Iran e Kenya, notizie di segno opposto
Due notizie occupano la scena internazionale, uno positivo, l’accordo con l’Iran, l’altro orribile, il massacro di studenti cristiani in Kenya.
A Losanna la diplomazia finalmente ha vinto sugli impulsi irrazionali alla distruzione e alla guerra. Merito della tenacia dei negoziatori, della lungimirtante prudenza di Obama, e del cambio di linea di Teheran da quando il pragmatico Rohani è succeduto al fanatico Amadinejhad. L’entusiasmo con cui l’intesa è stata salutata dalla folla in Iran mostra che quel popolo, nella sua grande maggioranza, aspira alla pace e guarda con speranza a una ripresa dei rapporti coll’Occidente. Non va taciuto peraltro che la svolta iraniana era frutto delle sanzioni decretate da Stati Uniti e Unione Europea, che avevano gravemente danneggiato l’economia del Paese. L’accordo di Losanna va molto lontano nel definire i parametri per l’accordo finale, sia per quanto riguarda l’arricchimento dell’uranio, sia per ciò che attiene ai controlli affidati all’AIEA. Quest’ultima è la vera chiave: solo controlli efficaci, pervasivi e liberi possono garantire l’osservanza da parte dell’Iran degli impegni che assumerà, tutti diretti a impedire la temuta bomba atomica.
Non è però finita qui: per il testo finale, da concludere entro il 30 giugno, mancano dettagli importanti. Poi comincerà la fase dell’esame da parte del Congresso americano, per la quale Obama dovrà giocarsi a fondo. Già la maggioranza repubblicana ha tuonato contro, ma anche molti democratici paiono contrari, vista l’accoglienza che ha avuto il discorso del Premier israeliano Netanyahu allo stesso Congresso. La chiave sta proprio nella profonda, pervicace ostilità di Netanyahu e del suo governo a qualsiasi intesa con l’Iran. Si può dare loro del tutto torto? No, se si pensa che per l’Iran Israele va cancellato dalla faccia della terra e che gli attacchi di Hamas sono di fatto iraniani. Per gli israeliani si tratta di una questione di sopravvivenza. Ma quale soluzione alternativa resta, al di là di un disastroso intervento militare? Netanyahu chiede che nell’accordo sia inserito il riconoscimento del diritto israeliano all’esistenza. Giusto chiederlo e giusto provarci, ma difficile da ottenere. Ammetterlo per Teheran sarebbe una vera rivoluzione. Ragionevole è invece insistere perché nell’accordo finale le verifiche siano solidamente garantite. È giustissimo che Stati Uniti ed Europa contribuiscano ad alleviare le preoccupazioni di Israele (non so se l’idea di una garanzia NATO sia possibile, ma una variante opportuna andrebbe esplorata). Il cammino, dunque, è ancora lungo, ma la strada è quella giusta. È persino superfluo sottolineare l’effetto di un accordo sulla situazione nel Medio Oriente, ma anche sulla ripresa di normali forniture di petrolio iraniano, con probabile ripercussione sui prezzi e quindi sull’economia.
Un punto è intanto da sottolineare. L’intesa è stata raggiunta perché Stati Uniti, Europa, Russia e Cina, lasciate da parte le loro differenze, hanno collaborato per un interesse comune. Si tratta di vedere se il metodo può estendersi anche ad altri settori: non solo la crisi ucraina, che in questo momento sembra almeno non peggiorare (ma guardiamoci dall’illusione che sia risolta), però soprattutto l’obbligo politico e morale assoluto per la Comunità internazionale di combattere lo Stato Islamico e gli assassini della jihad. In quest’opera, l’apporto dell’Iran è un elemento importante. Resta da vedere se la svolta sul nucleare e il ripetuto proposito di “tornare a collaborare con il mondo”, porteranno l’Iran a cooperare con l’Occidente su questo fronte. Per decenni, Teheran ha alimentato il terrorismo, sia direttamente sia servendosi di Hamas e di Hezbollah, ed è legittimo il dubbio che possa o voglia ora abbandonare questa politica. Ma qui occorre distinguere: il terrorismo iraniano è stato principalmente diretto contro gli isareliani. Questo è ingiustificabile, ma il terrorismo di Al-Qaeda e ora quello ben peggiore dell’IS è diretto contro l’Occidente, i cristiani e persino i musulmani non sunniti e opera quotidiane mostruosità che fanno impallidire ogni precedente. Ci riguarda dunque tutti molto da vicino e per di più assume forme di occupazione militare che rientrano pari pari nelle fattispecie previste dallo Statuto all’ONU come violazione o minaccie alla pace. L’Iran, rapprentante del mondo sciita, non può restarvi indifferente, e di fatto già agisce in Irak contro la jihad.
Va inoltre considerata la natura del regime iraniano. In varie missioni a Teheran ho avuto la sensazione di un Paese, sì, improntato ai costumi dell’Islam, ma senza esagerazioni evidenti. La gente dà l’impressione di apprezzare i piccoli piaceri della vita. Si vota liberamente, ho avuto a che fare con donne in posti di responsabilità, portano in pubblico lo chador, non possono toccare un uomo (neppure dandogli la mano) ma almeno studiano, lavorano, decidono il proprio destino. Non sono schiave nascoste dietro il burka. Tra il fanatismo religioso iraniano e quello dei talebani e compagnia, c’è un una certa differenza. Per noi è indubbiamente una teocrazia, per i fanatici della jihad un regime da combattere. Basta come terreno comune con l’Occidente? Non so. Forse è chiedere troppo. Meglio aspettare che la situazione evolva dentro quel Paese e intanto cercare accordi limitati e precisi. Anche questi richiedono però da parte iraniana intelligenza politica, tanto da parte americana ed europea che iraniana. Ma la necessità esiste e cresce ogni giorno.
È venuto il momento di lasciare da parte i lamenti inutili e gli aneliti pacifisti, che sono solo prova di impotenza. Il nuovo massacro del Kenya ha riportato tragicamente alla ribalta l’obbligo di reagire, come reagimmo anni fa in difesa dei bosniaci e poi dei kossovari perseguitati da Milosevic. Ammiro Papa Francesco, ma non è evocando nella Via Crucis, con parole sia pur profonde e commosse, il martirio dei cristiani che salveremo i nostri fratelli. È non è giusto dire che delle stragi è responsabile anche il nostro silenzio. L’opinione pubblica occidentale è ampiamente informata e soffre e s’indigna, ma cosa può fare, al di là di cortei purtroppo inutili, candele accese, deposizione di fiori? Contro questi orrori spetta reagire a chi ha nel mondo un ruolo dirigente e di guida. Capi di Stato e di Governo, beninteso, ma anche il Papa. Il quale ha il torto di aver in un passato anche recente squalificato l’uso della forza. Perché non rivolge ora un chiaro e forte appello alla Comunità Internazionale perché intervenga per difendere i cristiani perseguitati? Perché non prende l’aereo e non va a parlare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite esigendo che agisca secondo gli obblighi imposti dallo Statuto?
Preghi come solo Lei sa e può, Santità, ma metta da parte le pie espressioni di desiderio e gli inviti a un impossibile dialogo. Con gli assassini, con gente che vive solo di odio verso tutto quello che Lei stesso e tutti noi rappresentiamo e vuole distruggerci, la sola risposta è la lotta, la lotta senza quartiere. Oggi come in passato, quando si è combattuto il nazismo, o il razzismo genocida di Milosevic. Ogni ritardo nel distruggere l’idra è colpevole, perché prolunga e moltiplica il martirio di innocenti. La Chiesa, l’Italia assieme ai suoi maggiori alleati, hanno di fronte un compito grave e decisivo: proteggere i nostri fratelli e assicurare un futuro civile ai nostri figli.