Grazie Enrico Letta
Nella politica italiana c’è veramente di tutto, vi trovano asilo l’umanista Salvini, il signorsì-Gasparri, un comico genovese a cui urgono uno psichiatra e un barbiere, un simpatico eterno fanciullo dall’orecchino, l’atleta del pensiero Calderoli , e la lista è lunga. E c’è ancora e sempre, lui, l’ex-Cavaliere la cui faccia sembra ormai una maschera di gomma. C’è una Presidente della Camera, elegante signora che con squisito senso dell’opportunità e spirito assolutamente “super partes” propone, settant’anni dopo la caduta del Fascismo, che dall’obelisco del Foro Italico sia cancellata la scritta “Mussolini dux”. Ritenevo che il record delle proposte assurde ce l’avesse chi aveva deciso di rimuovere da Buenos Aires la statua di Cristoforo Colombo, giudicandolo “colonialista e genocida”, ma la signora Boldrini lo ha superato: qui si tratta non di spostare una statua, ma di cancellare un nome e un passato, quindi di negare la Storia, solo perché non ci va a genio. Neppure Pietro Ingrao e Nilde Iotti, Presidenti della Camera e comunisti veri (non radical-chic) si erano mai sognati una sciocchezza simile. Sulla Boldrini, vorrei ricordarlo, Giulia Cortese ha scritto su queste colonne cose severe. Per parte mia avevo già scritto che, se avesse un po’ di rispetto di sé stessa, dovrebbe dimettersi.
Ma anche il PD non scherza. Dentro ce n’è per tutti i gusti: c’è Matteo Renzi col suo drappello di belle ragazze non certo stupide (tutt’altro che “soit belle et tais-toi”), riformisti entusiasti che stanno alla destra di Toni Blair e fanno cose riprovate con irritante sufficienza dalla signora Camusso (secondo la quale, l’aumento delle assunzioni in questi ultimi mesi è “solo propaganda”. Si vede che lei disoccupata non lo è stata mai !). C’è il fragile Cuperlo che, dopo la batosta alle primarie dell’8 dicembre 2013, avrebbe dovuto dignitosamente scomparire. C’è Rosi Bindi, che protesta per l’esclusione dalla Festa dell’Unità (dell’Unità, lei, una vecchia e impervia democristiana! Non aveva mica torto Berlusconi quando diceva che era “più bella che intelligente”). C’è D’Alema, seccatissimo di non contare più nulla, lui che per un tempo è stato tutto, ha avuto carte straordinarie e se le è giocate malissimo. E su questa stessa linea c’è Bersani, un tipo che ha avuto in mano un grande partito e lo ha portato alla quasi sconfitta; che ha rincorso indecorosamente Beppe Grillo; che non è riuscito a far eleggere un Presidente della Repubblica e ha dovuto dimettersi nella vergogna! Ma che deve fare di più un politico per essere pietosamente dimenticato! E non dimentichiamoci l’illustre e assai poco votato Pippo Civati, speranza della Patria!
E poi, per fortuna, c’è Enrico Letta. Dico per fortuna perché Enrico è un politico e un essere umano che onorerebbe qualsiasi partito e qualsiasi paese. Lo conobbi quando venne agli Esteri come Capo della Segreteria del caro, grande, indimenticabile Nino Andreatta. Ero Direttore Generale degli affari Economici con competenza sull’Europa, con Andreatta avevo rapporti intensi e fondati su grande ammirazione per parte mia e su una benevolenza di cui gli sono ancora grato da parte sua, che con il tempo diventò amicizia. Non era sempre possibile vederci di persona, dati i suoi impegni. Letta faceva da tramite tra noi e sin da allora ne apprezzai la serietà, l’impegno, l’ampiezza culturale e il solidissimo europeismo. Negli anni successivi collaborai occasionalmente con la sua Fondazione di studi e poi quando divenne Ministro dell’Industria e del Commercio con l’Estero. Lo vedevo pochissimo, perché stavo a Bruxelles e poi a Buenos Aires e non sono mai stato propenso a coltivare senza motivo i potenti del momento. Né mi sognai mai di avvalermi con lui della comune devozione e amicizia per Andreatta. Lui poi era (ed è) persona riservata, poco data alle grandi effusioni (poco italiano in questo, come in altre sue qualità). Forse era dovuto agli anni giovanili trascorsi in Francia e al rigore dell’educazione lì ricevuta.
Quando divenne Presidente del Consiglio, tutti, credo, ne ammirammo la semplicità, lo spirito di servizio e la maniera sicura e serena con cui condusse il governo in una fase di estrema turbolenza politica ed economica. Il suo fu un buon governo, anche se forse – un po’ per la situazione politica complessa, un po’ per il suo carattere prudente e contrario agli scossoni – non del tutto adeguato alle esigenze di rinnovamento radicale che il Paese necessitava. Sono convinto che, se fosse durato qualche anno, l’economia si sarebbe ripresa e non ho mai capito perché Berlusconi fece il dispetto suicida di togliergli il suo appoggio. Alla fine fece un errore, peraltro comprensibile, quando non capí che era nella logica delle cose che Matteo Renzi, conquistato il partito, mirasse a Palazzo Chigi. Avrebbe dovuto farsi da parte con grazia e magari rimanere nel Governo agli Esteri, mentre si fece vincere dall’umanissimo dispiacere per la maniera sgarbata con la quale era stato messo alla porta. Ma l’eleganza del suo stile è riapparsa nei mesi successivi, quando ha svolto con la stessa serietà e lo stesso impegno il suo lavoro di deputato, sfuggendo alle polemiche, rifiutando il ruolo troppo facile di referente dell’opposizione interna a Renzi, ed evitando persino qualsiasi frase sopra le righe. E l’ha confermata ora, quando ha deciso di dimettersi da deputato e andare a dirigere la Scuola di affari internazionali dell’Istituto di studi politici SciencesPo di Parigi, la più prestigiosa del mondo. Rinunziando, per di più, alla pensione di parlamentare.
Può darsi che Enrico, che è ancora giovane, si sia sentito stanco della politica in cui è immerso da trent’anni e da cui ha ricevuto riconoscimenti ma anche torti, e cerchi un ruolo diverso in un campo intellettualmente stimolante e in una città, come Parigi, che è ancora uno dei centri del mondo. A qualcuno può magari apparire un gesto dettato dal dispetto. Io lo giudico un atto di grande eleganza intellettuale e morale, raro, quasi unico da noi fra politici di primo piano, in genere affannosamente attaccati a quel tanto di potere e di notorietà che ancora resta loro (forse il solo esempio che gli si può avvicinare è quello di Walter Veltroni, persona di raffinata intelligenza e calda umanità).
Grazie, Enrico Letta, per questo ulteriore esempio di stile. Accetta sinceri auguri di successo nella tua nuova vita, assieme alla ferma convinzione che tu resti una grande risorsa per un Paese che di gente come te ha grande bisogno.
Un Commento
Condivido completamente le considerazini cosi’ lucidamente e sinteticamente espresse.Dobbiamo augurarci che prima o poi Letta possa tornar fra noi per la stima che abbiamo nei suoi confronti.Il Paese un giorno si rendera’ conto dell’errore commesso nell’avere supinamente accettato un Renzi qualsiasi……