Servizio pubblico, quale modello?

È partito in questi giorni un progetto di riforma della RAI, da tanti attesa, ma che è facile prevedere susciterà discussioni infinite. Il Governo dice di aver inteso indicare linee generali, lasciando alla discussione in Parlamento i contenuti concreti. Francamente, la cosa non mi rassicura molto, visto come vanno di solito le discussioni in quella sede. Per una volta, avrei preferito che il Governo avesse presentato un DDL articolato e completo, perlomeno come base di dibattito e magari senza opporsi a modifiche ragionevoli e certamente senza imporre anche su questo tema la fiducia.

Condivido comunque la visione di una RAI come la più grande produttrice di cultura, oltre che di informazione. Condivido  inoltre l’ambizione a renderla indipendente dal potere politico e, soprattutto, dal potere partitico. Ciò richiede innanzitutto di superare la Legge Gasparri, il cui principio ispiratore era proprio ufficializzare la manomissione dei partiti, sia pure introducendo un certo equilibrio tra loro. Lo sbaglio è proprio questo: non si tratta di assicurare con il bilancino un equilibrio che contenti tutte le fazioni; si tratta di rendere il servizio pubblico completamente svincolato da questo tipo di condizionamento. Non so però se  il progetto del Governo sia il più adatto a raggiungere questi obiettivi. Credo sia giusto che il Direttore Generale abbia poteri forti e sia scelto dall’azionista principale, cioè dal Governo. Ma far eleggere gli amministratori  dal Parlamento in seduta comune (a parte l’importanza esagerata e quasi istituzionale che si concederrebe loro) significa restare nella stessa logica: compromessi e spartizione. Ed è una logica perversa. Così come alla stessa logica risponde il mantenimento della Commissione Parlamentare di Vigilanza come oprgano di controllo. Mi costa dirlo: la Commissione fu fondata  quasi sessant’anni fa e mio Padre ne fu a lungo il Presidente. Ma erano altri tempi, c’era un partito di governo, la DC, e un partito di opposizione, il PCI: era essenziale assicurare che la DC non esagerasse nel far valere il proprio potere e che il PCI avesse un suo spazio. La Commissione, almeno finché la presiedette mio padre, servì bene allo scopo. Ma i tempi sono cambiati e a me pare che chi dirige e chi controlla la RAI dovrebbe provenire dal mondo professionale ed essere scelto in modo apolitico, per esempio tra tutti quelli che praticano a livello universitario i temi della grande comunicazione.

Nella discussione che si prepara, sarebbe bene che si tenesse presente che non stiamo operando nel vuoto, o su terra incognita. In Europa, Radio-TV pubbliche  esistono e funzionano come si deve. Penso soprattutto al modello della BBC, di cui chiunque abbia un po’ di dimestichezza con i suoi programmi sa quanto siano corretti sul piano dell’informazione ed eccellenti – per lo più – sul piano culturale (basti pensare all’ormai famosa serie di Downton Abbey, ma anche  alle trasmissioni dedicate alle arti. Programmi così una volta erano patrimonio anche della RAI, ed è un peccato che, certo anche per ragioni di costo, siano stati un po’ tralasciati). Chiunque segua i programmi  d’informazione della BBC, in Inghilterra o all’estero, si rende conto dell’ampiezza, della qualità e dell’indipendenza dei contenuti,  con una scelta di notizie che è testimone, non dell’esigenza di non scontentare nessun politicante ansioso di pubblicità, ma della capacità professionale dei giornalisti che le producono e della loro sensibilità al diritto del pubblico a un’informazione seria. Tutti ricordano e citano in Inghilterra un caso emblematico. Durante la guerra in Irak, nella quale il Governo laburista di Tony Blair si era affiancato all’Amministrazione repubblicana di George W. Bush, la BBC trasmise una serie di inchieste che smentivano l’esistenza di quelle armi di distruzione massiccia che giustificavano l’attacco anglo-americano. Il Governo Blair protestò, chiedendo la testa degli autori della trasmissione, ma sia il Direttore Generale della rete che il Presidente dell’Ente di controllo li difesero a spada tratta e il Governo dovette fare marcia indietro. Non so se una cosa del genere sarebbe stata possibile in Italia, perlomeno su un tema tanto delicato di politica estera e sicurezza nazionali.

Come funziona la BBC? Il dato più importante è che gestione e controllo sono rigorosamente separati. La prima è affidata a un Direttore Generale e a un Board of Directors, di nomina governativa, tutte persone scelte per la loro traiettoria e la loro reputazione professionali, perché il pubblico degli utenti non tollererebbe altra cosa. Il secondo è svolto da un Trust, composto da dodici membri e un Presidente, anch’essi di nomina governativa, scelti tra persone in grado di assicurare nel modo migliore l’imparzialità del servizio e la sua qualità (anche in questo caso, il pubblico non accetterebbe il contrario). Un dettaglio che farebbe orrore da noi: il Trust deve approvare la proposte dei servizi e indicare il limite di spesa. Ma il suo compito principale è assicurarsi che il prodotto sia in linea con gli standard richiesti ad un Servizio pubblico, il cui compito statutario è informare, formare e intrattenere. Esso rende conto al Governo, al Parlamento e, al di là di essi, a un’opinione pubblica attenta a questi temi. Quest’ultima è la vera chiave di volta: un costume pubblico che non tollera la manomissione di un bene comune o il suo asservimento ad interessi di parte. E, come complemento, un forte attaccamento degli operatori e di chi li controlla alla propria integrità intellettuale e morale: è possibile da noi? Io credo, alla lunga, di sì, se la gente impara a non delegare scetticamente tutto alla classe politica. Esistono del resto  professionisti di alto livello e di grande coscienza professionale. Vanno solo valorizzati rispetto agli eterni raccomandati, e protetti se necessario.

Venendo alla scelta di amministratori e controllori,  in Italia,  l’idea che siano scelti dal Governo susciterebbe sospetti probabilmente fondati. Ma farli scegliere dal Parlamento, cioè dai partiti, non mi pare una buona soluzione. E allora? Allora mi chiedo perché non ci si renda conto che in Italia un organo di garanzia, al di sopra delle parti, c’è ed è il Presidente della Repubblica. Il Capo dello Stato, per definizione, è organo svincolato dagli interessi partitici, ed è in grado di scegliere davvero i migliori elementi disponibili. La buona sorte vuole che l’attuale Presidente, come del resto i suoi predecessori, dà su questo piano garanzie assolute, attento com’è sin dal primo giorno ad affermare il proprio ruolo di arbitro imparziale. Perché non affidare a lui questo compito?

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