Pare abbia smesso di piovere
Dopo una sfilza che pareva ininterrotta di cattive notizie, finalmente qualche dato migliore sull’economia e sull’occupazione. Innanzitutto, le dichiarazioni di Mario Draghi secondo cui la ripresa nell’eurozona è più forte del previsto. So per lunga esperienza personale e professionale che Draghi (questo italiano così atipico) non parla tanto per parlare e non è uso a esprimere pie intenzioni. Se dice qualcosa, di solito ha elementi per farlo. Del resto, il suo ottimismo è confortato dai primi dati di quest’anno che fanno pensare a una crescita del PIL italiano un po’ maggiore dello sperato.
Non sarà una ripresa impetuosa, non ci illudiamo: uscire da una lunghissima crisi non è facile né rapido, e per un Paese ad economia avanzata come l’Italia, che parte comunque da una piattaforma molto elevata, crescere a tassi cinesi è impossibile. Chi cresce del 6, 7, 8 % annuo parte da un plafond basso o bassissimo, che lascia ampi margini di crescita. Contentiamoci se potremo raggiungere quest’anno l’1% e l’anno prossimo un po’ di più. Pensiamo che ogni punto del PIL significa in concreto quasi 13 miliardi di beni e servizi prodotti in più, con un beneficio per il Fisco di 6 o 7 miliardi almeno. L’importante è comunque essere tornati nel circolo virtuoso. Il resto dipende dall’effetto delle misure della BCE e del Governo italiano, dalle riforme tanto attese (chi le frena se ne assuma la responsabilità) e dall’esito dei programmi annunciati dalla Commissione Juncker. Ma dipenderà anche dal contesto internazionale, sul quale è impossibile fare previsioni certe. Chi può speculare a medio termine sul prezzo del greggio? Chi può escludere crisi internazionali gravi? Osserviamo tuttavia che la ripresa è iniziata quando ancora l’effetto delle misure monetarie della BCE non si era potuto manifestare. È ragionevole sperare che, nei prossimi mesi e anni, si irrobustisca man mano che queste misure si ripercuoteranno sull’economia reale.
È per lo più ingiusto attribuire le crisi economiche all’inettitudine dei Governi (che può provocarle in casi molto estremi, ma per solito si limita ad aggravarle). Sarebbe altrettanto stupido attribuire al solo Governo il merito della ripresa, le cui ragioni sono varie: la caduta del prezzo del petrolio, la buona tenuta delle esportazioni, la politica monetaria della BCE che sta immettendo liquidità e portando ad abbassare il valore dell’euro; più in generale, va considerata la fine quasi fisiologica del ciclo economico, per solito novennale, che era prevedibile. Le misure del Governo hanno peraltro accompagnato queste cause, e questo gli va riconosciuto. Certo, si potrebbe fare di più, con i massicci interventi pubblici confusamente invocati da chi sa poco di economia e molto di demagogia. Però non dimentichiamo mai che queste misure (in concreto, un programma di forti investimenti pubblici) aumentano il deficit di bilancio, cosa che – anche senza le regole europee che ci siamo liberamente impegnati a rispettare – per un Paese che ha il debito dell’Italia, rappresenta una follia (chi pensa che il rischio scomparirebbe uscendo dall’euro dice solo una monumentale sciocchezza).
Ricordiamocelo, non sono i vincoli europei a impedirci finanze allegre, secondo le quotidiane stupidaggini di leghisti, grillini e compagnia: è il semplice buon senso, se non vogliamo correre al disastro, quale quello cui eravamo vicini al tempo delle dimissioni di Berlusconi nell’autunno 2011. La Grecia non insegna davvero nulla? Non stiamo vedendo che persino Tsipras, dopo tante fiere dichiarazioni, capisce che deve trovare la via di un accordo con l’Europa, se no il Paese fallisce? Ripetiamolo per l’ennesima volta agli sconsiderati nanerottoli dell’eurofobia (ma che fatica dover ripetere sempre verità ovvie a chi finge di non saperle, o magari non le sa davvero perché, se non è in mala fede, è ignorante): solo entro dimensioni europee è possibile anche all’Italia ritrovare la strada del progresso stabile. Solo ai tassi bassissimi consentiti dall’euro, e con l’intervento della BCE, è possibile rendere il debito gestibile e non far saltare tutto per aria. Tutto il resto sono costose follie degne di Salvini, Grillo e Casa Pound. O magari della bella e brava Giorgia Meloni.
Altre buone notizie vengono sul fronte del lavoro. Secondo i dati circolati, i contratti a tempo indeterminato sono cresciuti nel primo bimestre dell’anno del 38,4% rispetto al 2014 (del 43,1 se si considerano i contratti dei giovani al disotto dei 29 anni, e del 41,2 nel Sud). Ha ragione il Premier a gioirne. Bastano? Certo che no! Il progresso rispetto al 2014, anno di disoccupazione profonda, non è in sé concludente. Ma l’importante, anche in questo caso, è di avere invertito la curva discendente. Va notato che questo si è verificato prima ancora che entrasse in vigore la nuova Legge sul Lavoro (fatemi un favore personale, non chiamatela “Job’s Act”, che mi si raggrinzisce la pelle!). Soltanto, quindi, per effetto delle misure fiscali introdotte nella Legge di Stabilità. Non ci aspettiamo che i piagnoni della sinistra PD e dei sindacati (per non parlare del dottor Brunetta) spendano una parola di riconoscimento o di soddisfazione per questo. Troppo comodo continuare con la litania delle proteste facili! Troppo facile sostenere nuove spese senza proporre come finanziarle! Ma poveri Fassina e Camusso, come potrebbero ammettere senza arrossire che producono occupazione misure che odorano di destra?
Ma questo appartiene al teatrino della politica. L’essenziale è andare avanti sulla strada intrapresa. Non chiudiamo troppo presto l’ombrello, perché il sole è ancora debole e il cielo non manca di nuvole. Ma almeno ha smesso di piovere!