Politica come dialettica etica
E’ un fenomeno del resto tutto italiano; rimane però il fatto che la politica non più fondata sull’etica non è più politica; si smarrisce e finisce per diventare una bassa mediazione d’interessi senza alcun riferimento ai valori e ai principi che la Carta Costituzionale pone a base della nostra Sovranità popolare, i diritti inviolabili dell’uomo (che preesistono alla Costituzione), la dignità, la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, il diritto al lavoro e il progresso spirituale della società. Questi valori coincidono con la tradizione antropologica dove la persona è al centro di tutto. Quando la politica dimentica o pensa di poter fare a meno di questi riferimenti scade nella gestione del potere, nella frammentazione degli schieramenti, nella corsa verso individualismi personalistici, nella rinuncia ai principi di solidarietà e sussidiarietà; con la scomparsa di quello che deve essere il suo fine e cioè il “bene comune”. Come negli ultimi vent’anni siamo costretti ad assistere a false promesse nella più totale assenza di proposte reali: i partiti tenuti insieme da biechi interessi personali o di gruppo si scompongono e danno vita ad altri partiti (o meglio partitini) che presentano, peggiorati, gli stessi limiti. Lo vediamo in questa debole Governo dove nessuno ha il coraggio di dire la verità sulla situazione economico- sociale del Paese e di proporre un programma che dica non solo ciò che si vuol fare da grandi ma, soprattutto, come lo si vuol fare e da dove prendere la risorse necessarie. E’ uno scontro perpetuo su promesse false e su vecchi riferimenti ideologici che vengono regolarmente contraddetti dai comportamenti personali. Anche gli Inglesi affermano che “per essere creduti bisogna essere credibili”; e la “credibilità” non si conquista con le parole e le promesse ma con gli esempi, i comportamenti e lo stile di vita. Al di sopra delle vuote polemiche di questi giorni c’è nella realtà una vera e pesante contrapposizione politica che nessuno vuole affrontare prendendo una chiara posizione.
Il fallimento del comunismo storico e la crisi di questo tipo di capitalismo degenerato hanno dato vita ad un sistema solo formalmente democratico nel quale la Mala Finanza internazionale ha preso il sopravvento e si è impadronita della “centralità” della politica. Per cui oggi il reale punto di scontro non solamente in Italia ma in tutta l’ Europa è nella contrapposizione tra la sovranità popolare e il potere del Finanz-capitalismo; tra chi sta dalla parte dei cittadini e chi con il corrotto sistema bancario; tra una economia che punta sullo sviluppo materiale e spirituale della persona e una economia speculativa che pensa di fare profitti senza il lavoro e la produzione di beni ma solo spostando in via telematica capitali spesso immateriali. Scegliere dunque: o di qua o di là. Ma ciò comporta una scelta di campo, un nuovo progetto sociale fondato su principi etici e su una precisa visione antropologica, una capacità di “guidare” la società indicando gli obiettivi di giustizia e i sacrifici che dovranno essere fatti specie da parte di coloro che si trovino nelle condizioni di svolgere una funzione di solidarietà ovvero da un movimento popolare . Invece niente principi e valori ma solo il tentativo di “assecondare” la gente promettendo la realizzazione di pseudo “diritti civili” e di “libertà” che rappresentano in realtà la dissoluzione dell’ordine naturale garantito dall’art. 2 della Costituzione. Tutti parlano di “sviluppo” e di “diminuzione delle tasse”; ma nessuno dice come. Non si vede alcun riferimento ad un diverso “modello di sviluppo” fondato su consumi controllati e più vicini alle reali esigenze delle persone che consenta di realizzare quei diritti costituzionalmente garantiti quali la partecipazione, il lavoro, l’uguaglianza, la giustizia sociale, la dignità della persona e del lavoratore, e l’istituzione famigliare. In realtà i Cittadini andrebbero guidati sulla scia di questi principi non meramente assecondati e lasciati a loro stessi
Nessuno pone il problema della crisi dell’attuale sistema produttivo-consumistico che di fatto ci ha portato in una situazione in cui produciamo ciò che non ci serve e non produciamo ciò che vorremmo consumare. Abbiamo aree e magazzini ricolmi di beni (ad esempio le auto) che non hanno più mercato nonostante condizioni di vendita vantaggiosissime; ma non troviamo a prezzi ragionevoli beni e servizi fondamentali come ad esempio aule scolastiche, medicine, trasporto pubblico, ospedali, interventi ambientali ecc. L’Etica politica sulla quale poggia uno Stato democratico è un concetto ampio che si fonda sui principi articolati nella Costituzione e sui richiami espressi da detti articoli ai diritti inviolabili dell’uomo che rappresentano la matrice morale, storica e culturale sulla quale poggia la collettività nazionale. La Costituzione non è solo un complesso di norme che l’Assemblea costituente mette insieme secondo la volontà di una maggioranza, ma prima ancora è una realtà meta-storica perché scaturisce da un “movimento di popolo” e che rappresenta l’insieme di quei valori anche spirituali che hanno fatto la Nazione.
Nonostante una mancanza storica di una vera politica di bilancio ora qualche leader tenta ora di dare un contenuto alla propria azione politica con particolare riferimento all’occupazione con un programma alla “Roosevelt” che prevede forti investimenti pubblici per le realizzazioni di grandi infrastrutture. Il proposito sarebbe encomiabile se fosse accompagnato da una indicazione sulle risorse necessarie e su come e dove reperirle in considerazione del debito pubblico, dei vincoli europei e della norma con la quale ci siamo imposti “il pareggio di bilancio”.
La realtà è che mancano veri leader capaci di guidare i cittadini anche sui difficili percorsi dei sacrifici e dei doveri in nome di un nuovo “modello di sviluppo” costruito all’insegna della solidarietà, della sussidiarietà e della giustizia sociale. La leadership naturale e non autoreferenziale deve avere, per essere tale, la “capacità di guida” di un popolo; ma tale capacità poggia su una credibilità morale e istituzionale senza la quale i capi-partito sono costretti ad “assecondare” gli elettori rivolgendosi ai loro meno nobili istinti, desideri e interessi. Con ciò negando il senso della Comunità e disconoscendo i diritti di partecipazione e i doveri sociali previsti dalla Costituzione. Allora si ricorre erroneamente alla fatua illusione della Tecnica e della Scienza: ma questi, amici miei non sono problemi che si possano risolvere con la tecnica. Dopo il fallimento del comunismo in tutte le salse e la disillusione di un capitalismo che avrebbe risolto i problemi con il “mercato salvifico”, registriamo ora la caduta anche di quel pensiero che aveva creduto di sostituire la tecnica alla politica. Infatti, con la crisi della soluzione tecnica si completa il percorso della Rivoluzione francese: la rivolta della Borghesia contro l’Autorità (civile e religiosa) s’infrange contro la Rivoluzione russa del Proletariato che, però, deve constatare il fallimento di un sistema dove la dialettica tra giustizia sociale e libertà si conclude con il non raggiungimento della prima e la totale negazione della seconda.
Sembra il trionfo del neo-capitalismo; ma ben presto emerge una crisi strutturale che ancora stiamo vivendo. E’ qui che la Borghesia pensa alla sua rivincita: nasce il mito della divinazione della via tecnocratica su una concezione dello sviluppo fondato su un “inarrestabile” progresso tecnologico. Caduti i riferimenti trascendenti, sconfitta l’illusione collettivistica ed esaurito il mito del neo-capitalismo, la scienza e la tecnica appaiono come la sola “Verità”. Ma gli esiti sono deludenti non solo perché se c’è una falsa Verità fondata sul “relativismo“ (quindi una non–Verità) questa è il prodotto della scienza e della tecnica che per definizione è destinato a cambiare, a negarsi per prospettare nuove e diverse presunte “verità tecniche”. Ma anche perché i risultati concreti (giustizia, povertà/ricchezza – tenore di vita delle famiglie- occupazione-servizi pubblici e sociali – debito pubblico ecc.) sono a dir poco deludenti specie con riferimento ai diritti garantiti dalla nostra Costituzione.
Ma si può ancora sperare che la vecchia politica salvi l’Italia ? Il problema è che bisogna tornare alla Politica vera: quella fondata sui principi etici, sui diritti naturali, sui valori costituzionali e sui programmi concreti che discendono da una “politica di bilancio” dove le cose da fare sono accompagnate dall’ indicazione delle risorse necessarie e dei criteri per acquisirle. Per dirla come Kant ” l’Etica ispira ogni decisione della Politica” ed aggiungiamo noi questa la macro Economia . La politica senza proposta o fatta di sola protesta è un imbroglio demagogico che nasce da partiti che hanno smarrito quella funzione di “partecipazione permanente” assegnata loro dall’art. 49 della Costituzione. Lo scenario è disarmante: un ambiguo “calderone” di partiti e partitini dove le differenze e le distinzioni sono state abolite (dicono tutti le stesse cose) e la propaganda più sgangherata ha preso il posto di un serio dibattito sui valori, i principi e i programmi. Quando i risultati dimostreranno che non può essere un alibi il richiamo formale ai “principi non negoziabili” sarà il momento di lanciare un appello per la composizione di un Partito Popolare non solo a livello europeo ma sopratutto nazionale con uno schieramento che si possa misurare con la definitiva crisi morale, sociale, economica e politica della Seconda Repubblica. Senza ambizioni personali, senza l’illusione di impossibili ritorni e senza strumentalizzazioni di sorta. Per dar vita a una nuova formazione di una classe di giovani dirigenti che vogliano mettere il proprio impegno al servizio di una nuova fase politica per garantire la ricomposizione dell’arcipelago politico italiano . Questo è quanto tutti si augurano per il Bene di quel che resta di questa povera Italia.
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