Superare il capitalismo municipale
Molta gente, anche dotta, ritiene che i Comuni facciano bene a essere proprietari delle aziende della nettezza urbana, della gestione idrica, di quelle del trasporto pubblico locale, dell’energia, perché così il profitto di queste attività rimane all’ente pubblico anziché andare a capitalisti privati. Non sanno che il profitto è la remunerazione del capitale investito dai proprietari delle aziende, e che fra i diversi tipi di investimento quello in aziende è il più rischioso. Così, senza saperlo, incoraggia i propri amministratori a tassarla di più per poter investire in queste aziende. Forse si illudono che in questo modo i servizi erogati siano di miglior qualità e di minor costo.
Invece è vero il contrario perché l’ente pubblico proprietario dell’azienda erogatrice non pretenderà da essa la stessa prestazione che pretenderebbe da un fornitore appaltatore in regime di concorrenza. Non per niente la Comunità europea pretenderebbe proprio appalti a imprese private in regime di concorrenza. Ma gli amministratori locali italiani preferiscono non darle retta, perché grazie al conflitto di interessi dovuto ad un unica gestione di appaltante e appaltatore evitano ogni controllo.
Alcuni dotti hanno spiegato che acqua, igiene pubblica, etc. sono beni comuni e come tali non devono cadere nelle mani di speculatori, i proprietari delle imprese private. Peccato che se l’acqua non passasse attraverso i contatori verrebbe sprecata e non ce ne sarebbe abbastanza per tutti. Nessuno sembra voler spiegare alla gente che per preservare i beni comuni basta conservare la proprietà delle infrastrutture e vendere agli utenti i servizi a prezzi amministrati, non di mercato.
Invece tenersi la proprietà delle aziende produttrici dei servizi fa comodo solo agli amministratori corrotti e serve ad assegnare posti pubblici ai loro amici privati.