Scultura e design in parallelo a Leeds
Carol Bove/Carlo Scarpa, dopo l’anteprima al MUSEION di Bolzano l’autunno scorso, fa tappa al britannico Henry Moore Institute di Leeds, fino al 12 luglio, solo per procedere verso il Museum Dhondt-Dhaenens, Deurle (Belgio). Uno dei templi per lo studio, la ricerca e la presentazione, della scultura, concentra in appena tre gallerie e nell’area della reception un dialogo tra l’artista ginevrina, basata a Brooklyn, classe 1971, Carol Bove, e l’architetto e designer veneziano Carlo Scarpa (1906-1978).
Su invito del curatore Pavel Pyś, la stessa Bove, dopo la partecipazione alle Corderie dell’Arsenale della 54esima Biennale d’Arte di Venezia nel 2011, ha scelto di operare in supporto e con il supporto di Scarpa. Un corpus di 8 sculture, realizzate nel periodo 2003-2014, dalla Bove, sono abbinate a una selezione di sculture, pezzi di mobilia d’allestimento museale, e prototipi di design. Le modalità d’allestimento divengono temi, materia di studio e sperimentazione. Vengono, quindi, esplorati i linguaggi dei due esponenti, come la lettura e il trattamento dei materiali, e gli approcci finalizzati a provvedere ambienti per le opere.
Sia Bove che Scarpa nutrono un interesse per l’oggetto e il suo ambiente; quest’ultimo, difatti, media il significato dell’oggetto, previo incontro con lo stesso. Le sperimentazioni formali, altamente personali, di Scarpa intercedono il significato, quasi in una coincidenza di contenitore e contenuto. Il linguaggio museologico della Bove si limita, invece, a piedistalli e armature atte a ospitare materiali naturali e relitti fluttuanti.
La reception, per natura, accoglie il visitatore con Hysteron Proteron (2014), una colata di cemento sovrastata da una forma a gradoni in bronzo lucido e cemento, che ricorda vagamente le composizioni di Scarpa, in quest’occasione in versione decisamente meno congrua. La figura retorica greca propone un ordine cronologico inverso, dove l’effetto è presentato in precedenza, così da ottenere il massimo di carica enfatica, rispetto all’evento scatenate, la causa.
Nella prima galleria, si inizia con Untitled (Driftwood Bench) del 2004, Coral Sculpture del 2008, e Heraclitus del 2014, assieme all’abbinamento scarpiano: una vetrina proveniente dalla Gipsoteca Canoviana di Possagno per il display museale, in legno, metallo, e vetro, come altre due, insieme a un cavalletto ligneo disegnato a metà degli anni ’50, dal Museo di Castelvecchio a Verona. Questi supporti tecnici sono visti svuotati e rimossi dal loro contesto originario, a cui erano stati destinati; Bove impone ai propri oggetti, in massima parte detriti-object trouvé, la funzione di sculture. Queste decisioni relative alle configurazione della sala portano alla luce alcuni interrogativi; la scultura è bene che sia funzionale e il design puramente formale?
Poi, nella sala mediana, si procede con una sorta di scambio di ruoli. Bove reintepreta l’installazione Ambiente, composta dalle sculture Asta, Contafili e Crescita, presentata in occasione della 34esima Biennale d’Arte di Venezia. Inizialmente, le sculture in pietre preziose e bronzo erano prentate contro pannelli di tessuto, che scendevano dal soffitto. Bove si propone di adempire la funzione scarpiana, quella di progettare ambientazioni per lavori altrui. Bove, dunque, crea un’ampia piattaforma, piedistalli e armature provviste di cerniere in alluminio; aggiungendo inoltre una propria scultura al trio originale, Cretaceous (2014). In a tratti un allineamento planetario, quasi 4 metri di tronco di legno fossile sta al confine tra campione di materia organica e scultura.
L’intervento della Bove risulta purtroppo eccessivamente invasivo, fino al punto di appesantire il nucleo scarpiano, e romperne l’equilibrio formale, provvedendo un significato estraneo, anche se non per forza da rifiutare in toto: l’alternativa, solo una tra le infinite possibilità, è certo da considerarsi, nella consapevolezza che la proprietà commutativa dell’addizione può solo cambiare, se aggiunti addendi alla somma di riferimento.
Si passa a una galleria più ristretta, dove una scultura della Bove datata 2003 si configura, sotto forma di manufatti di seconda mano, quali libri, periodici, un metronomo e una stringa, prevalentemente risalenti agli anni ’60, è alloggiata su mensole a mure degli anni ’50. La controparte del maestro lagunare proviene dai prototipi relativi agli elementi metallici siti nella Tomba Brion (San Vito d’Altivole, Treviso), tra cui figurano chiavi, serrature, candelabri, disposti all’interno di un’altra vetrina dal Museo di Castelvecchio. La vetrina non più esclusivamente pezzo di design, quando di per sé, svolge la propria funzione di contenitore.
Il fare di Scarpa “beyond building”, nella progettazione di spazi per la scultura, quando libero dagli obblighi funzionali opera con una visione totalmente mentale. D’altro canto, Bove altera le dimensioni delle gallerie ogni volta, nel tentativo di produrre un ambiente unico che esamini il simbolismo di ogni oggetto e la relazione tra i componenti che si articolano all’interno dello stesso.