Tassa sui versamenti, un’ipotesi assurda
Da alcune settimane su diverse testate nazionali si discute di una proposta di legge che il Governo intenderebbe promuovere circa una imposta che colpisca i versamenti in contanti su conto corrente superiori ai 200 euro.
Il tutto, a prescindere dalla veridicità di quella che sembra essere di fatto solo una indiscrezione poi smentita, si inserisce in quella strategia di lotta all’evasione che intende ostacolare l’uso del contante come strumento principe; strategia che ha avuto diversi sostenitori nei governi degli ultimi anni, in particolare tra quelli tecnici.
In realtà nei primi giorni di questo mese la CGIA di Mestre pubblica uno studio secondo il quale la correlazione tra uso del contante ed evasione fiscale, di fatto, non esista. Partendo del presupposto che la soglia dell’uso del contante nel nostro Paese è tra le più basse d’Europa (1000 euro, al pari del Portogallo, calcolando che ad esempio la soglia è 3000 euro e che in undici paesi dell’Unione Europea la soglia non esiste neanche) l’uso del contante rimane elevato e l’evasione pare contrarsi o espandersi in maniera indipendente rispetto alla precedente variabile.
Il diffusissimo uso del contante in realtà è legato ad altri fattori: primo tra tutti il fatto che in Italia esistono più di 14 milioni di persone che non possiedono un conto corrente. Una cifra senza paragoni in Europa. Da cui il conseguente uso dei pagamenti non tracciabili. Considerando infine che i costi di apertura e mantenimento di un conto corrente in Italia sono tra i più alti d’Europa si capisce che obbligare quasi quindici milioni di persone ad avere un conto corrente, in massima parte anziani e lavoratori a basso reddito, sia più che una forma di lotta all’evasione un ennesimo regalo da parte del sistema politico a quello bancario. Qualcosa di cui probabilmente non abbiamo bisogno in questo momento.