Spagna, perché Podemos?
Podemos è il nuovo fenomeno della politica spagnola: fondato nel gennaio dello scorso anno, ha debuttato alle urne alle Elezioni europee di maggio 2014, ottenendo un già incredibile 8 per cento; adesso, secondo un sondaggio di “El Pais”, sarebbe tra le prime forze del Paese con il 27,7 per cento: un punto e mezzo sopra i socialisti e addirittura 7 in più rispetto ai Popolari di Mariano Rajoy, attualmente al governo.
L’attuale situazione di crisi socio-economica della Spagna favorisce Podemos (in italiano “Possiamo”), un partito che nasce contro il sistema, basandosi in buona parte su istanze ambientaliste. Come molti movimenti di protesta ha assunto posizioni critiche verso il sistema bancario e della grande industria, sottolineando la necessità di favorire l’occupazione attraverso il sostegno alle piccole e medie imprese. Un aspetto fondamentale del suo programma è la lotta alla corruzione che, come annota El Pais, penalizza i due principali partiti. Come il partito greco Syriza, anche Podemos è contrario all’attuale assetto europeo e alle politiche di rigore portate avanti dalla Commissione Europea. È anche molto critico nei confronti della Germania.
L’uomo di punta di Podemos è Pablo Iglesias Turrion, 36 anni, portavoce del Partito ed Eurodeputato. La sua popolarità è legata alla rivolta contro l’establishment spagnolo. Iglesias ha fatto convergere sul partito l’appoggio degli Indignados, per anni rimasti senza una reale rappresentanza politica. Per il momento, il leader di Podemos si gode un successo che si è concretizzato solo nell’ultimo anno, ma che parte da lontano, in una famiglia dove la politica è di casa da tre generazioni: il nonno, militante socialista, fu incarcerato e condannato a morte durante il regime franchista e qualche anno di galera per reati d’opinione toccò anche a suo padre. Non fu per caso, dunque, che a soli 14 anni Iglesias già militasse nella gioventù comunista a Madrid.
In Italia i seguaci del partito spagnolo sono definiti “i grillini spagnoli”. Se le somiglianze sono innegabili, le differenze però sono di più. Podemos nasce dalla rivolta contro la “casta”, ma soprattutto dall’onda lunga del movimento degli indignados. Il suo gruppo dirigente proviene per formazione e cultura dal variegato mondo della sinistra radicale – e in Europa ha deciso allearsi con il gruppo di Alexis Tsipras – di cui condivide il programma anti-austerity. Gli iberici, però, preferiscono presentarsi come “né di destra né di sinistra”, privilegiando la metafora del “basso contro l’alto”, del 99% contro l’1%.
Secondo un recente sondaggio spagnolo, Podemos è al 27,7%, contro il 26,2% del Psoe e il 20,7% del Pp. L’alleanza Izquierda Unida e Iniciativa per Catanlunya Verds è al 3,8%, giusto un po’ di più del 3,4% dell’Upyd (Unión, Progreso y Democracia), nato nel 2007 con la volontà di scompaginare il quadro politico.
Il 2013 è stato l’anno della consacrazione mediatica, con la partecipazione di Iglesias a numerosi programmi politici, in cui si è costruito la reputazione di osservatore acuto, anche se molto schierato. Gli opinionisti di destra, infatti, lo hanno accusato di essere un “delinquente”. Lui, tuttavia, ha sempre rivolto i suoi messaggi a un elettorato trasversale, evitando di parlare ad una sola fascia di elettori. Il 2015 è “l’anno del cambiamento politico in Spagna” ed è arrivato il momento che la “casta del ‘regime del 78’ se ne vada”. Nelle elezioni regionali in Andalusia dello scorso fine settimana, Podemos si è attestato come terza forza, ottenendo 15 seggi. Un risultato, però, parziale.
Solo il tempo dirà se Iglesias, che ha anche pubblicato numerosi pamphlets infuocati sull’America Latina, sarà in grado di legittimare un successo ampio, immediato e imprevedibile. Per il momento, “gioca” sulle speranze, o illusioni, di quel milione e 200 mila spagnoli che l’hanno votato alle europee del 2014.