La Francia a destra
La Francia è uno dei paesi centrali per la stabilità del Continente. L’Europa può fare a meno eventualmente (e con dispiacere) della Grecia, non della Francia. Se la Francia prendesse il cammino dell’isolamento nazionalistico, tutto il processo dell’integrazione sarebbe rimesso in causa. Ciò piacerebbe magari a Salvini o a Giorgia Meloni ma, ripetiamolo chiaramente una volta ancora, sarebbe un disastro per tutti e l’Italia ne pagherebbe un prezzo molto alto.
I risultati delle elezioni municipali francesi di domenica scorsa, per fortuna, non vanno in questa direzione. La coalizione di centro-destra, guidata dal risorto Sarkozy, dichiaratamente europeista, è arrivata in testa con il 32% dei voti. Il Fronte Nazionale si è fermato al 25%. I socialisti al governo sono scesi al 22% (ma la galassia di sinistra totalizza attorno al 29%). Il temuto sfondamento del FN non c’è dunque stato. La retorica anti-euro, in altre parole, non ha fatto abbastanza presa. Per questo, il Primo Ministro socialista Valls può ripetere con soddisfazione, che i partiti “repubblicani” (ed europeisti) hanno vinto. Parrebbe un semplice artificio consolatorio, visto il forte arretramento del PS, ma c’è in esso molto di vero. A conti fatti, l’estrema destra, sciovinista, antieuropea, razzista, resta ferma a un quarto dell’elettorato. È molto, è troppo, anzi (e Marine Le Pen non ha torto a dirsi soddisfatta, anche se ben altri sarebbero i suoi toni se il FN fosse risultato primo). Ma resta il fatto che tre quarti del Paese stanno dall’altra parte, ed è largamente prevedibile che questi tre quarti si uniscano, sia nei ballottaggi locali sia, tra due anni, alle Presidenziali, per sbarrare la strada al FN. Avvenne anni fa, quando Le Pen padre giunse al secondo turno con il 15% dei voti e Chirac ottenne contro di lui un 85% senza precedenti (neppure De Gaulle l’aveva ottenuto mai). Non sono considerazioni nuove. Le ho fatte dopo le europee del maggio 2014 e non posso che confermarle alla luce dei fatti.
E tuttavia, i risultati francesi meritano un’analisi più approfondita. Andrebbe innanzitutto capito come mai Sarkozy, uscito sconfitto dalle ultime presidenziali e autosospesosi dalla politica (viste le critiche prodotte dalla sua gestione) abbia potuto riprendere in mano il suo partito e, attraverso un intelligente accordo con il centro dell’UDI, riportarlo alla vittoria. E va spiegato il 25% di voti all’estrema destra, persino in leggera crescita rispetto alle europee. In parallelo, va compreso il perché della forte caduta dei socialisti, che hanno perso in tre anni più della metà del loro elettorato. In una sola parola, perché la Francia va a destra?
Le risposte non sono difficili. Sarkozy si è imposto profittando del vuoto di leadership dell’UMP e della sua tenacissima voglia di tornare. I socialisti perdono per l’inettitudine della gestione di Francois Hollande e per i contraccolpi inevitabili della stagnazione economica. L’Europa di Bruxelles ha commesso in passato vari errori, di sostanza e di comunicazione. Solo da poco, grazie sopratutto a Mario Draghi, ha cambiato registro e si è posta come motore della ripresa economica. Ma il punto centrale, quello che parla alla gente, non sta nell’euro o nella burocrazia di Bruxelles, sta nel problema dell’immigrazione, che in Francia ha aspetti di estrema gravità, e in quello connesso della sicurezza, venuto clamorosamente alla luce con gli attentati di gennaio. È questo il terreno in cui affonda ed estende le sue radici l’estrama destra. La gente vive in stato di preoccupazione e fa colpa della situazione all’intera classe politica che ha governato il Paese finora. È naturale che in questa condanna collettiva, la parte maggiore spetti ai socialisti, la cui politica in materia è stata, fino a gennaio, percepita come incerta e permissiva. Per la verità, retorica a parte, neppure Sarkozy aveva cambiato veramente le cose, ma oggi ha l’ovvia sensatezza di proporsi come fautore di una politica dura, alla quale la sinistra resta, per sua natura, allergica. Le ricette estreme del FN sono, in realtà, impraticabili. Ma il problema esiste ed è macroscopico, in Francia e nell’insieme dell’Europa, ed è tempo che Governi nazionali e Autorità europee lo affrontino senza paraocchi ideologici. Se non saranno i partiti “repubblicani” e l’Europa ad affrontarlo con ricette ragionevoli ma efficaci, si aprirà inevitabilmente la strada alle forze estremiste. Questa è la lezione che una certa sinistra dovrebbe comprendere, anche da noi, se non vuole finire travolta dai populismi di vario segno. Lo capiranno mai? Quando si vede il triste spettacolo che stanno dando le minoranze del PD, con disonauri politici come D’Alema, Bersani o la Bindi, e perenni sconfitti come i Cuperlo e i Civati, in cerca di un po’ dell’importanza perduta, e quando si ascoltano i deliri vendoliani, c’è da dubitarlo.
Lo stesso giorno, i risultati delle elezioni locali in Spagna hanno avuto un segno politico opposto. Sono tornati a vincere i socialisti del PSOE, ed è arrivata in buona posizione una forza di sinistra, “Podemos”. I conservatori del PP sono arrivati in molti casi in terza posizione. Si può parlare in questo caso di inettitudine della gestione di Mariano Rayoj? Non credo. L’economia spagnola si sta lasciando alle spalle il peggio della crisi ed è tornata a crescere. I socialisti, se fossero rimasti al potere, non avrebbero potuto fare niente di meglio.
Forse la spiegazione è più semplice: nei paesi di democrazia avanzata, in anni non facili per l’economia, le finanze, la sicurezza, l’opinione attribuisce le difficoltà al governo di turno, di qualsiasi segno sia e lo castiga elettoralmente appena può. È probabilmente ingiusto, ma fa parte del gioco democratico la cui essenza sta, piaccia o no, nell’alternanza.