Cronache dai Palazzi
Dopo mesi di aspre battaglie, polemiche e tensioni, L’Italicum ottiene la promulgazione e quindi la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, anche se l’efficacia della nuova legge elettorale scatterà il primo luglio 2016. Per il governo il cerchio si chiuderà inoltre solo con il referendum confermativo della riforma costituzionale che cancella il bicameralismo perfetto e il Senato elettivo. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non ha esitato ad apportare la sua firma ritenendo i pretesi nodi di incostituzionalità sull’Italicum un falso dilemma. Mattarella ha firmato “con la serenità di chi è consapevole di aver rispettato alla lettera le proprie prerogative e non vuole entrare nelle diatribe politiche”.
La nuova legge elettorale sembra rispettare con coerenza le indicazioni della Consulta della quale Mattarella era giudice fino a tre mesi fa. Infatti da giudice costituzionale nel 2013 Mattarella bocciò il Porcellum. L’Italicum prevede una soglia minima per far scattare il premio di maggioranza e liste “corte” combinate con un certo numero di preferenze in modo che i cittadini possano scegliere tra i candidati. “Nessun punto dolente” all’appello e, per d più , il presidente Mattarella ha sottoposto l’Italicum ad un ulteriore verifica registrando la rispondenza della nuova legge elettorale con il “patrimonio costituzionale europeo”, un insieme di principi non proprio sacrosanti sulla base dei quali Bruxelles aveva ritenuto “coerente” anche il ripudiato Porcellum. In definitiva è rimasto deluso chi si aspettava delle spiegazioni dal Colle sull’avvenuta promulgazione.
Cosa cambia con la nuova legge elettorale lo spiega brevemente il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, in un’intervista al Corriere delle Sera: “Cambia molto. Col ballottaggio avremo un vincitore certo. Con il premio alla lista non saranno più coalizioni litigiose e si impone ai partiti una riflessione sul loro ruolo. E poi per la prima volta ci sono norme che favoriscono la parità di genere. Un grande passo in avanti per l’Italia”. Per il ministro Boschi l’Italicum rappresenta “un elemento di distinzione in tutta Europa”, preso addirittura come esempio da altri Paesi come la Spagna, che ha iniziato a prendere in considerazione una modifica della propria legge elettorale partendo proprio dalle novità introdotte dal nuovo sistema di voto italiano.
Per Mario Mauro, presidente di Popolari per l’Italia, invece si tratta del “funerale della democrazia”. Mauro ha inoltre spiegato che per il suo partito “non ha più senso” rimanere nella maggioranza e se ne discuterà quindi la fuoriuscita. L’Italicum “stride troppo con la nostra democrazia, si fa confusione tra i tre poteri, un solo partito avrà la maggioranza anche se al ballottaggio andrà a votare il 5% degli italiani e questo partito avrà il potere di nominare i membri della Consulta e del Csm”. Il presidente dei popolari per l’Italia sottolinea così la nascita di una “democratura che indica la pericolosità di chi l’ha pensata, Matteo Renzi”. I popolari si impegneranno nella promozione del referendum abrogativo della nuova legge elettorale.
Sull’altra sponda ci sono coloro che hanno dimostrato il proprio entusiasmo per il fatto di aver dato finalmente al Paese un nuovo sistema di voto, tra cui l’ex presidente Giorgio Napolitano che aveva vincolato il suo secondo mandato proprio all’obiettivo di varare una nuova legge elettorale. “Un raggiungimento importante”, lo ha definito Napolitano rimarcando che l’Italicum “non è nato in un mese” ma “ha impiegato più di un anno” e ci si è avvalsi anche di “una commissione di studiosi per la ricerca di soluzioni”. Anche le agenzie di rating sfoderano la lancia a favore di Renzi. L’agenzia Fitch sottolinea che la riforma elettorale riducendo il rischio dell’incertezza politica favorirà il profilo creditizio dell’Italia. Mentre per Moody’s la suddetta riforma potrà avere effetti positivi sul credito solo “se accompagnata dalla riforma del Senato”.
Nel frattempo si acuiscono i dissapori in casa dem anche se non si intravede nessuna scissione all’orizzonte. Scismi sì però. L’ultimo ad essere andato via è Pippo Civati, ex compagno fiorentino di Matteo Renzi ai tempi della Leopolda 1.0. L’allontanamento di Civati spacca di nuovo il Partito democratico senza tuttavia provocare eccessivi allarmismi. La minoranza dem invita a non sottovalutare il gesto di addio del compagno, mentre la maggioranza si dichiara dispiaciuta ma non addolorata. Subito dopo il the end annunciato ai democratici Civati riceve l’invito di Sel, pronta a mettere in discussione il proprio partito per costruire “una forza di sinistra più grande”. Per ora però Civati riflette, e a chi gli chiede se”farà un partito dello zero virgola” risponde: “No, un progetto di sinistra di governo. L’Italicum, al di là delle modalità di voto violente, serve a costruire il partito della nazione, che in realtà c’è già. A leggere le liste delle Regionali c’è da aver paura”.
Al di là di Civati, nel Pd la minoranza si è accumulata a partire dal Jobs Act a causa dell’accesa discussione sull’abolizione dell’articolo 18 per i neoassunti a tempo indeterminato – quando in sostanza il governo ha approvato una piattaforma liberista sul lavoro – per poi quietarsi con l’elezione del presidente della Repubblica che sembrava aver riunito le diverse correnti in unico fiume. In realtà lo strappo alla democrazia provocato dall’Italicum ha riacceso le fiamme che hanno continuato ad ardere quando si è discusso di “Buona Scuola”, e quindi dell’emarginazione dei precari e il prevalere di un modello verticistico all’interno del sistema scolastico.
Le tematiche elencate non sono comunque oggetto di discussione – e magari fonte di divisioni – solo all’interno del Partito democratico, si tratta di temi caldi e urgenti che accendono tutti i partiti e infiammano l’opinione pubblica con un conseguente riempimento delle piazze.
Manca all’appello il conflitto di interessi, oggetto di dibattito da decenni, che il governo annuncia di portare in Aula nelle prossime settimane. “Ora è in commissione – ricorda Boschi –, chiederemo la calendarizzazione in Aula entro Giugno”. La proposta che l’esecutivo di Renzi vuole presentare a Montecitorio entro giugno è un provvedimento concertato da Pd, Sel e M5S, le cui proposte sono state riunite in un testo unico dalla Commissione Affari costituzionali della Camera.
La discussione partirà dall’art.9, che prevede l’istituzione di una Commissione di cinque membri eletti dal presidente della Repubblica e che avrà ampi poteri decisionali, giudicando i casi di conflitto di interessi e decidendo le soluzioni caso per caso. Tra i dettagli spiccano i legami familiari: il conflitto si estenderà sia al coniuge del membro del governo sia ai parenti entro il secondo grado. In sostanza non esiste conflitto di interessi solo se si è proprietari di aziende che possono interferire con le azioni del governo, ma anche se il proprietario è un coniuge o un parente entro il secondo grado.
Costituirà inoltre conflitto di interessi anche la semplice “partecipazione rilevante”, definendo rilevanti le partecipazioni di controllo o che partecipino al controllo. Per le società quotate in Borsa è definita partecipazione rilevante quella al di sopra del 2% del capitale sociale. In definitiva la suddetta Commissione di cinque membri, che eserciteranno il proprio mandato a titolo gratuito, ricorrerà alla “gestione fiduciaria” delle imprese o delle attività economiche del membro del governo per prevenire i conflitti di interessi, rilevando “il gestore” con l’aiuto di Bankitalia e della Consob. La Commissione intercetterà ogni tipo di rapporto o di informazione fra il gestore e il soggetto in conflitto di interessi. I soggetti sottoposti alla misura non potranno inoltre chiedere o ricevere dal gestore informazioni riguardanti l’attività di gestione e nel caso in cui non vi sia altro modo per risolvere il conflitto di interessi, come ad esempio affidare ad una società di gestione l’attività, la Commissione potrà decidere di mettere in vendita l’azienda.
I lavori attorno al conflitto di interessi riprendono dopo anni di discussioni e di polemiche soprattutto attorno all’affaire Berlusconi, che in questo frangente accusa il premier di “deriva autoritaria”, mentre per i membri del suo partito il provvedimento contro il conflitto di interessi “più che una riforma appare un ricatto, una minaccia a FI perché non faccia il referendum contro l’Italicum e non ostacoli l’abolizione del Senato”, come afferma la forzista Elvira Savino.
Per Renato Brunetta invece Matteo Renzi è “come la coop”, ricordando al premier i suoi “amici finanzieri, nelle banche, e nei giornali e a Londra”, mentre Giorgia Meloni, FdI, prende la palla al balzo per sottolineare che il padre del ministro Boschi “è vicepresidente di una banca che trae benefici dalle leggi del governo”.
Facendo un breve cronistoria del tormentato conflitto di interessi, nel 1998 (governo Prodi) lo si definiva addirittura “in dirittura d’arrivo”, mentre appena due anni dopo, nel 2000, poco prima della caduta del suo governo Massimo D’Alema definì il conflitto di interessi “una questione del futuro, forse”. Prodi ci riprovò nel 2006 e nel 2013 il conflitto di interessi era uno degli “8 punti” proposti ai pentastellati da Pier Luigi Bersani. Ed ancora Enrico Letta che nel gennaio 2014 promette un intervento sul conflitto di interessi. Per finire, l’esecutivo di Matteo Renzi fa un’ennesima promessa e si prefigge di chiudere il cerchio risolvendo la questione. C’è da chiedersi se questa sia davvero “la volta buona”.
Prima delle Regionali arriva infine l’abolizione dei vitalizi per i parlamentari condannati per reati gravi con pene al di sopra dei due anni. Al “sì” di Pd, Lega, Sel, Sc e FdI si sono opposti Forza Italia, Movimento 5 Stelle e Alleanza popolare che hanno deciso di non partecipare alla seduta.
Un Commento
L’Italicum darà un vincitore certo, con il 54% dei seggi alla Camera? Pura utopia. In questa Legislatura già 250 tra senatori e deputati hanno cambiato casacca. Credete che il Pd, o altro partito o movimento, possa governare 5 anni senza perdere la maggioranza? Credete che un Premier possa resistere 5 anni senza essere scalzato da un altro politico dello stesso partito?
Mattarella il siciliano, Mattarella che tace, Mattarella occhi normanni e sorriso enigmatico greco, Mattarella il monaco, Mattarella uscito da un film di Fellini? Per capirne qualcosa bisogna rileggere Sciascia.
La sua elezione ricompattò il Pd che poi Renzi ha diviso. Renzi dichiarò allora di averlo incontrato solo due volte. La sua firma alla nuova Legge elettorale, per me, faceva parte del pacchetto di scambio favori, tra lui e Renzi, al momento della candidatura al Quirinale. Se è così, ne rivedremo repliche alle prossime firme di Leggi di riforma. Poi, Mattarella avrebbe pagato il prezzo pattuito da inquilino del Colle e, come fece Cossiga, forse inizierebbe un’altra storia.
E’ un altro uomo, oggi. Ha cambiato sarto e porta abiti scivolati, ben tagliati e assortiti con le cravatte. Non un capello fuori posto, non una piega al vestito. Qualche volta riesce ad avere il nodo della cravatta dritto. Cammina con scioltezza, forse fa ginnastica, o massaggi, oltre a passeggiate nei giardini. Pronuncia discorsi anche a braccio, con perfetta costruzione della frase, sempre parca di aggettivi. Piace alle donne, sorride ai bambini. La sua taciturna e pacata presenza fa impazzire Grillo.
Tra lui e Renzi è caduto il gelo, da più di un mese. Fanno il possibile per non incontrarsi e, quando non ne possono fare a meno, o i loro sguardi non si incrociano, o Mattarella guarda subito da un’altra parte. (Controllate i video sul sito del Quirinale).
La sentenza della Consulta sulla incostituzionalità della legge Fornero sulle pensioni è uscita il 30 aprile, giorno della 3° fiducia dell’Italicum. Una coincidenza? Il Palazzo della Consulta e quello del Quirinale sono contigui e sembrano legati a doppio filo. Lì siede anche Amato che non perdona a Renzi per non averlo candidato al Quirinale. Una battaglia tutta da godere, per i più attenti osservatori.
Oggi Renzi non ha più il tesoretto di un miliardo e 700 milioni, da distribuire prima delle elezioni 31 maggio. In calo nei sondaggi, piatte oppure troppo agitate e gridate le sue uscite elettorali, davanti a pubblico selezionato, del tipo “questi non mi fischiano”. Se avrà un paio di governatorati, sarà grasso che cola.