Sudafrica: xenofobia e demoni dal passato

Afrofobia? Xenofobia? Razzismo tra neri? Un “nero” piuttosto “nero” che massacra uno “straniero” con il pretesto che ha la pelle troppo scura: l’odio di per sé  all’ennesima potenza? Sicuramente a muovere questa folla agitata c’è un po’ di tutto questo.

La Storia è un ricominciare perpetuo, diceva Tucidide. L’affermazione di questo politico e storico ateniese trova la sua conferma più evidente nella Storia del popolo sudafricano. Colonizzato dagli olandesi nel XVII secolo e diventato dominio britannico nel 1910, il Sudafrica si è sempre distinto per il suo pesante passato di discriminazione razziale, soprattutto con la nascita dell’apartheid. Applicata dal 1948, questa politica che voleva farsi “paladina” dello sviluppo del Paese e della conservazione delle culture di ogni etnia, aveva come unico obbiettivo quello di conservare la supremazia dei bianchi. Così, moltiplicando le misure di segregazione razziale, l’apartheid attira sempre più su di sé le critiche dell’opinione pubblica internazionale in un momento storico nel quale ovunque iniziava la decolonizzazione. Il regime di Apartheid ha suscitato le più vivaci proteste. La dignità dei popoli neri del Sudafrica, sacrificata sull’altare della dominazione bianca, viene riconquistata a caro prezzo, con la perdita di numerose vite umane. Ne sono testimonianza le manifestazioni degli studenti dei licei di Soweto, la cui repressione  violentissima continua a tormentare la coscienza di chi ne ha ancora memoria. Lo stesso vale per la manifestazione di Sharpeville soffocata in modo dirompente nel Marzo del 1960. E’ in seguito a questo tragico evento che il Governo decise di dissolvere l’ANC (African National Congress) e il PAC (Panafrican Congress), due movimenti neri che lottavano contro l’apartheid. L’ANC fu costretto ad agire in clandestinità e, con l’impeto di Nelson Mandela, decise di armarsi perché la lotta diventava sempre più impari. Mandela verrà arrestato nel 1962 e condannato al carcere a vita nel 1964. Nonostante  il prezzo altissimo da pagare in uomini e donne che hanno  perso la vita, nonostante le violenze subite e la repressione continua, dopo più di 40 anni di lotta, il coraggio e la determinazione dei sudafricani determinerà la fine del regime di Apartheid.

Ironia della Storia, questo stesso popolo nero ripropone oggi il copione di un film già visto, ma questa volta i ruoli sono invertiti, l’oppressore è lui. In effetti per via di un tasso di disoccupazione altissimo, soprattutto trai i giovani neri, il Paese di Nelson Mandela è scosso, dal 2008, da atti di xenofobia che hanno causato la morte di già troppe persone. I sudafricani accusano gli immigrati non solo di alimentare la disoccupazione della quale sono vittima, ma di qualsiasi nefandezza colpisca il Paese. Ultimamente, queste accuse sono state esacerbate dalle affermazioni del Re degli Zulu, Goodwill Zwelithini, che ha esplicitamente chiesto agli stranieri di “fare le valigie e tornare nel proprio Paese”. Quella che sembrava una battuta è diventata l’origine della rinascita dell’odio, già forte, presente nel cuore dei sudafricani nei confronti degli immigrati. Così i negozi tenuti da stranieri sono stati devastati e gli stranieri stessi aggrediti violentemente, se non proprio linciati dalla folla come è accaduto a Durban e Johannesburg. Tutto questo era prevedibile per l’equilibrio precario esistente dal 2008. Nel febbraio di quell’anno a Soweto quasi tutte le attività gestite da stranieri vennero attaccate. Ma solo ieri, martirizzati di continuo dagli afrikaner, dominati ed umiliati sulla propria terra, il popolo sudafricano veniva appoggiato e finanziato dagli altri Paesi africani, dove tenevano basi e contatti, accolti ovunque a braccia aperte. Oggi, i figli dei suoi vicini che vivono sul suolo sudafricano vengono attaccati e bruciati vivi. L’eredità di Mandela è andata tutta persa? Nelson Mandela rappresentava la pace e la tolleranza tra i popoli, ha votato  la sua vita al suo popolo affinché imparasse a vivere insieme e capisse a fondo il senso del termine “Paese dell’arcobaleno”. Mandela non avrebbe potuto prevedere il peggio. Lui che ha visto il suo popolo al limite dello scontro fratricida. In quel periodo il Sudafrica nero era diviso in due campi, quello di coloro che volevano e accettavano il perdono, e quello di coloro che voleva attaccare con la violenza l’oppressore. Mandela aveva fatto uscire dalla spirale di violenza la sua gente, ma il post apartheid, evidentemente, non è stato gestito a dovere visto che glie eventi mostrano come il “Paese dell’arcobaleno” non sopporti più i colori arrivati da altrove. Perché prendersela con le minoranze africane? Questa domanda tormenta molti dei Paesi del Continente, increduli davanti a tanta barbarie. Si sentono traditi e osservano,impotenti, le immagini che arrivano dal Paese di Mandela, lo stesso Mandela che il Continente piangeva poco tempo fa.

Abbiamo già accennato a parte delle radici del malessere, la disoccupazione. La ripartizione delle ricchezze e la diminuzione delle disuguaglianze rimangono e permangono un problema centrale. Il Governi di Mandela, di Thabo Mbeki e di Zuma sono riusciti a creare una piccola classe media all’interno della comunità nera, ma ancora troppe persone vegetano in situazioni finanziarie instabili. Per vincere questa ondata di xenofobia ci vorranno molto più che le parole tranquillizzanti di un governante. Un serio lavoro di riduzione delle diseguaglianze sociali, in un Paese che dichiara essere multiculturale, va accompagnato da buone campagne di sensibilizzazione.  Ma quanto questo Paese si vuole veramente  multiculturale?  Gli Zulu, etnia maggioritaria, e l’Inkhata (Partito Inkhata per la Libertà) suo alleato hanno spesso espresso propositi al limite della xenofobia, che la scintilla delle violenze arrivi dalle parole del loro Re non stupisce. Il Presidente Zuma ha annullato la sua visita in Indonesia dove si festeggiava il 60° anniversario del Summit dei Non-Allineati di Bandung condannando la violazione dei “valori” sudafricani. Ma l’élite politica partecipa attivamente a questa ondata xenofoba. La Ministra delle Acque all’inizio dell’anno aveva dichiarato che “tutte queste piccole attività” gestite da  stranieri non potevano che condurre al “disastro”. Il Ministro delle Piccole Imprese si è impegnato a regolamentare in modo più incisivo queste attività per mettere fine alla “concorrenza sleale”. Secondo lui gli stranieri sono lì per la benevolenza dei sudafricani e la “priorità è, prima di tutto, il benessere del suo popolo”. Anche il Segretario Generale dell’ANC, il Partito oggi al potere ha incoraggiato il Governo ad “inasprire l’applicazione delle leggi sull’immigrazione”, cosa peraltro già in parte avvenuta. Gwede Mantashe ha addirittura proposto la creazione di campi di rifugiati per meglio controllare gli stranieri illegali.

Concludiamo con le parole dello storico camerunese Achille Mbebe, professore universitario in Sudafrica. “Invece di spargere sangue nero su Pixley ka Seme Avenue, arteria simbolica per eccellenza (Pixley ka Seme è il fondatore dell’ANC), dovremmo tutti attivarci nella ricostruzione del Continente, e far uscire l’Africa dalla sua lunga dolorosa storia – per finirla con questa storia che da troppo tempo ci vuol fa credere, quale che sia l’epoca, quale che sia il luogo, che abbiamo torto di essere neri”.

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