Riforma RAI, uscire dalla porta per rientrare dalla finestra

“La Rai diventerà una delle più grandi imprese culturali d’Europa” con un “capo azienda” indicato dal governo e un cda eletto dal Parlamento in seduta comune. Il premier, Matteo Renzi, ha le idee chiare su come dovrà essere la nuove televisione pubblica dopo la riforma voluta dal suo esecutivo. Mentre la scuola agita ancora lo scenario politico, il governo Renzi si prepara già ad affrontare una nuova sfida, quella che intende ridisegnare la Rai.

Se la riforma della scuola deve essere una “rivoluzione concettuale”, quella della tv pubblica, invece, riguarderà l’aspetto “culturale”. L’iter da seguire è lo stesso: si interviene con un ddl, dopo aver considerato l’idea di accelerare i tempi con un decreto. Sarà, quindi, il Parlamento “decisivo” per approvare una riforma che smonterà la Rai per ricrearla in maniera del tutto differente. “Non vogliamo mettere le mani sulla Rai ma dare ossigeno all’azienda”, ha replicato così Renzi alle accuse piovute dall’opposizione. Tante le novità al vaglio dell’esecutivo: la guida dell’azienda sarà affidata a un “capo” scelto dal governo, avrà un canale culturale senza interruzioni pubblicitarie, e il consiglio d’amministrazione sarà più snello, con un membro scelto dai dipendenti e gli altri eletti dal Parlamento in sessione comune. Come avviene per il Presidente della Repubblica, per intenderci, anche se la Costituzione stabilisce e delimita le circostanze nelle quali il Parlamento possa riunirsi in seduta comune di Camera e Senato. L’idea, ovviamente molto ambiziosa, è lasciare la politica fuori dalla nuova azienda di viale Mazzini. Impresa tutt’altro che scontata.

Le critiche all’impianto di riforma non mancano. Nello specifico, l’ipotesi di avere un amministratore delegato nominato dall’esecutivo è quella che catalizza le maggiori perplessità. Per Carlo Freccero, ex direttore di Rai2 e Rai4, “Renzi vuole essere l’unico e solo deus ex machina”. La logica della rottamazione a tutti i costi proprio non va a genio a Freccero, come ha raccontato a Il Messaggero: “Anche qui bisogna buttar via per forza quello che c’è, cavalcando facilmente tutto ciò che da un pezzo è già stato metabolizzato dalla gente. Figuriamoci poi quando si parla dell’ingerenza della politica sulla televisione di Stato”.

Con l’attuale legge Gasparri il cda della televisione pubblica è scelto dalla Commissione parlamentare di vigilanza dei servizi radiotelevisivi, formata da sette membri, e altri due, tra cui il presidente, dal ministero del Tesoro. Si tratta, evidentemente, di due espressioni dirette di Parlamento e governo. Se la riforma ha l’intento, perlomeno dichiarato, di allontanare la politica dalla Rai, proporre un Ad inteso come emanazione dell’esecutivo sembra andare in altra direzione. “Bisogna dare a chi gestisce la Rai – ha detto Renzi – la possibilità di fare delle scelte delle quali risponderà alla fine del mandato o in corso del mandato alla commissione di Vigilanza se si discosta dalle direttive”. Il percorso per cambiare la Radiotelevisione italiana, ad ogni modo, è solo all’inizio. E non sarà certamente semplice.

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