Con Renzi svanisce il Belpaese
Ora, sarà pur vero che, fin da quando si volle Torino agghindata di ciminiere come una piccola Liverpool, il dna dell’Italia Unita è l’industrializzazione; e che da un secolo e mezzo la media dirigenza di questo Paese, quella economica, viene cresciuta con questa fissazione: ma è mai possibile che mentre i Governi della Seconda, della Prima Repubblica e persino del Regno d’Italia ci hanno tutelato e tramandato, nonostante tutto, un patrimonio ambientale che ci potrebbe far campare di turismo e agroalimentare, oggi stiamo vivendo un autentico, estremo assalto all’ambiente italiano? Quando il Governo Renzi con lo Sblocca Italia zittisce le Regioni e ne offre i territori ai petrolieri, quando porta in porto lo smembramento del Parco Nazionale dello Stelvio mentre il confinante svizzero Engadina prospera, quando mette in cantiere l’abolizione del Corpo Forestale dello Stato, non fa che rispondere per riflesso condizionato ad un input ideologico di vecchia data e purtroppo interiorizzato, è vero. Ma si tratta del livello estremo di un input meramente economicistico, che il senso dello Stato dell’alta dirigenza, politica, nazionale, pur apertissima all’industrializzazione del Paese, aveva sempre, sempre contenuto. Però forse non è un caso che scelte di questo tipo siano messe in campo da governi non eletti, in particolare l’ultimo, mentre i governi eletti non hanno mai neanche lontanamente immaginato di superare certi limiti.
Il guaio è che in gioco c’è il nuovo modello di sviluppo del Paese, un patrimonio economico e culturale incommensurabile e diffuso, che grazie a milioni di imprenditori, di ricercatori, grazie a centinaia di associazioni, ambientaliste ma anche imprenditoriali, grazie anche a giornalisti, a docenti, a insegnanti e a numerosi politici illuminati, l’Italia sta proprio in questi anni scoprendo: anzi, riscoprendo, perché è fondato sulle potenzialità vocazionali del Paese, finora rimaste in buone condizioni. In primis il turismo, e poi tutto quello che rende il Bel Paese una meta ed un ‘prodotto’ ambito: la cura dei Beni Culturali e del Paesaggio, la tutela dell’Ambiente e l’industria agroalimentare, fondata su tipicità, qualità, e ultimamente sui contenuti Eco e Bio. Un patrimonio immenso, diffuso, aperto al lavoro anche imprenditoriale di tutti e capace di uno straordinario valore aggiunto in benessere e qualità della vita; un patrimonio che peraltro l’Italia pretende di divulgare all’intero mondo attraverso Expo2015 – Nutrire il Pianeta, energia per la Vita, e che scelte come la costruzione di torri petrolifere vicino ai campanili o di perdita di controlli sui prodotti agroalimentari rischiano di buttare alle ortiche in cambio di pochi spiccioli.
La ‘questione petrolio’ è per sommi capi questa: nell’era delle Rinnovabili, con le aziende italiane del Solare che aprono impianti assai produttivi in Oriente e nei Paesi Arabi, il Decreto Sviluppo del 2012 ha cancellato il limite normativo che manteneva le piattaforme petrolifere in mare, e oltre il ‘confine’ delle dodici miglia dalla costa. Cosa che il Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo aveva respinto. Per completare l’opera, lo Sblocca Italia del Governo Renzi ha cancellato il diritto di veto delle Regioni verso la realizzazione di piattaforme e trivelle. Risultato: le piattaforme si stanno avvicinando incredibilmente alle coste, come sanno gli abitanti della Riviera Adriatica. Cercano di sfruttare i depositi di idrocarburi presenti nella cosiddetta ‘dorsale adriatica’. Il tutto con contorni economici imbarazzanti: perché il petrolio italiano è di scarsa qualità, e solo le bassissime royalties da pagare allo Stato italiano spingono i petrolieri a scavare pozzi; ma con scarsi ricavi per l’Italia, perché i diritti, già bassi, sono ridicolizzati dall’attuale bassissimo costo del petrolio.
Ma dietro l’angolo c’è qualcosa di più: sfogliando le carte, si scopre una quantità di istanze per concessioni di ‘coltivazione’ degli idrocarburi sulla terraferma, a cominciare dall’Abruzzo. Già, perché altri depositi sono presenti nel sottosuolo del territorio italiano, riuniti in quella che è chiamata ‘dorsale appenninica’. In un futuro molto vicino numerose Regioni potrebbero vivere una compresenza quotidiana con i pozzi e le attività connesse: una condizione che già stanno vivendo molti comuni della Basilicata, in primo luogo in Val d’Angri. Il fatto è che i pozzi non sono ad impatto zero sul paesaggio. Ma soprattutto che, come spiegano i tecnici, non inquinano solo in caso di incidente. Mai i Governi Italiani erano arrivati ad immaginare tanto. Anche per conservare i depositi italiani che con ben più alto senso dello Stato consideravano, non meno del Paesaggio, una riserva strategica di interesse nazionale.
Lo Stelvio: è da trent’anni che Lombardia, Provincia di Bolzano e Provincia di Trento concupiscono amministrativamente parlando il territorio, dotato di grandi potenzialità sciistiche, del Parco Nazionale; che è il più grande d’Italia, e giusto quest’anno compie ottant’anni fa.. Mai, però, un Governo italiano aveva ceduto a queste ambizioni localistiche su un bene nazionale. Il Governo Renzi lo ha fatto: ha ceduto, ed ha prodotto la firma di un accordo tra i tre enti locali ed il Ministero dell’Ambiente. Non contento, lo ha definito ‘un risultato storico, atteso da trent’anni’ per bocca del Sottosegretario agli Affari Regionali Gianclaudio Bressa e ‘un’intesa raggiunta con grande difficoltà ma con il reale impegno di tutti i soggetti coinvolti’ secondo il Sottosegretario all’Ambiente Barbara Degani. La ‘volontà politica’ ed il messaggio al Paese sono chiari, ma per fortuna mancano ancora alcuni passaggi. L’attenzione tuttavia è alta, anche perché l’abolizione di quello che è un Parco Nazionale, con le sue tutele di altissimo livello, potrebbe costituire un precedente inquietante: basti pensare che il citato deposito petrolifero della Val d’Angri ricade in parte nell’area del ‘Parco Nazionale della Val d’Angri e Lagonegrese’.
La Forestale: presidia il territorio, a cominciare dai Parchi nazionali. Tutela l’agroalimentare, la prima voce positiva della nostra economia, l’unica in crescita, uno dei pilastri del turismo per il quale fa da ambasciatore nel mondo. Bene, il ddl 1577 ne prevede all’articolo 7 l’abolizione. Via la tutela del territorio e dell’agroalimentare, insomma. Mai pensato di abbassare la guardia dello Stato su questi beni nazionali, da nessun Governo eletto della Prima e della Seconda Repubblica: ma questo Governo, non eletto, sta provando a farlo. Anche qui senza risparmi ma con costi, non solo sulla tutela di beni di interesse pubblico e legalità, ma anche economici, per i contribuenti: almeno 25 milioni per nuove casacche e formazione. E anche qui la questione non è ancora chiusa, per fortuna. In Senato si sta prendendo tempo, in attesa che lo sdegno collettivo per la proposta di abolire lo storico ed efficiente Corpo Forestale dello Stato sia distratto, mentre si sta alzando una cortina fumogena di compromessi, inaccettabili, sul testo. La discussione sul 1577 è ferma all’articolo 6, ma riprenderà a breve.
E’ difficile comprendere in una logica di interesse nazionale questa serie di iniziative, che intaccano i gioielli di famiglia e a cascata le loro più promettenti potenzialità, e vanno contro il sentire del Paese. Forse sarebbe più facile riuscirci con una sorta di approccio psicoanalitico, immaginando la dirigenza che le produce come un individuo che, in età adolescenziale, scopre il fascino della trasgressione. O in chiave logistica, constatando che per chi vuol fare cassa territorio, o vuol fare almeno qualcosa di nuovo, ambiente, parchi, turismo e agroalimentare sono la ‘fascia di rispetto’ della nostra Italia, da occupare. Ma c’è da domandarsi se l’impoverimento di risorse nazionali di interesse collettivo che conseguirebbe alle iniziative del non eletto Governo Renzi sia tollerabile da questo Paese che tutto finora ha sopportato, o costituisca invece un superamento inaccettabile del limite, un impoverimento intollerabile delle risorse e del futuro dell’Italia. C’è da sperare in un sussulto di orgoglio, anche in Senato dove si voterà a breve sulla Forestale o alla Camera dove si traccheggia sull’approvazione del già ampiamente depotenziato ddl sugli Ecoreati: un susssulto coraggioso da parte di chi sostiene il valore della rappresentanza elettorale dell’assemblea ed ha a cuore l’opinione degli Italiani e la storia, il patrimonio ed il cammino istituzionale del nostro Paese.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]
4 Comments
Tutto verissimo tranne un punto. Non mi sembra che la Prima, e ancor meno la Seconda Repubblica abbiano tutelato ambiente e bellezze. L’industrializzazione a tappe forzate è degli anni ’50 e in quei decenni, così positivi per tanti aspetti, è avvenuto lo scempio dell’urbanizzazione selvaggia che ha distrutto le nostre coste e provocato disastri ambientali che la mia generazione ricorda anche troppo. Qualcosa l’hanno fatto i governi di centro-sinistra degli anni ’90, specie con la riqualificazione delle principali città, Roma in testa. Ci sono state anche, qua e là, meritorie iniziative locali, come il restauro della Venaria e della Domus Aurea, la riapertura della Galleria Borghese o la ripulitura di alcune parti dell’Adriatico, ma ci fu anche il Vajont e il quadro complessivo, per chi l’Italia ha fatto a tempo a conoscerla diversa, è triste. Negli anni berlusconiani, il deserto, il degrado di Pompei e di tante altre strutture importanti. Quindi, diamo a Renzi tutte le colpe che gli spettano, non quella di aver iniziato la distruzione del Bel Paese che è stato sistematicamente picconato per cinquant’anni prima di lui.
Assolutamente d’accordo: come amo ripetere colloquiando, dal punto di vista ambientale altri Paesi hanno subito la Guerra, ma l’Italia soprattutto il (secondo) Dopoguerra. Si e’ trattato di una devastazione immane, con conseguenze terrificanti su ambiente e paesaggio, basti pensare alle periferie disumane (che ‘educano’ al disagio sociale) o alle coste devastate. Un disastro irrimediabile, perché il cemento, le cubature, non si abbattono, da noi. E l’unica soluzione appare quella, drastica, prospettata a suo tempo da Sgarbi per rimediare al disastro urbanistico di un comune alle pendici dell’Etna… Tutto consentito, anzi favorito da quei Governi, verissimo. Ma mi si consentano due osservazioni. Primo: per il ‘sentire’ del Dopoguerra, quella era ‘ricostruzione’. Era sostituire alle macerie cemento nuovo, e case per tutti. Naturale che quella politica, partecipativa come il sistema elettorale consentiva, lo interpretasse. Secondo: c’era il senso del limite. Toccare i Parchi Nazionali, o la Forestale, o le riserve strategiche di idrocarburi, era tabù. E, stando ai fatti, (diamo a ciascuno quel che merita, chiunque sia), non lo ha fatto nemmeno Berlusconi. Renzi sì. E senza alcuna giustificazione ideologica, perché grazie a Dio l’Italia e’ altro. E la cultura oggi e’ diversa, anche se questa e’ una cosa che a Renzi può non interessare.
D’accordissimo. Ho voluto solo ricordare una veritá storica che chi ha vissuto tutto il Dopoguerra sente come una spina nella carne. Non so cose facesse il Regno (in epoche preindustriali), ma so cosa ha fatto la Repubblica, in nome di uno sviluppo economico certo importante.Ho visto le nostre bellissime spiagge trasformate in giungle di cemento, le cittá diventate deposito di rifiuti e bazar africani. E non credo che la Ricostruzione sia una scusa valida. Un Paese che aveva subito una distruzione completa, come la Germania, ha saputo ricostruirsi senza distruggere l’ambiente (basta traversarla di lungo in largo, vedere le splendide foreste intatte, le spiagge preservate e i centri storici rimasti amorosamente preservati), anche se in generale con risultati estetici urbani piuttosto modesti. E se quella economica fosse una giustificazione valida, dovrebbe forse applicarsi anche ai tempi attuali, cosí protesi a superare una crisi ormai lunga e profonda.
Il fatto che é che cultura e bellezza, dai tempi di Bismarck a quelli di Berlusconi, con qualche eccezione (Veltroni, la Melandri, Sgarbi)sono state sempre a parole ma spesso tradite coi fatti da quei governanti pensavano che “contano” altre cose”.
In effetti, questo Dopoguerra devastante anziché edificante è un fenomeno tutto italiano: perché abbia prodotto bruttezza anziché bellezza, e proprio in un Paese d’arte e natura straordinari come il nostro, credo sia cosa che a questo punto andrebbe studiata. E’ vero, non c’è giustificazione verso devastazioni di quel periodo, ma stupore e curiosità sì: cosa diavolo sia successo nel nostro inconscio collettivo per rendere cementabile ogni angolo di paradiso, quale ricerca del benessere materiale abbia potuto generare tanto malessere estetico e spirituale, credo sia un giallo psicologico da leggere, finalmente, fino alla soluzione del caso, credo. Ipotizzo però che al fondo vi sia qualcosa di inaspettato, in un popolo ‘cresciuto’ fra storia e arte, qualcosa di profondamente irrispettoso e antiestetico: penso, esempio per tutti, ai Fori romani, che per loro efficacia costruttiva potremmo ammirare praticamente intatti se non fossero stati devastati dai romani stessi nel Medio Evo e fino ai Barberini (che fercerunt quod non fecerunt Barbari, vedi Urbano VIII che ricavò il baldacchino di San Pietro dalla copertura del nartece del Pantheon. Come se Fuksas avesse voluto realizzare la Nuvola fondendo le travi della sala Nervi in Vaticano). Il Colosseo subì consistenti crolli perché le grappe in bronzo che collegavano i blocchi in travertino della sua ossatura furono estratte per fonderle; e migliaia di lastre di marmo pregiato finirono sfarinate per produrre calce. Forse, come sono 60 milioni di commissari tecnici della Nazionale, gli Italiani sono anche 60 milioni di Urbano VIII e, se invece che artisti come Papa Barberini hanno sotto mano la cazzuola, succede quel che è successo nel nostro sopracitato Dopoguerra. Insomma, la causa di tutto potrebbe pure essere, ardisco, una certa povertà culturale, che il fatto di allignare tra marmi, basiliche e campanili cela pericolosamente: grave, assolutamente grave da parte dei politici di ogni epoca, anche presente, averla assecondata, addirittura incentivata, approfittando irresponsabilmente, vilmente, di questa impotenza per superare gli ultimi limiti alla devastazione della Bellezza, del Paesaggio, della Salute e dell’Ambiente; e continuare a farlo.