Combattere la Jihad

Infuria in questi giorni la battaglia per la città di Tikrit, importante località irachena (origine del clan di Saddam Hussein), chiave per l’eventuale riconquista di Mosul, a sua volta centro strategico e capitale delle zone petrolifere dell’Irak.  A quanto pare, l’esercito iracheno si è alla fine riscosso dal letargo e ha costretto le forze dello Stato islamico sulla difensiva. Naturalmente l’esercito ha il sostegno dei raid aerei americani e inglesi ma, secondo quanto riconoscono anche fonti americane, buona parte del merito appartiene all’appoggio che gli iracheni stanno ricevendo dall’Iran. C’è un generale iraniano che coordina sul posto l’offensiva, alla quale è probabile che partecipino milizie di quel Paese. Se questo è esatto, si aprono per il futuro scenari ancora difficili da disegnare, ma nei quali l’Iran sarà chiamato a svolgere un ruolo ineludibile e l’Occidente non potrà non tenerne conto.

Sul fronte siriano, i peshmerga curdi continuano a difendere coraggiosamente Kobane, altro snodo importante per il controllo di ampie zone siriane. Resta invece grande assente la Turchia, un alleato NATO che non sta compiendo il suo dovere. E anche di questo prima o poi si dovrà ragionare.

È troppo presto per dire che l’IS è in ritirata o, come hanno dichiarato fonti militari USA, è vicino alla sconfitta. L’importante è però che la marea montante si sia fermata e accenni anzi a rovesciarsi. In una cultura fatta in parte di miti collettivi, è essenziale che non si affermi l’idea di un’invincibilità della jihad e della ineluttabilità del suo arrivo al potere. Alcune tribù, il cui ruolo è chiave, appoggiano la jihad sia perché sunnite vedono in essa una difesa contro il prevalere degli sciiti, sia perché ritengono che l’IS sia il sicuro vincitore. L’opera diretta a portarle dall’altra parte è difficile e lenta, ma necessaria. Intanto però occorre che la controffensiva prosegua e guadagni terreno su tutti i fronti. Non si può lasciare il controllo di territori ancora vasti a gente che ha mostrato il più assoluto disprezzo per ogni principio civile, uccide, sgozza, distrugge chiese e monumenti antichi, impiega bambini per le sue bisogne criminali. Non sono esseri umani. Prima ancora che un dovere politico, sconfiggerli è un dovere morale verso l’umanità che essi offendono.

Anche in Libia qualche segno di riscossa sembra esserci, se è vero che Derna è stata ripresa (ma è tanto difficile sapere la verità nel fiume delle contrapposte propagande).

Nel frattempo, mi ha colpito il nuovo incontro tra il Premier Renzi e il Presidente egiziano Asi. È, se non sbaglio, il sesto incontro italo-egiziano in un anno circa. Non so cosa si siano detti, ma devo pensare che tra Italia ed Egitto, i due Paesi più direttamente interessati alle vicende libiche, un dialogo sia in corso e spero sia serrato e concreto e porti a una collaborazione efficace. Se la NATO resta fuori del gioco, l’Egitto è il solo interlocutore serio  in quella regione. E Matteo Renzi fa benissimo a coltivarlo.

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