Un vero esercito europeo? Inevitabile per il Sottosegretario Rossi
Nelle scorse settimane il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha reso pubblica la proposta della creazione, nel prossimo futuro, di un esercito dell’Unione europea. Secondo fonti ufficiali, le discussioni sul tema inizieranno nel mese di giugno. In un’intervista al quotidiano Die Welt, Juncker dichiara che «l’Europa ha perso una larga percentuale di rispetto». Sembra infatti che l’UE non venga presa più sul serio, specialmente in politica estera. E in seguito ai recenti attacchi terroristici a sud, e dell’incombenza della Russia ad est, sembra giunto il momento per l’Unione di porre la questione in maniera seria.
Secondo Juncker, l’esercito dell’UE darebbe il via a una vera politica di sicurezza comune, consentendo all’Europa di definire collegialmente il proprio ruolo nel mondo, soprattutto in relazione alle minacce alle sue frontiere. «L’Unione potrebbe anche reagire in modo più credibile se uno stato membro o vicino venisse attaccato. Un vero esercito comune darebbe un chiaro segnale alla Russia della nostra volontà di difendere i valori europei». In base alle opinioni favorevoli alla proposta, dopo l’unificazione monetaria è essenziale per gli Stati d’Europa condividere anche il potere di decidere sull’uso della forza militare.
Abbiamo chiesto un parere sul tema all’On. Domenico Rossi dei Popolari per l’Italia, già Generale dell’Esercito e attuale Sottosegretario alla Difesa: «Credo che oggi sia inevitabile pensare a un’Unione europea che affronta delle crisi globalizzate e procedere, in prospettiva, alla costituzione di un’aggregazione militare europea. Nel medio-lungo termine, penso che la proposta di Juncker sia un’evoluzione assolutamente condivisibile. Disporre in futuro di una deterrenza di carattere europeo avrebbe un peso specifico notevole nell’affrontare situazioni di crisi internazionale».
La questione è indubbiamente complessa, perché l’inizio delle concertazioni dovrà di certo fare i conti con situazioni costituite non facili da elaborare. Tra tutte, i rapporti diretti con la NATO di 22 dei 28 paesi europei, oltre alla dichiarata neutralità di Austria, Finlandia, Svezia e Irlanda. Inoltre, la Gran Bretagna ha immediatamente espresso la sua radicale contrarietà a un esercito comune, perché considera la difesa una questione nazionale e non europea.
«Rispetto la posizione di chi dice che la difesa sia una responsabilità nazionale e non europea – continua l’Onorevole Rossi – ma mi chiedo quante volte, dal 1945 in poi, ci siamo trovati di fronte a situazioni di sola responsabilità di una nazione, e quante altre invece hanno investito le responsabilità dell’Europa nel suo complesso».
L’idea di dotare l’UE di una propria forza militare non è di certo nuova. Nel corso degli anni, l’istituzione di organi come la Politica di Sicurezza e Difesa Comune e l’Eufor hanno progressivamente avviato un processo di integrazione militare che però ha stentato a consolidarsi. Preceduta dalla NATO nelle operazioni di emergenza, l’Unione europea ha solo preso parte ufficialmente a missioni di scarsa rilevanza.
Un ulteriore vantaggio di un esercito dell’UE starebbe nella possibilità di razionalizzare la spesa comune per la difesa dei 28 paesi, oggi frammentata, favorendo così una reale integrazione militare. Allo stato attuale, i corpi militari nazionali attuano già delle procedure di coordinamento condivise, per cui la standardizzazione di protocolli e sistemi di comunicazione potrebbero rendere le collaborazioni meno costose sin dal principio.
Ancora il Sottosegretario Rossi: «Concordo anche sul fatto che una struttura di carattere militare europeo potrebbe portare a razionalizzare spese militari e armamenti, non solo nella definizione di nuovi equipaggiamenti, ma anche nella riorganizzazione dell’esistente. Ogni nazione ha avuto nell’ultimo decennio dei processi di razionalizzazione, alcuni dei quali ancora in corso. Finora abbiamo tutti quanti gestito le risorse in funzione della difesa nazionale. Probabilmente, se lo avessimo già fatto in funzione delle esigenze della difesa europea, avremmo potuto evitare il rischio di ridondanze o carenze a carattere generale».
Del resto, è proprio a causa dello scarso coordinamento delle operazioni militari tra i paesi dell’Unione, che spesso una nazione come l’Italia si è ritrovata a fronteggiare da sola le emergenze che si verificano a ridosso dei suoi confini: un esempio eclatante della necessità di una strategia comunitaria è la gestione dei migranti che dall’Africa sbarcano sulle nostre coste. L’On. Rossi ribadisce questa necessità: «Ricordiamo inoltre che nell’affrontare, da parte italiana, una situazione come quella dei migranti, non abbiamo fatto altro che cercare di portarla all’attenzione europea perché riteniamo che costituisca, nel caso specifico, la frontiera dell’Europa. E l’evoluzione da Mare Nostrum in Triton è sicuramente da migliorare, ma costituisce in ogni caso una prima risposta di carattere europeo».
La questione della sicurezza in territorio europeo ha ormai raggiunto caratteri di una reale emergenza, sia dal punto di vista militare che politico. A Bruxelles l’avvio delle discussioni è già sul piatto: i decisori ai vertici avranno in mano la gestione di equilibri delicati, cercando di bilanciare l’aumento della sicurezza comune senza intaccare la sovranità dei singoli stati. Di certo, un piano di gestione accurato delle forze armate sarebbe utile a riordinare un’area cruciale dell’Unione, rimasta finora un po’ in secondo piano.