Lupi, l’epilogo in una “sentenza” mediatica
“Non chiedo garantismo per il fatto che non mi hanno rivolto nessuna accusa. Dopo due anni di indagini i pm non hanno ravvisato nulla nella mia condotta da perseguire”. Questo è l’esordio, e può anche sintetizzare tutta la vicenda, dell’ormai ex ministro per le Infrastrutture Maurizio Lupi, nella sua informativa alla Camera con cui ha comunicato la dimissioni dall’esecutivo. “Lascio il Governo a testa alta, guardandovi negli occhi”, ha aggiunto. Tra i banchi non ci sono molti colleghi deputati, è assente anche il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, impegnato a Bruxelles.
La vicenda è ormai nota. Lupi è finito nelle intercettazioni dei pm di Firenze sul filone d’indagine che ha portato in carcere il super dirigente delle Infrastrutture di sette governi, Ercole Incalza, accusato di corruzione, appalti truccati, affidamenti pilotati, pressioni e ricatti. Maurizio Lupi è finito nella bufera per i regali, dall’abito al Rolex per il figlio. “E’ evidente – ha replicato Lupi – quanto sia inverosimile che un amico di famiglia da 40 anni abbia potuto accreditarsi a me regalandomi un vestito”. L’amico è Stefano Perotti, anche lui agli arresti, che avrebbe regalato un orologio al figlio. “Mai fatto pressione per procurare un lavoro a mio figlio”, ha aggiunto Lupi. “Chiedo a Incalza di vedere mio figlio, ho fatto quello che avrebbe fatto qualsiasi padre e cioè presentare al proprio figlio una persona di esperienza”.
Già aperto il toto successore. In pole position Raffale Cantone, ma gira anche il nome di Graziano Delrio. “Ci si può dimettere anche senza essere indagato”, è il commento del premier Renzi che, per qualche giorno, assume l’interim del dicastero di Porta Pia. Il punto sta tutto qui. E’ vero, come Maurizio Lupi ha dimostrato, che ci si può dimettere anche senza aver ricevuto alcun avviso di garanzia. Ma in realtà manca un codice morale, o senza scomodare paroloni filosofici che con la politica c’entrano ormai davvero poco, non è per tutti la stessa cosa. Partiamo dal presente. Come ricordato da Fabrizio Cicchitto, al Governo ci sono ancora 5 sottosegretari del Pd sotto inchiesta, ma Renzi sembra non farci troppo caso. Motivo? Difficile da dirsi, ma è innegabile che l’effetto mediatico in questo caso è diverso. Più clamore, quindi, si scatena e più è probabile che ci si debba dimettere. Sempre per restare nell’area democratica, il Pd candida alla Regione Campania Vincenzo De Luca, ex sindaco di Salerno, condannato in primo grado. E per concludere la carrellata, ci si ricorderà dell’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, arrestato a giugno dell’anno scorso per gli scandali del Mose. All’epoca Renzi spinse, e non poco, per le sue dimissioni.
E’ vero, esiste la legge Severino. Se ne è parlato tanto, troppo, in occasione della condanna definitiva di Silvio Berlusconi che costò all’ex premier lo scranno a Palazzo Madama. Un politico condannato in via definitiva, quindi, decade dalla sua carica. Sorvoliamo sulla noiosa faccenda costituzionale circa la data in cui è stato commesso il reato e l’elezione. L’impressione è che, molto semplicemente, l’attenzione mediatica non sia uguale per ogni politico o ministro che sia. E’ passata l’epoca di Tangentopoli quando bastava una avviso di garanzia per far cadere la testa di un ministro. Ma oggi regna il caos e ognuno fa quello che vuole, o meglio, ritiene più giusto. E’ un gioco politico, chi resta isolato viene fatto fuori dal proprio partito. La magistratura non ha più il potere da sola di provocare le dimissioni. Oggi lo fa soprattutto il clamore mediatico. E non certo un passo decisivo per migliorare le istituzioni di questo Paese.