardino Leon di giungere ad un accordo fra i due Governi e i due Parlamenti che si dividono, anche territorialmente, il potere in Libia, perché agiscano in comune contro lo Stato Islamico.

Va da sé che questa sarebbe la soluzione ideale, ma è possibile? Le premesse non sono incoraggianti. È di ieri la dichiarazione delle Autorità di Tobruk secondo cui non intendono più partecipare alla “farsa del negoziato”. E allora?  Quanto tempo ancora devono durare i tentativi diplomatici? Nelle dichiarazioni di vari membri del Governo italiano ritorna il tema della brevità del tempo ancora disponibile. Verissimo, ma non basta dire: il tempo sta scadendo. Bisogna  cominciare a pensare seriamente a cosa fare per proteggere con i fatti la nostra sicurezza. Guardiamo all’essenziale. Una Libia nel caos crea per noi problemi gravi, in relazione all’immigrazione fuori controllo e ai contratti saltati, ma non è questo il peggio (se si trattasse solo di questo, potremmo tirare una croce sulla Libia e passarla in bilancio nella voce “perdite”). Il fatto davvero grave è che lo Stato Islamico minaccia direttamente e apertamente l’Italia, con proclami e video deliranti. Il Presidente del Consiglio ha ragione a non drammatizzare queste minacce. Penso siamo lontani da una situazione in cui qualche migliaia di guerriglieri scatenati può minacciare militarmente un grande Paese membro della NATO. Ma attenti! Se l’IS si consolidasse effettivamente in Libia, potrebbe acquistare una capacità missilistica in grado di minacciarci seriamente. Trent’anni fa fu Gheddafi a lanciare due missili su Lampedusa, per fortuna caduti in mare. Allora ero Vicedirettore degli Affari Politici alla Farnesina e sapevamo che erano missili a tecnologia superata. Ma la tecnologia ha conosciuto grandi evoluzioni da allora, missili ben altrimenti sofisticati sono sul mercato, e la jihad ha i soldi per comprarseli e installarli, né mancano tecnici (per esempio nordcoreani) in grado di aiutare a usarli. Che faremmo allora? Raid aerei per distruggere le basi? Con quali aerei, se si contesta anche  l’acquisto di quelli che l’Aeronautica Militare pur considera necessari? È comunque evidente che un Piano B è necessario in caso di fallimento dell’ONU.

In un editoriale di lunedì scorso, Sergio Romano accenna a un intervento militare europeo, condotto dalle tre potenze mediterranee (ma la Spagna, in materia di proiezione di forza, credo stia peggio di noi e solo la Francia ha la necessaria credibilità). Io però a un’operazione europea non credo, in una vicenda tanto complessa. Credo invece nel dovere e nella capacità d’intervento della NATO. Ho servito nell’Alleanza complessivamente per dieci anni e credo di conoscerne a fondo le capacità politico-militari. Nel Mediterraneo, lo schermo che ci protegge si basa molto meno sulle Marina italiana od europea che sulla Sesta Flotta, un complesso poderoso con alta capacità di comando, controllo e intervento, dotato di una forza aerea possente, specie se ad essa si uniscono aerei francesi, inglesi e magari italiani. In questo contesto può entrare in gioco la Garibaldi, coi suoi Harriet a decollo verticale, se la riportiamo a casa invece di mandarla in giro per il mondo a fare marketing. Questa forza è stata ampiamente usata per abbattere Gheddafi, è logico e doveroso che, se necessario, sia utilizzata per combattere la minaccia che pesa sui membri meridionali dell’Alleanza.

L’atteggiamento di alcune forze politiche italiane di fronte al problema è sconsolante: dai balbettii pacifisti del SEL, ai distinguo leghisti e grillini, alle ambiguità dei democratici, divisi tra di loro anche su questo. Berlusconi è finora il solo ad aver preso una posizione chiara, favorevole a un intervento militare. Ma lui è il primo a conoscere i nostri limiti, anche se, al tempo dell’Irak e poi dell’Afghanistan, pensò di poterli forzare. Quanto al Governo, se dovessi dargli un voto per l’azione svolta finora, sarei nella maggiore incertezza. Meglio riservarci il giudizio. Criticare, però, è facile, qualche volta è doveroso proporre soluzioni. A mio avviso, Renzi fa a bene ad andare avanti con prudenza e a escludere interventi uniltarali italiani. Fa anche bene a sostenere gli sforzi dell’ONU, ma deve prepararsi e prepararci: se l’azione dell’ONU fallisce, a un’operazione seria, possibilmente della NATO, o se no di alcuni Paesi dell’Alleanza, in cui l’Italia svolga un ruolo pari all’altezza della sfida. È, in fin dei conti, la prima volta dalla firma del Patto Atlantico che il Paese si trova a essere minacciato in prima linea. Se non fossimo capaci di fare la nostra parte per proteggerci, saremmo davvero un paese di serie C. Renzi fa inoltre bene a cercare la partecipazione russa all’azione internazionale diretta a contenere l’IS (è interesse anche di Mosca), perché le divergenze pur serie sull’Ucraina devono passare in seconda linea di fronte a una minaccia così grave a tutto il mondo laico. Altra cosa che deve fare è battere a fondo la pista egiziana. Non so che scopo avesse la visita del Sottosegretario Minniti al Cairo, ma devo pensare che si iscrivesse in questa linea. L’Egitto è la sola potenza militare della Regione capace di sconfiggere la jihad che minaccia anche lei.  Può darsi che alla fine il suo intervento sia la sola soluzione. Lasciamo altri (fingere di) stracciarsi le vesti. A noi conviene. Infine, credo che un chiarimento molto franco si imponga con gli alleati turchi, il cui gioco in queste vicende è quantomeno ambiguo. Hanno favorito in vari modi (non solo con la loro passività) l’azione dell’IS in Irak e Siria. Ora appoggiano  le Autorità di Tripoli, in mano alle milizie islamiche. Non è tempo che con gli amici e alleati di Ankara si faccia un discorso esplicito?

In sostanza, il Presidente del Consiglio ha oggi il dovere di dire una parola seria e chiara: non sottovalutiamo né sopravvalutiamo la minaccia dell’IS, ma ci prepariamo a fronteggiarla. All’interno, facciamo quello che dobbiamo per proteggerci (tra parentesi, perché non effettuare interventi sulla costa libica per distruggere i barconi, prima ancora che partano, come sostiene il Sen. Mario Mauro, Presidente dei Popolari per l’Italia?); all’esterno, appoggiamo l’azione diplomatica ma, se questa fallisse,  proporremmo agli Alleati e agli amici un intervento militare e vi parteciperemmo in forma adeguata.  Penso che l’opinione pubblica si attenda questa chiarezza. Dopo tutto, più del 52% degli italiani risulta convinto che un intervento militare sia, prima o poi, necessario.

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