Europa 2020 e il PNR Italia

Abbiamo già avuto modo di trattare il tema della Strategia Europa2020, questo programma della UE ha un arco temporale 2014-2020 e stabilisce le priorità di sviluppo per il prossimo decennio, rilanciando e rinnovando gli obiettivi stabiliti dalla Strategia di Lisbona e confluiti anche nella politica di coesione 2007-2013. Presentata a marzo 2010 come insieme di misure per uscire dalla crisi e approvata dal Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo il 17.06.2010, Europa 2020 si basa su 3 target di sviluppo: crescita intelligente, crescita sostenibile e crescita inclusiva. Su queste tematiche principali si innestano 5 obiettivi prioritari in altrettante aree socio-economiche: lavoro: 75% di occupazione nella fascia 20-64 anni; ricerca e sviluppo: 3% del PIL investito in R&S; clima ed energia: obiettivo 20/20/20 (-20% emissione gas serra; portare a 20% energia da fonti rinnovabili; +20% efficienza energetica); istruzione e formazione: tasso inferiore al 10% di abbandono scolastico e superiore al 40% di laureati; inclusione sociale e povertà: meno 20 milioni di poveri.

Per attuare questo programma  l’Europa ha definito anche 7 iniziative Faro: L’Unione dell’Innovazione; Gioventù in movimento; Un’agenda Europea del digitale; Efficienza delle risorse; Una politica industriale per l’era della globalizzazione; Nuove competenze e nuovi posti di lavoro; Piattaforma contro la povertà. Il Consiglio europeo diventa il vero fulcro della strategia Europa2020. Rispetto agli obiettivi comunitari gli Stati membri possono definire target diversi,  il programma di confluenza sui target definiti si concretizza attraverso la presentazione di Programmi Nazionali di Riforma (PNR) e Programmi di stabilità e convergenza (PSC). Il PNR e il PSC italiani – confluiti nel DEF (documento economico finanziario) – sono stati definiti dal Ministero dell’economia e delle finanze (contributo italiano).

Cominciamo subito a vedere come purtroppo l’Italia, malgrado i consueti proclami del governo, abbia stabilito numeri ben diversi da quelli europei, sul target 20-20-20 rispetto le emissioni siamo allineati sulla riduzione dell’emissione dei gas serra e sull’efficienza energetica, fermandoci al 17% sulle fonti rinnovabili. Su uno dei temi tanto cari al premier, ricerca e sviluppo, rispetto ad un obiettivo comunitario del 3% di investimenti sul pil, il nostro paese ha deciso per un misero 1,53%; rispetto alla fascia 30-34 enni dotati di istruzione terziaria ci fermiamo ad un altrettanto miserevole 26% contro l’indice comunitario del 40%; per non parlare del 16% di abbandoni scolastici contro il target UE del 10%, insomma su istruzione e ricerca si fa molta propaganda, ma con obiettivi minimi.

Ogni anno la Commissione europea elabora per ciascuno Stato membro un documento, in cui analizzata la situazione economica del paese e raccomanda i provvedimenti da adottare a livello nazionale nei seguenti 18 mesi. La capacità dell’Italia di resistere all’impatto della crisi è frenata da carenze strutturali di lunga data, la Commissione individua nell’elevato debito pubblico e nella perdita di competitività esterna, riconducibile alla crescita debole della produttività, i principali squilibri macroeconomici dell’economia italiana, che richiederanno un monitoraggio e un intervento risoluto. Sulle finanze pubbliche i limiti rigorosamente perseguiti del 3% rapporto deficit/pil e 60% debito/pil dai governi Monti e Letta sono stati oggetto di lassismo nell’ultimo anno e solo le continue pressione della Commissione hanno costretto il governo Renzi ad adeguarsi. Sull’attuazione delle riforme e contesto amministrativo e imprenditoriale siamo decisamente fermi, concorrenza, authority, privatizzazioni, riforma degli albi, tutti buoni propositi per ora annunciati, ma non realizzati. Anche sulla corruzione, altro punto su cui la UE ha puntato il dito, malgrado la creazione di un pool ad hoc affidato al magistrato Cantone, mancano i sostegni legislativi e normativi e le critiche continue dello stesso incaricato non mancano di farsi sentire. Il settore bancario ha risentito della serie di scandali, in primis l’affaire Montepaschi, ma gli stress test della BCE e l’asset quality review, hanno di fatto bloccato l’erogazione di crediti a famiglie e PMI. Nel 2015 è auspicabile, grazie anche alla massiccia iniezione di liquidità tramite il quantitative easing ai nastri di partenza, che il meccanismo si rimetta in moto. Restano in essere le criticità di eccesso di personale in carico alle Banche nazionali e la loro resistenza verso un approccio alla clientela meno puntiglioso, la scarsa predisposizione ad una effettiva concorrenza e non bisogna poi scordare il nodo tuttora irrisolto delle BCC e delle Fondazioni.  Su fiscalità e sommerso non è stato fatto praticamente niente, anzi il nuovo record del livello di tassazione  rispecchia la mancanza di capacità e volontà da parte di questo governo di aggredire in maniera determinata questi aspetti. Ultimo parametro su cui si sono appuntati gli strali della Commissione è il mercato del lavoro e le politiche sociali. I tassi di occupazione, specie fra i giovani e le donne, restano ben al di sotto della media UE. Inoltre il livello di istruzione in Italia è basso. Il tanto sbandierato Jobs Act potrà cambiare in meglio la situazione? Senza scendere nel dettaglio di normative ancora in via di definizione tramite i decreti attuativi, è indubbio, come fatto rilevare anche dal Prof. Fumagalli nella recente intervista rilasciataci, che più che un aumento generalizzato della forza occupata si potrà avere uno spostamento dal precariato al tempo indeterminato. Ma la mancanza delle precedenti tutele garantite dall’art. 18 indurranno sicuramente un maggiore ricambio tra occupati con anzianità e quindi stipendi medio-alti ad occupati neo-assunti con salari base. L’obiettivo del Jobs Act è di introdurre forme di flexsecurity, ma la security è un’attività che necessita di stanziamenti che al momento non ci sono, il rischio, tutt’altro che ipotetico, è che si introduca la flexibility senza la security. Se consideriamo che al momento il tasso di occupazione italiano è del 60,2% contro un target UE del 67-69% comprendiamo come Strategia 2020 sia un traguardo difficile da rispettare con le attuali implementazione del PNR.

Per concludere riportiamo quanto dichiarato dal governatore della BCE Mario Draghi rispetto Europa 2020: “Negli anni Ottanta l’economia italiana è cresciuta del 27 per cento; negli anni Novanta del 17 per cento; tra il 2000 e il 2007 – prima della crisi – è cresciuta dell’8 per cento, mentre gli altri paesi dell’area dell’euro crescevano del 14. Nel biennio 2008-09 la crisi ci ha tolto 6,5 punti di PIL; mentre gli altri paesi dell’area ne perdevano 3,7. Il divario fra l’Italia e gli altri paesi perdura nella fase di ripresa. Questi dati esprimono sinteticamente la difficoltà delle imprese italiane a essere competitive, dei responsabili della politica economica ad attuare strategie di modernizzazione del Paese, degli stessi economisti a orientare le proprie ricerche e a comunicarne al pubblico i risultati”.

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