Elezioni Uzbekistan, “nozze d’argento” tra Karimov e il “suo” popolo

L’Uzbekistan ha eletto il suo Presidente. Nessuna suspence: la dittatura dell’Asia centrale vede Islom Karimov riconfermato nella sua carica per la quarta volta in 25 anni.

Non c’è neanche stata campagna elettorale. L’Uzbekistan ha una delle dittature più rigide del Mondo: nessun media è libero, nessuna opposizione viene tollerata. Qualche manifesto ha fatto bella mostra di se nel centro della capitale Tachkent e qualche speaker televisivo ha ricordato che ci sarebbero state delle elezioni quella Domenica. I tre “avversari” di Islam Karimov erano praticamente degli sconosciuti per i 30 milioni di cittadini uzbeki. Il loro “impegno” durante la sedicente campagna elettorale è stato quello di tessere le lodi all’operato del Presidente in carica. Il Capo dello Stato non ha praticamente fatto alcuna campagna, anzi è sparito per tre settimane, senza che si sapesse se fosse per questioni di salute o altro. Se si  analizzano i numeri, la relazione tra il Presidente uzbeco e il “suo” popolo sembra una luna di miele senza fine. Venticinque anni di exploit elettorali costantemente confermati, venticinque anni di successi politici che fanno sembrare Vladimir Putin un ardente paladino del pluralismo. Alcuni dati eloquenti illustrano perfettamente il percorso impeccabile del personaggio. Nel 1991, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, vince le prime elezioni presidenziali con l’86% delle preferenze. Questo mandato, che doveva finire nel 1995, viene prorogato fino al 2000, con l’avvallo del popolo ovviamente, visto che il 100% degli aventi diritto al voto si dichiararono favorevoli a questo rinvio attraverso un referendum organizzato per l’occasione. Islom Karimov viene allora riconfermato, dopo un’elezione avvenuta in grande sobrietà, con il 91,6% dei voti e un avversario (il fair play prima di tutto…), Abdoulaziz Djalalov, membro del Partito Democratico Popolare uzbeko, il principale alleato in Parlamento al Partito di Karimov (il Partito liberal-democratico dell’Uzbekistan). Consapevole del suo ruolo in questo gioco delle parti, Djalalov afferma addirittura aver votato per Karimov. Anche questo mandato viene prorogato, una decisione convalidata nel 2002 da un altro referendum dalla connotazione plebiscitaria.  Criticato con molta poca convinzione dalla Comunità Internazionale, Karimov vince anche le presidenziali del 2007. Questa volta “solo” con l’88% delle preferenze.

Dietro all’aritmetica ci sono brogli, torture, censura e crudeltà. Più che una luna di miele questi 25 anni si avvicinano più ad un matrimonio forzato. Testimonianza ne sono i laconici e poco incisivi commenti degli osservatori elettorali dell’OSCE quando parlano del “caso uzbeco”. Nel 2007, l’organizzazione affermava che lo scrutinio non “era stato conforme ai numerosi criteri necessari alla buona riuscita di elezioni democratiche”. Di fronte al numero impressionante che denotava il civismo nella partecipazione, che raggiungeva il 90,6%, l’OSCE si è limitata allora a definire le statistiche “particolarmente elevate”. Niente di particolarmente grave in queste parole per la commissione elettorale uzbeka per la quale “le conclusioni dell’OSCE non erano molto importanti. Nello stesso modo Karimov non sembra essere particolarmente toccato dalla sua posizione nelle classifiche sui dittatori più temibili. Così per Newsweek è il nono despota del pianeta, mentre Foreign Policy lo pone al settimo posto. Oltre all’inesistente trasparenza elettorale, dopo 25 anni di potere, Islom Karimov continua a lasciare dietro di lui una lunga scia di atti efferati. Il più atroce rimane ad oggi il massacro di Andijan avvenuto nel 2005. I soldati avevano aperto il fuoco su una folla disarmata, uccidendo ufficialmente 187 persone. Anche se non possono fare un bilancio preciso, le ONG presenti allora sul luogo descrissero una carneficina molto più importante, ma molte di loro sono state arbitrariamente chiuse, come Human Rights Watch nel 2011, per aver indagato troppo sul caso. Per quanto riguarda la Comunità Internazionale, c’è stata una reazione a dir poco piatta. L’Unione Europea ha in realtà imposto l’embargo su Tachkent nel 2005, ma lo ha tolto poco dopo, arrivando addirittura ad autorizzare nuovamente il commercio di armi. Gli Stati Uniti hanno condannato il bagno di sangue, ma alle parole non sono seguiti fatti. E c’era un motivo valido: all’epoca l’Uzbekistan era la retrovia indispensabile nella lotta contro i Talebani in Afghanistan.

Difficile criticare il regime, o semplicemente contestare la versione dei fatti. Nel 2004, l’Ambasciatore britannico un Uzbekistan Craig Murray racconta al Guardian che numerosi attivisti, giornalisti, omosessuali o cittadini che si sentivano semplicemente minacciati cercavano rifugio nella sua ambasciata. Risparmiamo qui i dettagli dei racconti sulle torture subite dai testimoni sopravvissuti. Gli orrori perpetrati dal regime di Karimov non lasciano dubbi sul carattere autoritario del potere. Presidente inflessibile, Karimov non è molto più tenero con Gulnara, una delle sue figlie. Ricchissima ereditiera di 43 anni, grande favorita nella successione del padre, si era nel frattempo lanciata in una carriera promettente grazie al suo poliedrico talento. Stilista, donna d’affari, Ambasciatrice dell’Uzbekistan all’ONU, cantante. Un artista di successo indiscusso visto che addirittura Gerard Depardieu appare in un suo video. Coinvolta in diversi casi di corruzione e riciclaggio in Svizzera e Svezia, Gulnara viene sconfessata da sua sorella ( Ambasciatrice del suo Paese presso…l’UNESCO) nel 2013. Quest’ultima rifiuta di difenderla e dichiara non avere contatti con lei da anni. Gulnarna per discreditarla la accusa allora di stregoneria. Oggi ai domiciliari, l’ex figlia prodigio assicura che, nell’ombra, il padre abbia orchestrato la sua caduta per rimanere al potere. Non è difficile crederle nonostante il passato di truffatrice visto che Islom Karimov non sembra voler passare il testimone tanto facilmente.

Non sappiamo se la popolazione sostenga o meno il regime visto che comunque non esiste alternanza politica. Da 25 anni gli oppositori vengono allontananti dalla politica. Ognuno va a votare per obbligo, per non perdere il lavoro, anche se comincia anche a trapelare uno strisciante malcontento. Per l’ex apparatchik comunista comunque, le libertà individuali o di stampa non sono certamente all’ordine del giorno. Il regime continua a reprimere, arrestare, torturare gli oppositori, presunti o reali che siano. Secondo le Organizzazioni per i Diritti Umani, in Uzbekistan ci sono 12mila prigionieri politici tra i quali moltissimi sedicenti estremisti religiosi. Se questo fosse vero, dovremmo chiederci perché queste persone abbiano cercato una soluzione nell’Islamismo. La povertà e il la cattiva salute dell’economia di un Paese iper burocratizzato e corrotto, spiegano l’emigrazione dei 2/3 milioni di uzbeki, partiti alla volta della Russia per far sopravvivere le famiglie rimaste nei villaggi (anche se sembra che molti di loro siano tornati a casa da quanto Mosca è posta sotto sanzioni). Karimov è profondamente innamorato del suo Paese da 25 anni, ha pensato a tutto, tranne che creare un’economia capace di nutrire il “suo” popolo.

A 77 anni, Karimov è ancora lì, saldamente ancorato al potere. Il Presidente passa il suo tempo a collezionare mandati, violando tra l’altro la Costituzione. Ed è una situazione di grande rischio, perché in un regime con istituzioni così fragili e dove tutto, o quasi, viene deciso da un solo uomo, dove l’unica resistenza viene da clan che si contendono il potere e il controllo dell’economia, l’assenza di regole per designare un successore potrebbe portare a grande instabilità. Ma nulla indica, per ora, che il potere uzbeco possa vacillare in un prossimo futuro.

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