UE, tre anni di Iniziativa Europea dei Cittadini
Il 1° di aprile del 2012 l’Unione europea ha dato il via all’ICE, l’Iniziativa Europea dei cittadini, una delle principali innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona. Si tratta di uno strumento di democrazia partecipativa che ha l’obiettivo di coinvolgere maggiormente i cittadini nelle decisioni che avvengono presso le istituzioni dell’UE. L’ICE consente a dei comitati di cittadini europei, residenti in almeno un quarto degli Stati membri, di raccogliere un milione di firme riguardo a un tema di particolare interesse sociale, per presentare una petizione alla Commissione europea in vista di un possibile accoglimento giuridico.
Quello dell’ICE è dunque un nuovo strumento democratico a disposizione della cittadinanza, che offre la possibilità di creare sinergie di intenti con persone che in tutta Europa condividano le stesse opinioni su tematiche di rilevante attualità. Ad oggi, a tre anni dalla sua costituzione, lo strumento dell’ICE ha ricevuto 51 richieste di registrazione delle petizioni alla Commissione, di cui 31 hanno ricevuto la conferma per l’inizio della raccolta firme, che deve avvenire entro un periodo di 12 mesi. In base ai dati del primo rapporto 2015 sull’ICE della Commissione europea, le iniziative che hanno terminato correttamente l’iter previsto sono state 18, ma di queste solo 3 hanno raggiunto il milione di firme necessario. Si tratta di tre petizioni su temi di attualità piuttosto controversi: Right2Water, sul diritto alla gestione pubblica delle risorse idriche; Uno di Noi, sul diritto alla vita di ogni embrione umano; Stop Vivisection, per la sostituzione dei test su animali in campo biomedico e tossicologico.
Dal quadro che si evince, l’Iniziativa Europea dei Cittadini vive attualmente una fase di obiettiva difficoltà, nonostante le buone intenzioni di questo nuovo strumento di cittadinanza attiva. Molte sono state le segnalazioni da parte dei comitati promotori sugli intoppi dello strumento ICE, soprattutto riguardo alle modalità di raccolta firme e al tempo disponibile per completarne il processo.
Abbiamo discusso il tema dell’ICE con Salvatore Sinagra, membro del comitato centrale del Movimento Federalista Europeo e sottoscrittore del Manifesto Spinelli. Tra le sue numerose attività ha preso parte alla promozione di ICE quali Un’istruzione di qualità per tutti, per l’introduzione di un curriculum europeo minimo nelle scuole, e New Deal 4 Europe, per un piano straordinario su occupazione e sviluppo sostenibile in Europa.
Quali importanti novità ha introdotto l’ICE in tema di cittadinanza attiva in Europa?
«Dal punto di vista della cittadinanza, nasce una questione di mobilitazione, cioè l’idea di creare un’Unione europea dal basso. C’è un aspetto da considerare: negli ordinamenti giuridici nazionali, i singoli parlamentari hanno diritto a presentare proposte di legge, che poi vengono votate dal Parlamento. A Bruxelles, invece, l’unico soggetto ad avere l’iniziativa legislativa è la Commissione. Per controbilanciare questo deficit democratico, il significato dell’ICE è dunque di rendere più “polifonica” l’Unione europea, dove fino ad ora la Commissione sembra l’unica ad avere la chiave delle decisioni».
In che modo l’ICE sembra aver influenzato i processi decisionali nell’UE?
«Secondo la visione dei federalisti, l’ICE non basta, perché si è trattato di un compromesso. L’ideale sarebbe fare del Parlamento europeo un vero parlamento, attualmente mutilato perché in grado solo di correggere il tiro rispetto a proposte abbastanza discutibili della Commissione, o dei due-tre Stati che prendono le decisioni. La soluzione sarebbe di dare iniziativa legislativa ai singoli parlamentari. L’ICE, più che una petizione, a mio parere somiglia a una proposta di legge di iniziativa popolare, già esistente negli ordinamenti nazionali ma che credo non sia mai stata utilizzata. È dunque utile “testare” in Europa quegli strumenti che non hanno funzionato all’interno di uno Stato. La possibilità di convincere uno o più parlamentari a fare una proposta di legge in una data direzione è una realtà che finora non esisteva in Europa, e l’ICE potrebbe avviare la legittimazione di questo diritto».
Quali strade percorrere per rendere l’ICE uno strumento di partecipazione più solido e riconosciuto?
«Se non si lavora sull’opinione pubblica, l’ICE sarà purtroppo un metodo infruttuoso. A mio avviso, tuttavia, ci sono diverse possibilità di agire. Una di queste riguarda l’uso dei mezzi di comunicazione: a parte Euronews, non ci sono canali di informazione comuni in Europa. In genere, oggi non ci sono altri media che si interessano in particolare a questi temi. Una possibilità sarebbe quella, nel futuro, di adeguare l’offerta informativa europea, sia nell’ambito dei media, che in un rinnovamento sostanziale della comunicazione istituzionale. Certamente, i partiti e i sindacati, se credono che a quest’Europa serva un po’ più di democrazia dal basso, devono puntare su questi strumenti, e per il momento non l’hanno fatto».
Ritiene che l’ICE possa migliorare la percezione dell’Europa di oggi?
«Ho raccolto con grande entusiasmo lo strumento dell’ICE. Oggi l’Unione europea è percepita come lontana: la gente vede Bruxelles come sede di un’Europa “matrigna”, che ci impone di seguire delle regole; alcuni vedono l’UE come schiava delle lobby e della Germania. Tuttavia, su singole battaglie, a Bruxelles è stato dato grande spazio alla società civile. Dunque l’ICE è fondamentale perché può convincere i cittadini a giocare la loro parte nell’UE, e far sentire la loro voce quando ritengono che le istituzioni europee non stiano lavorando bene».