Cronache dai Palazzi

Come previsto, il governo si serve della fiducia e riesce ad intascare un primo pezzo della legge elettorale, tra le lacrime e i crisantemi come per un funerale. La minoranza dem è convinta che si tratti di una prova di forza del renzismo ed è pronta a continuare le sue battaglie. Emerge la volontà di formare gruppi autonomi guidati dagli anti-renziani più agguerriti. Si ipotizza la costruzione di una corrente ulivista con in testa Bersani e Letta (ma anche Prodi e D’Alema) oppure la nascita di un nuovo soggetto politico. “Renzi ha compiuto un atto grave sul piano democratico”, ammonisce Stefano Fassina, ed “ora la minoranza è quella che vota in modo diverso”.

È proprio la conta dei no ciò che impensierisce la squadra di Renzi. “Sul no al provvedimento saremo più di 38”, ipotizza Rosy Bindi che non teme sanzioni. “Se vogliono cacciarci, lo facciano”. In sostanza i gruppi più a sinistra serbano la convinzione che Renzi corra verso le elezioni anticipate assicurandosi una legge elettorale su misura. Per Cuperlo , ad esempio, la fiducia avrà “ripercussioni sui tempi della legislatura”. E Bindi aggiunge: “Elezioni più vicine? Chi lo dice non ha torto, l’Italicum è un’arma che Renzi vuole tenersi per avere le mani libere”; mentre Bersani non digerisce che “si zittisca il Parlamento su un tema così”.

Nel caos Matteo Renzi continua a narrare il suo storytelling e procede con il passo decisionista che lo contraddistingue. Sui social ringrazia chi ha votato a favore del provvedimento e rimarca, ancora una volta, che questa “è la volta buona”, nonostante la strada da percorrere sia ancora lunga e tortuosa. “Sulla legge elettorale sono giorni di polemica e discussione”, scrive sul web il capo del governo, ma “stiamo solo facendo il nostro dovere. Siamo qui per cambiare l’Italia. Non possiamo fermarci alla prima difficoltà”.

Non si intravede inoltre nessuna scissione all’orizzonte. Renzi promette addirittura margini di trattativa per la riforma costituzionale correlata all’Italicum, sulla quale la minoranza aveva chiesto di discutere. “Ci sarà spazio al Senato per riequilibrare anche la riforma costituzionale facendo attenzione ai necessari pesi e contrappesi: nessuna blindatura, nessuna forzatura”, sottolinea Renzi che aggiunge: “Non caccio nessuno, non ci sarà nessuna sanzione”.

Al Senato si aprirà “una fase nuova” afferma Angelino Alfano dal fronte di Area popolare, che chiede “al governo e alla maggioranza di modificare la riforma costituzionale con la proposta di Gaetano Quagliariello che spinge per dare ai cittadini una possibilità maggiore di esprimersi in riferimento all’elezione del Senato”. In sostanza Alfano preme sull’elezione semidiretta del Senato sulla quale Matteo Renzi e il ministro Boschi non intendono discutere. Tra le modifiche possibili che potrebbe avanzare Palazzo Chigi vi è comunque quella di rendere di fatto “elettivi” i nuovi senatori aggiungendo al ddl costituzionale una norma transitoria in cui viene specificato che a sceglierli saranno i Consigli regionali ma tenendo conto delle preferenze incassate alle elezioni.

Il negoziato partirà però solo dopo l’approvazione dell’Italicum riguardo al quale è stato compiuto solo un “primo passo”, come rimarca il ministro per le Riforme, ma “siamo in linea con i numeri delle altre fiducie”, afferma Boschi. In sintesi i renziani fanno i conti con il bilancino e valutano il tutto solo numericamente, senza tener conto delle ferite sul piano politico pensando magari che si rimarginino con il tempo.

Il presidente dem, Matteo Orfini, rimarca invece “la scelta di responsabilità di gran parte della minoranza”, apprezzandola. I 50 sì sono stati comunque sofferti e la scelta dei “responsabili” è quella di chi si sente a pieno titolo nel partito dem come minoranza impegnata su sviluppo, lavoro e giustizia sociale. Tutto ciò per non tacere il dissenso anche su altre “forzature” come sul Jobs Act. Ora va cercato un “equilibrio” tra Italicum e riforma costituzionale, come recita il documento elaborato dai 50 “responsabili” per spiegare le proprie ragioni. Le aperture di Renzi e di Boschi “devono subito tradursi in fatti e proposte chiare”.

Nonostante i dissidenti affermino il contrario, Matteo Renzi punta come sempre al 2018. “Il voto anticipato non serve al Paese”, dichiara il presidente del Consiglio. Per ora ci sono le regionali e il premier-segretario è convinto di poter affrontare una campagna elettorale con l’Italicum in tasca spiegando agli elettori le ragioni di una sfida “che è quella di cambiare il Paese”. Nessun aut aut per i dissidenti ma  “spiegheranno agli iscritti e al Paese le proprie scelte e “la caparbietà con la quale si cerca di affossare anche la credibilità internazionale” dell’Italia. “Le sfide che dobbiamo vincere sono quelle con l’economia e l’immigrazione, non quella con la minoranza interna”, chiosa Renzi.

Dai banchi di Forza Italia Renato Brunetta sottolinea la compattezza di un “voto contrario e sofferto, perché è sofferta la legge elettorale” e, nel contempo, il presidente dei deputati azzurri a Montecitorio non manca di rimarcare le divisioni in casa dem: “Ecco, questo è il bel risultato di Renzi. Voleva fare le riforme insieme, ha costretto noi a sbattergli la porta in faccia perché non ha mantenuto la parola, ma ha fatto ben di più, ha distrutto il suo partito”.

Tra le voci contrarie all’Italicum, quella del senatore Mario Mauro, Presidente dei Popolari per l’Italia: “L’Italicum è una legge profondamente sbagliata che riduce gli spazi di libertà e democrazia nel nostro Paese, ma soprattutto determina uno squilibrio nel rapporto tra potere esecutivo e potere legislativo”.  E sottolinea come “non c’è peraltro differenza fra il Porcellum e l’Italicum, se non quella che consiste in un nuovo un intervento legislativo sempre più spregiudicato e arrogante, volto esclusivamente a rafforzare i poteri della minoranza vincitrice delle elezioni.

La legge sembra comunque proiettata verso l’approvazione tantoché dai Cinquestelle, Danilo Toninelli avvisa: “Stiamo valutando se raccogliere le firme per il referendum abrogativo, lo decideremo nei prossimi giorni”. L’Aventino delle opposizioni, composto da M5S, Forza Italia e Sel, sembra quindi compattarsi attorno ad una campagna referendaria per abrogare la legge elettorale che sta per avverarsi. Ma cosa succederà in Aula tra lunedì e mercoledì con il voto finale non è del tutto prevedibile.

Tra possibili dissertazioni ed eventuali voti segreti il pallottoliere di Palazzo Chigi è focalizzato su Montecitorio affinché si completi l’iter della riforma elettorale. Un secondo occhio è invece ben rivolto a Palazzo Madama dove i numeri sarebbero più ballerini ma il governo punta a far rientrare i voti dei fuoriusciti di FI, passati o futuri, di ex pentastellati e vari “responsabili” assorbiti dal gruppo Misto che insieme potrebbero contribuire a devitalizzare le pressioni della minoranza interna al Pd.

Le prossime prove del Senato non sembrano intimorire il capo del governo sia perché in quel ramo del Parlamento i forzisti e i pentastellati continuano a “perdere pezzi” sia perché, secondo Renzi, “i senatori non seguono Bindi, Bersani e Letta in questo potenziale suicidio”.

Anche l’apertura sulla riforma costituzionale più che essere funzionale alla ricostruzione di un ponte con la minoranza dem sembra orientata alla ricognizione di alcuni voti che mancano all’appello per portare in porto la suddetta riforma.

L’immagine finale è comunque quella di un Parlamento ridotto a pezzi e di un partito di maggioranza incapace di amalgamare i diversi punti di vista. L’ostilità nei confronti del nuovo sistema elettorale si fonda su ragioni politiche, che la discussione attorno ai contenuti porta a galla. Per i passati leader del Pd tutto ciò potrebbe rappresentare addirittura la premessa di “una mutazione genetica del partito”. In effetti il famigerato “partito della Nazione”, tanto caro a Renzi, punterebbe ad assorbire gran parte dell’elettorato moderato, fino ad ora orientato più a destra, allentando nel contempo le reti con il sindacato e con la sinistra più connotata. “In passato il partito non ha avuto il coraggio di fare le riforme per non perdere i voti della Cgil”, rimarca non a caso Maria Elena Boschi fotografando con poche parole la “mutazione genetica” di matrice renziana.

Nessuna scissione in casa dem ma la minoranza dei 38 che non hanno votato la fiducia al governo sembrano addirittura orientati ad individuare “un nuovo leader alternativo a Renzi. Un figura di nuova generazione” che sarà scelto “nel vivo della battaglia”, come afferma D’Attorre. Tra i possibili candidati c’è anche Roberto Speranza le cui dimissioni ne hanno rafforzato la leadership. C’è poi chi, come Fassina e Civati, pensa che occorra “mettere in campo una prospettiva, non un leader” ed è forse proprio qui che si consuma il dramma di un Partito democratico frantumato, in cui lo strappo di alcuni ex leader della “ditta” a proposito di Italicum dimostra “come l’obiettivo non fosse la modifica della legge elettorale, ma il governo e la mia testa”, afferma il premier- segretario con l’amaro in bocca.

Renzi, in definitiva, confida sul risultato delle regionali per mettere a tacere le diverse polemiche. Un positivo risultato elettorale rappresenterebbe la spinta decisiva per portare a termine le riforme economiche e istituzionali sulle quali, oltre all’Italicum, si fonda la modernità del Paese.

La sofferenza con la quale è nata la nuova legge elettorale e la condizione di asperità nella quale verrebbe eventualmente varata sono comunque degli indicatori preoccupanti che rimarcano le difficoltà della nostra democrazia, abituata ormai da troppo tempo a viaggiare su posizioni estreme e a giocare la carta del dovere, più che servirsi della condivisione e del dialogo e quindi accordarsi attorno alle regole fondamentali.

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