Ad Otranto la metafisica di de Chirico
Fino al 29 settembre presso il Castello Aragonese di Otranto è in mostra Giorgio de Chirico: Mistero e Poesia con una selezione degna e di elevata densità. In appena 3 sale, 11 dipinti a olio, 3 sculture, più di 30 tra disegni, acquerelli e grafiche è condensata la vita artistica dell’artista.
Opere celebri e meno celebri, provenienti dalla Galleria Maggiore d’Arte di Bologna, introducono il visitatore nell’universo di de Chirico (1888-1978), la Metafisica, attraverso tecniche e media differenti. Tra queste figurano la Piazza d’Italia (1913), Diana cacciatrice (1958), Autunno (prima metà anni ’40), Arciere con cavallo (1972), Riposo presso le correnti dell’Egeo e Paesaggio sulla spiaggia (1923).
È comune annoverare il protagonista della retrospettiva come italiano, quando egli ha ben poco di italiano. Nasce da genitori italiani in Grecia – in particolare in Tessaglia, anticamente regione di maghe – come il fratello minore Andrea (poi diventato Alberto Savinio dal 1914), vive poi a Monaco, Milano, Firenze, Torino, Parigi, Ferrara, Roma.
Possiamo ad esempio ricordare Camillo Benso, conte di Cavour, come figura di spicco italiana, nonostante il suo legame predominante al francese e al piemontese, lo stesso per Giorgio de Chirico nei confronti del neogreco e del francese; entrambi parlavano così con evidente accento, l’uno francese, l’altro greco.
Come location è ideale la misteriosa fortezza, situata proprio in Magna Grecia, per il Pictor Otptimus, colui che si definiva a fatica moderno e diceva di sé: “Pictor classicus sum”. Ha qui modo di svilupparsi l’enigma della Metafisica, dal greco antico μετ? τ? ?υσικ? (“oltre la fisica, la natura”), l’altra realtà che il tangibile nasconde.
Troviamo così piazze e città, per consuetudine luogo della vita, abitate da manichini e statue. Si presentano architetture fortemente geometriche, ispirate a quelle fiorentine ed elleniche della giovanile Monaco e alle tele esposte nella stessa città alla Neue Pinakothek di Arnold Böcklin e Max Klinger e a quelle alla Alte Pinakothek di Rubens.
Atmosfere stranianti, dove l’esistenza umana sembra non essere supportata, se non per 2 figure che spesso passeggiano assieme, forse i Dioscuri, forse i 2 fratelli de Chirico. Regna il silenzio, nonostante sullo sfondo la presenza, anch’essa straniante, di stabilimenti industriali dalle alte ciminiere o di locomotive apparentemente sferraglianti (il padre progettava treni).
Cieli dalle tonalità innaturali, orologi il cui orario non corrisponde con la lunghezza delle ombre, sempre estremamente dilatate, testimoniano la ricerca dell’artista e rendono il suo stile emblematico. De Chirico è un artista colto, appassionato di Nietzsche, Schopenhauer e Weininger, scrittore di svariati generi, ma pur sempre antiaccademico e lontano dai moderni.
L’Autoritratto del 1919 riporta un’iscrizione: “Et quid amabo nisi quod rerum metaphysica est?”, ossia “E che cosa amerò se non la Metafisica delle cose?”. Il maestro rimarrà infatti per l’intera carriera fedele alla sua scelta radicale, ispirando i Surrealisti, che riconoscevano in lui il proprio padre spirituale.
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